Tribunale di Ravenna, 4 febbraio 2002, Ammissione al passivo dei c.d. "diritti esecutivi" spettanti al concessionario per la riscossione dei tributi a titolo di rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, par condicio creditorum, esclusione.

La sentenza del Tribunale di Ravenna affronta il problema dei c.d. "diritti esecutivi", che secondo l' art. 17 comma 6 del D.Lgs. 13.4.1999 n.112 spetterebbero al concessionario per la riscossione dei tributi a titolo di rimborso delle spese relative alle procedure esecutive sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle Finanze (nella specie D.M. 21.11.2000 n.1160).
Con la suddetta decisione il tribunale ha escluso la spettanza di dette somme nell'ambito della procedura concorsuale in quanto ciò si porrebbe in insanabile contrasto con il principio della "par condicio creditorum".
La citata questione priva, per lo più, di pratiche ricadute (si tratta in genere di somme ammesse al passivo in via chirografaria con scarsissima possibilità per il creditore di trovare soddisfazione in sede di riparto) rappresenta in realtà un "piccolo nodo" irrisolto per i diversi atteggiamenti assunti dai vari concessionari che spesso si adeguano alle ancora più varie "prassi" affermatesi nei vari tribunali.
Sarebbe interessante sapere se anche in altri tribunali si è sviluppato un contenzioso su questo tema.

Svolgimento del processo
Con ricorso ai sensi dell'art. 101 L.F. la S.O.R.I.T. Ravenna S.p.A. ha proponeva domanda d'insinuazione tardiva al passivo del fallimento ALLCAVI S.r.l. di un credito di complessive lire 1.115.000 di cui lire 809.000 in via chirografaria per sanzioni ed interessi relativi a ritenute alla fonte e lire 306.000 per diritti esecutivi.
All'udienza del 6.11.2001 il curatore si opponeva all'ammissione allo stato passivo del fallimento della somma richiesta a titolo di diritti esecutivi.
Era, quindi, fissata l'udienza di cui all'art. 180 c.p.c. nel corso della quale si costituiva la curatela del fallimento ALLCAVI S.r.l. assumendo che la somma richiesta a titolo di diritti esecutivi non era dovuta al concessionario in sede concorsuale in quanto ciò avrebbe determinato una palese violazione della par condicio creditorum.
Senza svolgimento d'attività istruttoria, alla successiva udienza in data11.12.2001, la causa era trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dai rispettivi procuratori delle parti previa assegnazione del termine di legge per il deposito delle conclusionali e delle eventuali repliche.


Motivi della decisione
La contestazione della domanda proposta dalla SORIT S.p.A. è limitata alla sola parte del credito relativa ai c.d. diritti esecutivi.
Va, preliminarmente, osservato che in materia di riscossione dei tributi il legislatore, con l'intento di voler razionalizzare l'esercizio della fondamentale funzione della riscossione dei tributi e delle altre entrate dello Stato e degli Enti Pubblici, è profondamente intervenuto con la normativa emanata in attuazione della legge delega 28.9.1998 n.337.
L'attuale normativa di riferimento è costituita, pertanto, oltre che dalla stessa legge delega da tutta la normativa emanata in attuazione della stessa e in particolare, dal DPR 26.2.1999 n.46 con cui è stata profondamente innovata con la tecnica della novellazione la precedente disciplina della procedura di riscossione tramite ruolo contenuta nel D.P.R. 29.9.1973 n.602 e dal D.Lgs. 13.4.1999 n.112 che disciplina, fondamentalmente, i rapporti tra la Pubblica Amministrazione e i soggetti concessionari del servizio di riscossione.
Ciò che , quindi, va verificato (nella scarsità di produzione giurisprudenziale in materia) è il rapporto di compatibilità tra le suddette norme che disciplinano l'attività esecutiva del concessionario per la riscossione dei tributi verso la generalità dei contribuenti e la normativa speciale che con quella interferisce quando il contribuente inadempiente è l'imprenditore dichiarato fallito ed è , quindi, sottoposto all'esecuzione collettiva disciplinata dal R.D. 16.3.1942 n.267.
Con specifico riguardo alla materia dei compensi spettanti al concessionario la delega al Governo espressamente prevedeva l'osservanza del seguente criterio direttivo "previsione di un sistema di compensi collegati alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestività della riscossione e ai costi della riscossione, normalizzati secondo criteri individuati dal Ministero delle Finanze, nonché alla situazione socio-economica degli ambiti territoriali con il rimborso delle spese effettivamente sostenute per la riscossione delle somme successivamente sgravate, o dovute da soggetti sottoposti a procedure concorsuali".
In attuazione del suddetto criterio direttivo l'art. 17 del D.Lgs. 13.4.1999 n.112 prevede che l'attività del concessionario sia remunerata con un aggio sulle somme iscritte a ruolo riscosse la cui percentuale è determinata ogni biennio con apposito decreto del Ministero delle Finanze, di concerto con il Ministro del Tesoro e della programmazione economica, precisandosi al comma 3 che l'aggio può essere posto a carico del debitore in misura non superiore al 4,65% della somma iscritta a ruolo ed è dovuto dal debitore solo nel caso che il pagamento non sia avvenuto entro il termine di scadenza della cartella di pagamento.
A tale proposito occorre subito notare che la legge fallimentare nella fase d'accertamento del passivo non fa alcun riferimento al compenso per un'attività quale quella riferibile al concessionario della riscossione dei tributi il quale agisce per il recupero di crediti altrui remunerata secondo criteri di risultato dell'attività svolta sulla base delle difficoltà insite nella zona di competenza oltre che al costo del servizio in generale (vedi lett. a, b e c. del citato art. 17). L'aggio che con la riforma non è più parte integrante del ruolo rappresenta in maniera evidente il compenso per l'attività svolta dal concessionario che lo Stato pone a carico del debitore inadempiente.
Senonchè eventuali dubbi sull'opponibilità alla procedura fallimentare di tale maggior credito possano ritenersi superati ove si consideri che l'attuale normativa prevede che la cartella di pagamento, ove non pagata entro il termine di gg.60, costituisce già titolo esecutivo che consente al concessionario l'inizio dell'azione esecutiva di modo che l'aggio può ritenersi equiparato al credito cui qualsiasi altro creditore ha diritto per l'attività posta in essere per procurarsi un titolo esecutivo.
Diverso appare il discorso con riferimento al tema che qui interessa dei c.d. diritti esecutivi.
Ai sensi dell'art. 17 comma 6 dello stesso D.Lgs. 13.54.1999 n.112 al concessionario spetta il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle Finanze (nella specie D.M. 21.11.2000 n.1160).
Il suddetto rimborso è posto a carico dell'ente impositore solo ove il ruolo sia stato annullato a seguito di provvedimento di sgravio oppure il concessionario ne abbia comunicato l'inesigibilità.
Diversamente il rimborso è a carico del debitore.
A fronte di una simile disciplina occorre, d'altro canto, osservare che in materia fallimentare il principio fondamentale è che le spese sostenute dal creditore per l'attività svolta per insinuarsi al passivo del fallimento sono limitate alle sole spese vive borsuali indispensabili per la presentazione della domanda d'ammissione e per la documentazione del credito che , sebbene sorte successivamente alla dichiarazione di fallimento, possono essere riconosciute in quanto accessorie del credito, data la loro inevitabilità.
Nella specie la forfetizzazione effettuata nella tabella dei rimborsi per le spese relative alle procedure esecutive (all. A del D.M. 21.11.2000 n.1160) che prevede la somma di lire 300.000 quale rimborso per l'istanza d'insinuazione nelle procedure concorsuali sino ad un credito di lire 2.000.000 con aumento delle stesse in base all'aumentare del credito fino al 1000% oltre la somma di lire 1.000.000.000 appare mal conciliabile sia con il criterio direttivo della legge-delega, sia con la normativa fallimentare.
Per quanto riguarda le insinuazioni tempestive l'ammissione tout court di simile forfetizzazione di spese si pone in contrasto non solo con il criterio direttivo della legge-delega che limita il rimborso alle sole "spese effettivamente sostenute per la riscossione delle somme successivamente sgravate, o dovute da soggetti sottoposti a procedure concorsuali" ma anche con il pacifico e consolidato indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte che tutte le volte che è stata chiamata a decidere su questioni analoghe ha stabilito che il rimborso spettante ai creditori per far valere il proprio credito mediante domanda d'insinuazione al passivo del fallimento è limitato alle sole spese vive espressamente documentate (c.d. spese borsuali) per la fondamentale considerazione che "per effetto dello spossessamento generale del fallito che deriva dalla dichiarazione di fallimento, il patrimonio destinato alla soddisfazione collettiva dei creditori diviene insensibile anche agli atti successivi dei singoli creditori che verrebbero ad alterare la par condicio creditorum. Da ciò deriva l'impossibilità di variare l'entità dei crediti stessi, sia pure per aggiungere somme che potrebbero a prima vista apparire quale un accessorio e quale una derivazione necessaria dei crediti medesimi ma che in realtà tali non sono sia perché il tenerne conto verrebbe turbare la par condicio creditorum ……, sia perché si verrebbe ad imporre una maggiorazione sul patrimonio separato del fallimento con pregiudizio degli altri creditori e della gestione fallimentare…."
La considerazione che tale rimborso spese per diritti esecutivi sia dovuto in quanto, espressamente, previsto nella normativa delegata e quantificato nella normativa regolamentare attuativa (fonte, certamente, subordinata a quella che disciplina la materia fallimentare) della stessa prova troppo e non appare, in sé e per sé, convincente.
In primo luogo, l'interpretazione della normativa delegata e della fonte regolamentare deve trovare limite nei principi e criteri direttivi espressamente indicati dalla legge-delega di modo che tra le interpretazioni possibili va preferita quella costituzionalmente compatibile con il principio secondo cui alla delega e alla sua formula a carattere normativo generale deve risultare corrispondere l'esercizio del potere delegato.
Nella normativa delegata al criterio dell'onere effettivamente sostenuto dal concessionario per l'esazione del credito erariale nelle procedure concorsuali è subentrato il diverso principio di correlare il rimborso all'ammontare del credito erariale da insinuare allo stato passivo.
In secondo luogo, la normativa delegata e, in particolare, il decreto ministeriale non tiene in alcun conto il principio cardine della par condicio creditorum che connota in materia determinante tutta l'esecuzione collettiva che si apre con la dichiarazione di fallimento.
D'altra parte la norma che attiene alla quantificazione di un diritto, in fattispecie, particolari non sottintende come necessario presupposto, l'esistenza ed opponibilità a terzi del diritto stesso indipendentemente dalle condizioni fissate dalle disposizioni che regolano in generale l' "an debeatur", ma è conciliabile con le disposizioni medesime, mantenendo una sua portata logica ed un suo coerente ambito di applicazione, sotto il profilo della determinazione tariffaria dell'entità del credito, quando esso sussista e sia esercitatile secondo la disciplina generale. Peraltro, ove si volesse cogliere nell'art. 17 comma 6 del D.Lgs. 112/99 e del relativo decreto di attuazione una valenza derogativa del principio della legge fallimentare, il relativo dubbio si dovrebbe risolvere in termini negativi, in quanto la diversa interpretazione non si sottrarrebbe a sospetti d'illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 Cost..
L'attribuzione in favore del concessionario del rimborso delle spese previste dal citato art. 17 come quantificate forfetariamente nel decreto ministeriale attuativo introdurrebbe un vantaggio ingiustificato per un creditore a discapito degli altri creditori in aperto conflitto con il principio di uguaglianza di trattamento di situazioni simili.
Ne consegue che l'unica interpretazione costituzionalmente compatibile con gli artt. 76 e 3 Cost. sia quella che porta ad escludere l'applicabilità di tale forfetizzazione nel caso di debitori sottoposti a procedure concorsuali nei confronti dei quali la legittimità della richiesta di spese va limitata alle sole spese effettivamente sostenute, di modo che l'accesso alla procedura di sgravio per inesigibilità di tali somme da porre a carico dell'ente creditore ai sensi del combinato disposto dell'art. 17 comma 6 lett. a) e 19 comma 1 D.Lgs. 112/1999 può essere garantito anche dal decreto del giudice delegato che ne esclude l'ammissione al passivo per tutte le ragioni sopra esposte. Per quanto riguarda le insinuazioni tardive valgono le stesse considerazioni.
Il riferimento a queste ultime da parte del D.M. 21.11.2000 n.1160 offre un ulteriore argomento che rafforza l'opinione fin qui espressa.
Nel caso d'insinuazioni tardive l'allegato B) allo stesso D.M. 21 11.2000 n.1160 prevede, infatti, la tabella delle attività soggette a rimborso svolta da soggetti esterni tra cui è descritta quella relativa all'assistenza legale nelle procedure concorsuali senza ulteriori specificazioni.
Se tale rimborso fosse dovuto, in sede concorsuale, per il sol fatto di essere indicato nella tabella (così come si pretenderebbe per il rimborso delle spese per i c.d. diritti esecutivi) si verificherebbe un inconciliabile contrasto e un palese violazione del principio d'uguaglianza con quanto previsto dall'art. 101 comma 4 L.F. che limita il rimborso delle spese conseguenti al ritardo (per es. quelle sostenute per la necessità dell'assistenza legale) solo nel caso che questo non sia imputabile al creditore.
Non v'è dubbio, peraltro, che la difficoltà di trovare un giusto e ragionevole contemperamento tra le norme sul fallimento e la normativa speciale sulla riscossione delle imposte, la relativa incertezza giurisprudenziale nell'intepretazione della normativa di riferimento e l'assenza di precedenti giurisprudenziali specifici giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite del presente giudizio

P.Q.M.
Il Tribunale di Ravenna, definitivamente, pronunciando sulla causa in epigrafe trascritta, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa
- respinge la domanda d'insinuazione tardiva proposta dalla SORIT Ravenna S.p.A. limitatamente alla somma di lire 306.000 richiesta a titolo di diritti esecutivi.

Così deciso in Ravenna nella Camera di Consiglio del 4.2.2002.

il giudice estensore

il presidente


 

 











 

 

 


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