Corte Costituzionale, 19 marzo 2002, Ordinanza, Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 L.F., sollevata in riferimento all’art. 111 della Costituzione, nella parte in cui il primo prevede che il ricorso in opposizione allo stato passivo sia presentato al giudice delegato ed il secondo prevede che il giudice delegato sia il giudice istruttore della causa di opposizione

ORDINANZA N.75

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Massimo VARI Presidente

- Riccardo CHIEPPA Giudice

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "


ha pronunciato la seguente


ORDINANZA


nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 25 gennaio 2001 dal Tribunale di Milano sul ricorso proposto da Caguana Valentin Pablo Antonio contro Fallimento Isla de John Martin s.a.s. di Maragno Rosa & C., iscritta al n. 224 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 25 gennaio 2001, il giudice del Tribunale di Milano, delegato al fallimento della Isla de John Martin s.a.s. di Maragno Rosa & C., ha sollevato, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui il primo prevede che il ricorso in opposizione allo stato passivo sia presentato al giudice delegato ed il secondo prevede che il giudice delegato sia il giudice istruttore della causa di opposizione";

che, ad avviso del rimettente, l’aspetto realmente innovatore del novellato art. 111 Cost. va individuato nella acquisita autonomia dei principi da esso fissati, ed in particolare del principio dell’indipendenza del giudice, rispetto ai singoli precetti costituzionali di cui agli artt. 24, 25, 101 e 111 (vecchio testo) Cost.;

che da tale considerazione discenderebbe una valutazione di "potenziale conflitto" tra l’art. 98 della legge fallimentare e lo stesso art. 111 Cost., nella parte in cui quest’ultimo prevede che il processo debba svolgersi davanti ad un giudice imparziale;

che il giudice infatti – sempre secondo il rimettente – può ritenersi davvero imparziale "soltanto se il suo approccio al processo non è alterato da conoscenze acquisite in precedenza (nell’esercizio delle funzioni giudiziarie) che si collochino al di fuori del medesimo giudizio e se, biunivocamente, le conoscenze apprese nel processo possano condizionare l’esercizio delle altre funzioni assegnategli e ciò indipendentemente dal fatto [...] che vi sia identità di valutazione contenutistica della fattispecie";

che la più recente giurisprudenza della Corte, ed in particolare la sentenza n. 387 del 1999, sembrerebbe al riguardo voler superare – ad avviso del rimettente - quella diversità di approccio fra il processo penale e quello civile che aveva condotto la stessa Corte ad affermare, in passato, che il problema della prevenzione cognitiva si attenua nel processo civile per effetto della mediazione offerta dall’impulso paritario delle parti;

che il medesimo rimettente si dice consapevole del fatto che questione analoga a quella da lui sollevata è stata dichiarata non fondata con sentenze n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970 e manifestamente infondata con ordinanza n. 304 del 1998;

che, tuttavia, gli argomenti posti a base della pronuncia di manifesta infondatezza sarebbero, a suo avviso, suscettibili di critica, sia nella parte in cui tenderebbero a sminuire il ruolo del giudice delegato nell’ambito del collegio, nella fase di opposizione, sia nella parte in cui mirerebbero a sottolineare una profonda diversità di profilo cognitorio tra la fase della verifica del passivo e la fase dell’opposizione, sull’assunto che nella fase sommaria la cognizione sarebbe limitata a prove cartolari;

che, sotto il primo profilo, la natura collegiale dell’organo cui è affidata la decisione nel giudizio di opposizione non costituirebbe garanzia sufficiente a salvaguardare il principio della imparzialità del giudice;

che, sotto il secondo aspetto, da un lato non sarebbe corretto affermare che nel processo di opposizione allo stato passivo possano essere assunti tutti i mezzi di prova previsti per il processo di cognizione, essendo escluse le prove costituende che presuppongono la disponibilità della lite, come la confessione ed il giuramento, dall’altro sarebbe altresì inesatta l’affermazione secondo cui, nella fase della verificazione del passivo, le uniche prove utilizzabili dal giudice delegato sarebbero quelle cartolari, potendo egli assumere anche le opportune informazioni previste dall’art. 95 della legge fallimentare;

che nemmeno potrebbe ritenersi, d’altro canto, al fine di escludere il denunciato vizio di legittimità costituzionale, che la fase necessaria della verifica sommaria del passivo e quella eventuale dell’opposizione costituiscano fasi dello stesso processo, dovendo al contrario riconoscersi la natura impugnatoria del giudizio di opposizione allo stato passivo;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza o, in subordine, di infondatezza della questione, in quanto identica a quella già dichiarata non fondata con sentenze n. 157 del 1970 e n. 94 del 1975;

che nelle suddette sentenze si porrebbe in luce come il processo fallimentare sia ispirato al principio della concentrazione presso i suoi organi di ogni controversia che ne deriva, con conseguenti inevitabili collegamenti ed interferenze processuali, non rilevanti tuttavia agli effetti della legittimazione del giudice, "per la prevalente apprezzabile esigenza di portare allo stesso organo giurisdizionale tutto il procedimento e di ridurlo ad unità";

che tali considerazioni resterebbero valide – ad avviso dell’Avvocatura – anche dopo la riforma del processo civile operata dalla legge n. 353 del 1990, stante la riserva di collegialità riguardante le controversie in tema di opposizione allo stato passivo, verosimilmente ispirata proprio dall’esigenza di mantenere una dialettica interna all’organo, in considerazione della partecipazione al collegio del magistrato da cui il provvedimento opposto promana;

che la stessa Corte, del resto, dichiarando manifestamente infondata la medesima questione, con ordinanza n. 304 del 1998, ha precisato che condizione necessaria per l’incompatibilità endoprocessuale è la preesistenza di valutazioni ricadenti sulla medesima res iudicanda e che non vi è identità di res iudicanda quando due cognizioni dello stesso fatto siano caratterizzate – come appunto, secondo la parte pubblica, è nella specie - l’una dalla particolare sommarietà e l’altra dalla completezza dell’accertamento effettuato sulla base di tutto il materiale probatorio acquisibile;

che la sentenza n. 387 del 1999 – diversamente da quanto il rimettente mostra di ritenere – non modificherebbe, ad avviso ancora dell’Avvocatura, siffatta impostazione né il testo novellato dell’art. 111 Cost. introdurrebbe elementi di novità nella questione, essendo indubbio che il valore costituzionale della terzietà ed imparzialità del giudice fosse già acquisito nella costituzione vivente e nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale.

Considerato che questa Corte, con ordinanza n. 167 del 2001, ha dichiarato identica questione manifestamente infondata, anche con riferimento al novellato art. 111 Cost.;

che si osserva in tale pronuncia come già nelle precedenti sentenze n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970 e nell’ordinanza n. 304 del 1998 – richiamate dallo stesso rimettente – fosse stata esclusa qualsiasi incompatibilità tra l’attività istruttoria e decisoria relativa alla causa di opposizione allo stato passivo e quella svolta in precedenza dal giudice delegato per la formazione dello stato passivo;

che l’evocazione dell’ulteriore parametro rappresentato appunto dall’art. 111 Cost., nella nuova formulazione, non introduce – rispetto a tale giurisprudenza - "profili nuovi o diversi di illegittimità costituzionale, essendo la terzietà ed imparzialità del giudice – alla cui stregua la questione è posta – pienamente tutelate nella carta costituzionale, anche anteriormente alla citata novella";

che nella medesima pronuncia si rileva altresì come non sia pertinente il richiamo, operato anche dall’attuale rimettente, ai principi enunciati nella successiva sentenza n. 387 del 1999, del resto pienamente coerente con la precedente giurisprudenza della Corte in argomento, in quanto la formazione dello stato passivo ad opera del giudice delegato e la pronuncia sulla (eventuale) opposizione al medesimo stato passivo non attengono alle stesse valutazioni decisorie, né i due provvedimenti sono contraddistinti da una uguale idoneità al giudicato;

che, sotto il primo aspetto, va ribadita la netta distinzione tra la cognizione sommaria del giudice delegato – il cui potere di assumere "le opportune informazioni" non può certo essere confuso con la possibilità, a lui certamente negata, di avvalersi di ogni mezzo di prova – e quella piena del giudice dell’opposizione, che incontra i soli limiti connaturati alla indisponibilità della materia;

che, per quanto riguarda il secondo profilo, alla stregua del diritto vivente, l’efficacia preclusiva dello stato passivo non opposto è di natura meramente endoprocessuale e solo la sentenza resa sulla opposizione è suscettibile di assumere effetti di giudicato;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.


PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, dal giudice delegato del Tribunale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 febbraio 2002.

Massimo VARI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2002.

 

 

 

 











 

 

 


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