Tribunale
di S. Maria C.V. sezione fallimentare - Decreto 9 aprile 2002
- Rel. Ceniccola, Nuova nozione di imprenditore agricolo
alla luce dell'art. 2135 c.c. come modificato dal d.lgs. n.
228/01
(Omissis)
Dal certificato della CCIAA emerge che la fallenda ha per
oggetto sociale, tra l'altro, "la coltivazione diretta
dei terreni" nonché "l'esercizio dell'attività
primaria della floricoltura, soprattutto di fiori recisi
".
Le successive indagini affidate alla G.d.f. hanno consentito
di accertare, in punto di fatto, che "l'attività
viene svolta in un impianto di serra in vetro, suddivisa in
settori, all'interno della quale vi è un impianto costituito
da bancali su cui si trovano piantine di fiori e piante ornamentali,
nei rispettivi contenitori, distinte nelle diverse fasi del
ciclo biologico; è stata rilevata, poi, l'esistenza
di un'avanserra adibita al confezionamento dei prodotti in
cui sono ubicate alcune celle frigo ed un impianto per l'irrigazione
e la concimazione dei prodotti".
Va pertanto esaminato se nell'attività, concretamente
posta in essere dalla resistente, siano riscontrabili i connotati
dell'impresa agricola, sottratta al fallimento.
Ai sensi del nuovo art. 2135 c.c., come modificato dal d.
lgs. 18.5.2001 n. 228, "è imprenditore agricolo
chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione
del fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attività
connesse", intendendosi tali "le attività
dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o
di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale
o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il
bosco o le acque
Si intendono comunque connesse le attività
dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto
prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo
o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le
attività dirette alla fornitura di beni o di servizi
mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse
dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola
esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione
del territorio e del patrimonio rurale e forestale
".
Sempre ai sensi della normativa richiamata, "si considerano
imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli
quando utilizzano per lo svolgimento delle attività
di cui all'art. 2135 c.c., come sostituito dal comma 1 del
presente articolo, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero
forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti
alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico".
Come evidentemente emerge dal testo sopra richiamato, la nuova
disciplina considera agricola la coltivazione del fondo, la
silvicoltura, l'allevamento di animali ove, senza che sussista
un necessario collegamento con il fondo, il bosco o le acque,
siffatte attività siano rappresentate dalla cura e
sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del
ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, onde non vi
è dubbio che la adozione del criterio della cura e
dello sviluppo di un ciclo biologico, animale o vegetale,
costituisce il principale elemento innovativo della nuova
formulazione dell'art. 2135 c.c.
Pertanto la nuova definizione elimina tutti i possibili dubbi
del passato circa l'agrarietà di determinate coltivazioni
in serre o capannoni, o ancora di quelle fuori terra di ortaggi
o frutta, aeroponiche o idroponiche, della coltivazione al
chiuso di funghi o della floricoltura effettuata mediante
l'utilizzo di serre coperte o scoperte, riscaldate o no (già
in passato, sul carattere agricolo di tale ultima attività,
cfr. Cass. 24 luglio 1996, n. 6662 in Giur. It., 1997, I,
1, 298; App. Catanzaro 12 luglio 1995 in Riv. Not. 1996, 971;
Trib. Forlì 15 febbraio 1997 in Il Fallimento 1997,
634).
L'ancoraggio della nozione di attività agricola al
criterio del ciclo biologico, animale o vegetale, ha determinato,
in certa misura, il superamento dell'orientamento -prevalente
prima dell'attuale riforma- secondo il quale con i termini
di coltivazione del fondo, silvicoltura ed allevamento del
bestiame si enunciava un preciso collegamento tra l'attività
agricola e la terra, sostenendosi, da questo filone interpretativo,
che qualunque attività agricola per essere tale doveva
comunque essere collegata allo sfruttamento del fondo. Secondo
tale impostazione "non è imprenditore agricolo
chi gestisce un vivaio e coltivi piante, fiori ornamentali
e frutta per la successiva vendita" (cfr. Trib. Roma
2 aprile 1991 in Il Fallimento 1991, 1199) e "l'esercizio
dell'attività di vivaista diretta alla coltivazione
e vendita di piante e fiori rientra in quella agricola solo
se risulti connessa alla coltivazione del fondo e comunque
sia ad essa complementare" (cfr. Trib. Roma 15 aprile
1993 in Il Fallimento 1993, 1073).
Tuttavia, come attentamente osservato da dottrina assai autorevole,
negli ultimi tempi la spinta ad accantonare la centralità
dell'elemento fondiario nella produzione agricola è
sembrata sempre più forte a fronte della diffusione
di nuove forme di attività collaterali e complementari
a quella dell'imprenditore agricolo, quali le imprese di servizi
e la nascita di imprese operanti nel 'comparto' agrario che,
in assenza del collegamento del fondo, non erano riconducibili
alla nozione civilistica di impresa agraria presupposta a
suo tempo dal legislatore al fine di ottenere i vantaggi dell'esclusione
del fallimento e della tenuta delle scritture contabili.
Di qui la nascita di un nuovo filone interpretativo che, pur
riconoscendo la necessità del collegamento col fondo,
giustificava in parte la specificità dello statuto
dell'imprenditore in funzione del duplice rischio economico
ed ambientale gravante sull'impresa agraria.
Il successivo allargamento della definizione dei confini della
materia agricola rispetto alle enunciazioni dell'art. 2135
c.c. è intervenuto con i Regolamenti CE, nei quali
si è ipotizzata una nozione estremamente ampia di imprenditore
agricolo comprendente, ad esempio, anche chi esercita la pesca
, e con le leggi speciali (cfr. ad es. la l. 3 maggio 1971
n. 419 art. 2 che, in applicazione di regolamenti comunitari,
ha disciplinato i titolari di imprese avicole; la l. 5 febbraio
1992 n. 102 che considera agricola "la produzione di
proteine animali in ambiente acquatico mediante il controllo,
parziale o totale, diretto o indiretto, del ciclo di sviluppo
di organismi acquatici; la l. 23 agosto 1993 n. 349 che considera
agricola l'attività diretta all'allevamento di razze
canine a determinate condizioni quantitative; il d.p.r. 30
giugno 1965 n. 1124 art. 206 che considera agricole le attività
di allevamento di "specie suinicole, avicole, cunicole,
itticole, dei selvatici a scopo alimentare e quelle attinenti
all'apicoltura, bachicoltura e simili).
Il definitivo superamento della nozione tradizionale è
intervenuto con il decreto legislativo n. 228 del 2001 che
pone a centro della nozione di imprenditore agricolo l'esercizio
di attività "dirette alla cura ed allo sviluppo
di un ciclo biologico" (o di una sua fase necessaria)
"che utilizzano o possono utilizzare" il fondo,
il bosco o le acque.
Due appaiono adesso -in definitiva- gli elementi costitutivi
della nozione giuridicamente rilevante dell'attività
agricola:
- il ciclo biologico, che va inteso come il complesso di attività
dirette al mantenimento o all'evoluzione di una specie vegetale
o animale;
- l'utilizzo del fondo, quale strumento, effettivo o solamente
potenziale, per l'esercizio di tale attività.
Orbene non vi è dubbio che tali elementi siano contemporaneamente
presenti nel tipo di attività concretamente esercitata
dalla società resistente, giacchè la floricoltura:
- ha come oggetto uno specifico ciclo biologico, ossia la
coltivazione di fiori (e di piante in genere);
- utilizza il fondo non solo in modo effettivo (tenendo conto,
in una logica atomistica, della porzione di terreno necessaria
per effettuare l'implantazione) ma anche potenziale (considerando
la possibilità di effettuare trapianti dal o nel fondo,
operazione che può addirittura rendersi necessaria
quando, a fronte di cicli biologici in fase avanzata, le esigenze
di mantenimento della specie vegetale impongono l'utilizzo
diretto del fondo) .
Sotto il profilo soggettivo, poi, nessun ostacolo pone, alla
ritenuta qualificazione in termini di imprenditore agricolo,
la forma di ente cooperativo.
Già costituiva opinione pacifica della giurisprudenza
che l'attività svolta dalla cooperativa fosse da considerare
agricola sul rilievo che l'ente agiva come organo comune dei
singoli imprenditori, "in quanto questi ultimi trasferivano
o per suo mezzo attuavano quelle stesse attività che
prima ciascuno di essi esercitava in proprio", presentandosi,
in definitiva, l'ente come meramente sostitutivo dell'attività
dei singoli soci (cfr. Cass. sez. un. 28 maggio 1976 n. 1925
in Giust. Civ. 1976, I, 1248).
Oggi l'art. 1 co. 2 del d. lgs. n. 228/01 espressamente riconosce
la natura agricola delle cooperative di imprenditori agricoli
quando utilizzano per una qualsiasi attività indicata
dall'art. 2135 c.c. prevalentemente prodotti dei soci "ovvero
forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti
alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico" (Omissis)
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