Corte
Costituzionale, 11 - 22 aprile 2002, Ordinanza n. 131, Manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dellart. 10 L.F. nella parte in cui non prevede che
per limprenditore individuale il termine di un anno
per la dichiarazione di fallimento decorre dalla pubblicazione
della cessazione dellattività nel registro delle
imprese
Nella
ordinanza.
La
Corte Costituzionale dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dellart.
10 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, dellamministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, «nella
parte in cui non prevede che per limprenditore individuale
il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento decorre
dalla pubblicazione della cessazione dellattività
nel registro delle imprese».
L'affermazione
secondo cui «la cessazione dellattività
di impresa, ai fini della decorrenza del termine annuale entro
il quale può essere dichiarato il fallimento dellimprenditore
(art. 10 legge fallimentare), presuppone che nel detto periodo
non vengano compiute operazioni intrinsecamente identiche
a quelle poste in essere nellesercizio dellimpresa»
(Cassazione 4 settembre 1998, n. 8781), non sia affatto incompatibile
con lefficacia dichiarativa della iscrizione nellapposito
registro della cessazione dellattività di impresa
in quanto la pubblicità della cessazione non esclude
certo la possibilità per i terzi di provare la non
veridicità del fatto iscritto e, dunque, in ipotesi,
il compimento di atti di esercizio dellimpresa successivamente
alliscrizione della sua cessazione.
Va,
pertanto, ribadito che linterpretazione sulla cui base
il rimettente solleva la questione di costituzionalità
è erroneamente qualificata in termini di diritto vivente
e non è sicuramente lunica compatibile con il
testo della norma denunciata;
Essendo,
conseguentemente, possibile dare della norma stessa una interpretazione
conforme a Costituzione, la questione va dichiarata manifestamente
infondata.
Ordinanza
Presidente
Vari - relatore Marini
Nel
giudizio di legittimità costituzionale dellart.
10 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, dellamministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso
con ordinanza emessa l8 marzo 2001 dal Tribunale di
Pistoia sulle istanze riunite proposte da Conceria Peretti
s.p.a. ed altre nei confronti di P.R. Salotti di Petreti Rodolfo,
iscritta al n. 454 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie
speciale, dellanno 2001.
Udito
nella camera di consiglio del 13 marzo 2002 il Giudice relatore
Annibale Marini.
Ritenuto
che, con ordinanza emessa l8 marzo 2001, il Tribunale
di Pistoia chiamato a pronunciarsi su talune istanze
di fallimento nei confronti di un imprenditore commerciale
- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dellart.
10 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, dellamministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), «nella
parte in cui non prevede che per limprenditore individuale
il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento decorre
dalla pubblicazione della cessazione dellattività
nel registro delle imprese»;
che,
ad avviso del giudice a quo, la disciplina riguardante il
fallimento dellimpresa individuale che abbia cessato
la propria attività risulterebbe - alla stregua del
diritto vivente - sostanzialmente diversa da quella dettata
per limpresa collettiva dalla stessa legge fallimentare,
come emendata dalla sentenza della Corte costituzionale n.
319 del 2000;
che,
infatti, il termine di cui allart. 10 della legge fallimentare
decorrerebbe per la impresa collettiva dalla data della sua
cancellazione dal registro delle imprese, per limpresa
individuale dalla data di effettiva cessazione dellattività;
che
siffatta diversità di disciplina si porrebbe in contrasto
con lart. 3 della Costituzione, determinando una ingiustificata
disparità di trattamento tra i creditori dellimprenditore
collettivo, nei cui confronti assumerebbe rilevanza la pubblicità
prevista dallart. 2196 del codice civile, ed i creditori
dellimprenditore individuale, ai quali la cessazione
dellattività di impresa sarebbe opponibile a
prescindere da qualsiasi pubblicità, con conseguente
lesione, nei confronti di costoro, anche del diritto alla
tutela giurisdizionale, garantito dallart. 24 della
Costituzione.
Considerato
che questione identica a quella sollevata dallodierno
rimettente è stata dichiarata manifestamente infondata
con ordinanza n. 361 del 2001;
che,
successivamente allentrata in vigore della legge 29
dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura), istitutiva del registro
delle imprese, va esclusa la configurabilità di un
diritto vivente sulla rilevanza, ai fini della decorrenza
del termine di cui allart. 10 della legge fallimentare,
della semplice cessazione di fatto dellimpresa individuale;
che
nella stessa ordinanza è stato, altresì, evidenziato
come laffermazione costante nella giurisprudenza,
anche recente, della Cassazione secondo cui «la
cessazione dellattività di impresa, ai fini della
decorrenza del termine annuale entro il quale può essere
dichiarato il fallimento dellimprenditore (art. 10 legge
fallimentare), presuppone che nel detto periodo non vengano
compiute operazioni intrinsecamente identiche a quelle poste
in essere nellesercizio dellimpresa» (Cassazione
4 settembre 1998, n. 8781), non sia affatto incompatibile
con lefficacia dichiarativa della iscrizione nellapposito
registro della cessazione dellattività di impresa
in quanto la pubblicità della cessazione non esclude
certo la possibilità per i terzi di provare la non
veridicità del fatto iscritto e, dunque, in ipotesi,
il compimento di atti di esercizio dellimpresa successivamente
alliscrizione della sua cessazione;
che
va, pertanto, ribadito che linterpretazione sulla cui
base il rimettente solleva la questione di costituzionalità
è erroneamente qualificata in termini di diritto vivente
e non è sicuramente lunica compatibile con il
testo della norma denunciata;
che,
essendo, conseguentemente, possibile dare della norma stessa
una interpretazione conforme a Costituzione, la questione
va dichiarata manifestamente infondata.
Visti
gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.
Per questi motivi la Corte Costituzionale
dichiara
la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dellart. 10 del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dellamministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Pistoia, con lordinanza
in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2002.
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