Ruoli della Corte Suprema di Cassazione

Questioni all'esame

Udienza del 9 febbraio 2001- Fallimento - Amministrazione straordinaria - Ex D.L. 26/1979 - Crediti di lavoro sorti successivamente - (Non) assoggettamento alla procedura concorsuale.

La fattispecie oggetto del ricorso trae origine dall'impugnazione davanti al pretore del lavoro del provvedimento con cui un dirigente di una società in amministrazione straordinaria, assunto con tale qualifica dal commissario, era stato successivamente licenziato. Il giudice adito, disattesa l'eccezione di incompetenza funzionale sollevata sul presupposto che la causa doveva essere devoluta alla cognizione del tribunale fallimentare, dichiarava la propria incompetenza per territorio rimettendo le parti dinanzi ad altro pretore del lavoro. Riassunta la causa, tale pretore, con sentenza non definitiva, rigettava la pregiudiziale eccezione di incompetenza funzionale in quanto già decisa con autorità di giudicato dal precedente giudice, la cui sentenza non era stata in parte qua tempestivamente impugnata dal commissario straordinario; quindi, con sentenza definitiva, dichiarava la illegittimità del licenziamento, rigettando altre pretese del ricorrente. L'appello proposto dalla società in amministrazione straordinaria contro la prima decisione veniva dichiarato inammissibile. Contro la sentenza definitiva, il tribunale, investito dei gravami di ambo le parti, dichiarava la nullità della decisione del pretore per "improponibilità e/o improcedibilità temporanea della domanda", precisando in motivazione che la relativa questione era stata esaminata e delibata in prime cure solo ai fini della diversa questione sulla competenza.

La questione definita di particolare rilevanza dal Collegio remittente assume tale connotato non solo perché pone ab intrinseco problematiche di rilievo con riferimento a fondamentali istituti del codice di rito civile ma anche per il fatto di vedere coinvolte, nelle loro reciproche interferenze, tematiche di ampio respiro, che occorre preliminarmente affrontare. Più specificatamente, i problemi involti dalla questione in esame riguardano: la natura del procedimento di verifica disciplinato dalla legge fallimentare; il rapporto tra tale giudizio e quello ordinario di cognizione; la sanzione processuale applicabile alla domanda presentata davanti al giudice ordinario che abbia a oggetto una pretesa creditoria nei confronti di imprenditore sottoposto a una delle procedure concorsuali previste dal nostro ordinamento positivo; l'individuazione della figura processuale cui tale sanzione deve ricondursi; gli eventuali limiti alla sua rilevazione da parte del giudice ordinario.

Per validare l'esattezza delle varie soluzioni date ai cennati problemi, é necessario prendere le mosse da quanto viene comunemente prospettato nel processo di fallimento, per poi vedere se analoghi principi possono valere anche per le procedure concorsuali non giurisdizionali.
(Estratto della relazione dell'Ufficio del Massimario n. 54/2000, R.G.9197/97)

- Fallimento - Decreti del giudice delegato - Reclami al tribunale - Produzione provvedimento impugnato - Mancanza - Conseguenze - Diritto del fallito alla consultazione dell'intero fascicolo fallimentare - Limiti.

Vengono prospettate tre questioni distinte riguardanti:

a) i limiti entro cui é consentito il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento emesso dal tribunale fallimentare in sede di reclamo avente ad oggetto provvedimenti del giudice delegato con particolare riguardo alla possibilità di procedere all'esame del merito in presenza di una statuizione d'inammissibilità;

b) l'applicabilità ai procedimenti in camera di consiglio in materia fallimentare della disposizione dettata in materia d'impugnazione ordinaria relativamente all'improcedibilità dell'impugnazione in caso di mancato deposito della copia dell'atto impugnato.

A tale ultimo riguardo il nodo interpretativo si pone in forza della peculiarità del procedimento fallimentare regolato dall'art. 26 l.f. nel quale, in maniera difforme rispetto all'impugnazione ordinaria, nel quale l'onere del deposito della sentenza appellata é collegato alla necessità di consentire al giudice di avere cognizione dell'atto impugnato, devesi presumere siffatta conoscenza sia perché fa parte del collegio giudicante anche il g.d. che ha emesso l'atto reclamato, sia perché il tribunale fallimentare, in quanto organo della procedura, ha sempre e comunque la piena disponibilità del fascicolo fallimentare.

Con la sentenza n. 363 del 6.11.98 la Corte Costituzionale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale degli art. 25 e 26 r.d. 16.3.42 n. 267 nella parte in cui prevedono che il g.d. partecipi al collegio in sede di reclamo, osservando che tale mezzo di gravame non si colloca in un ulteriore grado del giudizio, ma rappresenta un momento della procedura, della cui continuità il g.d., che ha la compiuta conoscenza della procedura, rappresenta il garante. In funzione di tale ruolo la l.f., ad avviso della Corte Costituzionale, ha previsto il raccordo fra gli organi giurisdizionali della procedura attraverso l'obbligo del primo di riferire su ogni affare.

Se ciò é vero, si dovrebbe dubitare dell'obbligo del reclamante di depositare la copia del decreto, reclamato.

c) l'applicabilità, infine, alla procedura fallimentare delle disposizioni ordinarie che regolano la consultazione degli atti inseriti nei fascicoli processuali.

Secondo il fermo indirizzo di legittimità, espresso nelle pronunzie citate (Cass. 30.12.98 n. 12890, Cass. 11.12.87 n. 9171, Cass. 20.9.93 n. 9617, Cass. 15.1.79 n. 297 e Cass. 25.7.72 n. 2547), i soggetti coinvolti nella procedura fallimentare intanto hanno accesso alla consultazione degli atti in quanto ne forniscano specifica indicazione e chiedano (ed ottengano) autorizzazione a prenderne visione al g.d., il cui decreto, autorizzativo di rifiuto, é reclamabile al tribunale fallimentare.

Nel processo ordinario, la materia é regolata dagli artt. 743 e 744 c.p.p., la cui funzione precettiva é limitata dall'art. 76 disp. Att. C.p.c., applicabile sia al giudizio di cognizione che a quello esecutivo, che consente alle parti, ovvero ai loro difensori muniti di procura di esaminare i fascicoli d'ufficio e di estrarre copia degli atti in essi inseriti. Nella procedura concorsuale, per la quale manca specifica previsione, unica disposizione rinvenibile é quella contenuta nell'art. 41 l.f. che attribuisce al comitato dei creditori il potere di ispezionare documenti e scritture contabili.

L'esigenza di riservatezza tipica della procedura fallimentare, al di fuori di detto ristretto ambito, non incontra limiti prefissati in linea astratta. Di qui l'esigenza di coniugare, attuando un giusto contemperamento, tale garanzia con il principio generale di trasparenza, e di adattarlo alla peculiare posizione del fallito, la cui partecipazione ad alcuni dei momenti più salienti della procedura é sancita dagli art. 87-95-105 e 116 l.f.. Rileva, ancora, che l'esigenza anzidetta si coglie in particolare nel caso in cui il fallito pretenda dare concreta attuazione al suo diritto di predisporre la difesa nell'ambito di un procedimento penale per reati che abbiano il loro presupposto nel fallimento, ed invochi l'esercizio della facoltà che l'art. 38 disp. Att. C.p.p. gli concede di svolgere investigazioni per ricercare elementi di prova a suo favore.

Alla stregua di tali osservazioni, dunque, ci si interroga sulla condivisibilità e fondatezza dell'interpretazione sinora accreditata che pone a carico del soggetto che propone l'istanza di consultazione del fascicolo l'onere di indicare gli atti che intende prendere in visione. Tale adempimento presuppone, infatti, la conoscenza del contenuto del fascicolo e nega la possibilità di ricercare elementi utili di difesa che potrebbero rinvenirsi in atti e documenti ulteriori non visionati perché neppure conosciuti e quindi non segnalabili.
(Estratto della relazione dell'Ufficio del Massimario n. 70/2000, R.G. 3193/98).

- Fallimento - Pegno irregolare - Prelazione - Condizioni - (Non) necessità previa ammissione credito garantito al passivo.

Si é registrato un contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla questione concernente le modalità di esercizio della prelazione correlata al pegno irregolare qualora il credito garantito sia vantato nei confronti di debitore assoggettato a procedura concorsuale.

Più specificatamente, il contrasto verte sul se al pegno irregolare si applichi la disposizione dell'art. 53, primo comma, della legge fallimentare che condiziona l'esercizio della prelazione derivante da pegno alla previa ammissione al passivo fallimentare del credito garantito, ponendosi come norma attuativa del principio stabilito dall'art. 52, secondo comma, della stessa legge, a tenore del quale "ogni credito, anche se munito di prelazione, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V, salvo diverse disposizione di legge".

Al superiore quesito hanno dato risposte antitetiche due recenti, ravvicinate sentenze della Prima Sezione Civile di questa Corte, decidendo su fattispecie identiche anche a quella sottoposta al Collegio remittente. In tutti e tre i casi è infatti accaduto che l'Ufficio Centrale Italiano venne incaricato da società assicuratrice, successivamente posta in liquidazione coatta amministrativa, di pagare indennizzi per incidenti stradali verificatisi all'estero, ricevendone denaro e titoli in pegno irregolare, che poi non restituì alla società in liquidazione coatta operando la compensazione, in corso di procedura, e per ciò contestata dal commissario liquidatore, tra la somma ricavata dalla vendita dei titoli e quella corrispondente ai pagamenti effettuati.

La più risalente delle decisioni in contrasto (Cass., sez. I, 24 gennaio 1997, n. 745, RV. 502013, Pres. Rocchi, Est. Verucci), ha risolto il problema in termini negativi, affermando il principio che la disposizione dell'art. 53 legge fall., che esige la previa ammissione al passivo del credito garantito da pegno, non è applicabile nell'ipotesi di pegno irregolare. Per la seconda (Cass., sez. I, 28 agosto 1997, n. 8164, RV. 507266, Pres. Corda, Est. De Musis), l'enunciato normativo si riferisce anche al pegno irregolare, sicchè costituisce condizione dell'esercizio della prelazione correlata a tale tipo di pegno nel corso del fallimento la previa ammissione al passivo del credito per cui il soddisfacimento dovrebbe esercitarsi la prelazione stessa.
(Estratto della relazione dell'Ufficio del Massimario n. 106/99).

 

 

 












 

 

 


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