Commissione
di studio per la revisione sistematica del diritto commerciale
(Rovelli)
Relazione allo schema di disegno di legge recante norme in
materia di insolvenza transfrontaliera
1.
L'esigenza di realizzare un coordinamento tra gli ordinamenti,
a diverso titolo, collegati con fallimenti aventi implicazioni
transfrontaliere, riguarda e accomuna tutti i paesi industrializzati.
Tale esigenza deriva dal crescente intrecciarsi di rapporti
economici tra soggetti di nazionalità diverse o che
si trovano ad operare in paesi differenti; accade, infatti,
sempre più di frequente che, in caso di apertura di
una procedura concorsuale in un determinato Stato, soltanto
una parte dei beni del debitore viene sottoposta all'esecuzione
fallimentare, mentre il restante patrimonio, localizzato nel
territorio degli altri paesi, viene sottoposto ad una procedura
parallela e confliggente o risulta sottratto a qualunque procedura
concorsuale.
Ormai
da tempo si sono evidenziati i problemi derivanti dall'insolvenza
transnazionale, in particolare in merito all'individuazione
del giudice competente, alla determinazione della legge applicabile
e al riconoscimento dei provvedimenti pronunciati all'estero.
Sino
ad oggi, a livello internazionale, non sono state elaborate
soluzioni adeguate; le convenzioni dedicate all'argomento
hanno, infatti, un ambito di applicazione limitato (solitamente
si tratta di convenzioni bilaterali), mentre i pochi esempi
di trattati a carattere multilaterale non sempre riescono
a raggiungere il numero di ratifiche sufficienti per l'entrata
in vigore.
Il
compito di disciplinare le procedure d'insolvenza a carattere
transfrontaliero è stato, essenzialmente, affidato
all'iniziativa dei singoli Stati e, in particolare, alla disciplina
interna di diritto internazionale privato, profondamente divergente
da paese a paese e, talora, del tutto carente, come accade
nell'ordinamento italiano.
2.
Con la recente approvazione della legge italiana di riforma
del diritto internazionale privato (l. 218/95) si è
persa l'occasione per stabilire quali siano gli effetti che
le procedure di insolvenza aperte all'estero possono avere
nell'ordinamento interno e per tentare di effettuarne un coordinamento
rispetto a procedimenti eventualmente aperti nello Stato.
Nessuna disposizione specifica è contenuta nella legge
di riforma né in ordine la possibilità di riconoscere
decisioni fallimentari straniere, né in ordine ai requisiti
cui condizionare la produzione dei loro effetti; tanto meno,
sono previste modalità per garantire una collaborazione
efficace tra corti o autorità italiane e corti o autorità
appartenenti a paesi stranieri.
La
mancanza di previsioni espresse ha lasciato aperta anche la
questione dei rapporti tra disciplina contenuta nella legge
n. 218/95 e disciplina contenuta nella legge fallimentare.
Il primo problema si pone nella determinazione della relazione
esistente tra art. 9 l. fall., che individua le condizioni
ricorrendo le quali è possibile aprire una procedura
concorsuale, e l'art. 3, secondo comma, della legge di riforma,
che, nelle materie non coperte dalla convenzione di Bruxelles,
trasforma i criteri di competenza territoriale in titoli di
giurisdizione.
Problemi
di compatibilità si sono, inoltre, posti tra gli artt.
7 e 64 della legge 218/1995, da un lato, e la seconda parte
del secondo comma dell'art. 9, dall'altro lato. La legge fallimentare
prevede, infatti, la possibilità di dichiarare il fallimento
in Italia anche successivamente ad una dichiarazione di fallimento
dello stesso imprenditore all'estero, ponendosi in contrasto
sia con il principio del rilievo della litispendenza internazionale,
sia con il principio del riconoscimento automatico delle decisioni
straniere. In particolare l'art. 7 della legge n. 218/95 stabilisce
la sospensione del procedimento civile iniziato in Italia
se viene eccepita "la previa pendenza tra le stesse parti
di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo
dinanzi ad un giudice straniero" la cui decisione sia
suscettibile di riconoscimento in Italia. La disposizione
entra in contrasto con l'art. 9 della legge fallimentare ogni
qual volta venga richiesta l'apertura in Italia di un procedimento
nei confronti di un imprenditore già sottoposto a fallimento
estero.
L'art.
64 della l. 218/95 prevede, inoltre, il riconoscimento automatico
delle sentenze straniere, contrastando con le indicazioni
contenute nell'art. 9 l. fall. che consente di dichiarare
il fallimento di un soggetto, già sottoposto a procedura
concorsuale all'estero, senza tenere in alcun conto la decisone
straniera. Anche nell'ipotesi in cui si volesse riconoscere
valore alla sentenza straniera dichiarativa di fallimento,
non è chiaro quali tra gli effetti, che la decisione
produce nello Stato di origine, si estendano all'ordinamento
italiano.
Di
fronte alle contraddittorietà tra legge di riforma
e legge fallimentare, una parte della dottrina ha proposto
un'interpretazione adeguatrice del secondo comma dell'art.
9, interpretazione che va nel senso di consentire, in presenza
di una procedura straniera di insolvenza cd. principale, l'avvio
in Italia di una procedura secondaria, rivolta esclusivamente
alla liquidazione del patrimonio locale. Questo alla stregua
di quanto avvenuto nell'ordinamento tedesco, in cui la giurisprudenza
ha promosso un'interpretazione evolutiva delle norme fallimentari
interne, in epoca precedente rispetto all'entrata in vigore
dell'Insolvenzordnung.
L'impostazione
prospettata in dottrina, per quanto non condivisibile, tenta
di dare soluzione ai problemi esistenti nell'ordinamento interno
in materia di fallimento transfrontaliero. Taluni di questi
verranno risolti con l'approvazione del regolamento comunitario
sulle procedure di insolvenza, attualmente in fase di studio
da parte del Consiglio. A tutt'oggi, peraltro, l'unica normativa
in vigore nell'ordinamento italiano, e finalizzata ad instaurare
un coordinamento con ordinamenti stranieri in materia di fallimento
transfrontaliero, è quella contenuta nelle convenzioni
bilaterali di cui l'Italia è parte.
3.
Tra le convenzioni, attualmente in vigore per l'Italia, si
segnalano:
la
convenzione italo-austriaca sottoscritta il 12 luglio 1977
e resa esecutiva con l. 14 dicembre 1985 n. 612, la quale
ha come specifico oggetto la disciplina delle procedure di
insolvenza;
la
convenzione italo-francese per l'esecuzione delle sentenze
in materia civile e commerciale, sottoscritta a Roma il 3
giugno 1930 e resa esecutiva con l. 7 gennaio 1932, n. 45,
parzialmente sostituita dalla disciplina contenuta nella convenzione
di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e il
riconoscimento delle sentenze;
la
convenzione italo-britannica per il reciproco riconoscimento
e l'esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale,
sottoscritta a Roma il 7 febbraio 1964 e resa esecutiva con
l. 18 maggio 1973 n. 280.
La
convenzione italo-austriaca si fonda sui principi dell'extraterritorialità
e dell'unicità del fallimento, prevedendo che una procedura
concorsuale aperta nel territorio di uno Stato contraente
estenda automaticamente i suoi effetti nell'altro Stato contraente,
precludendo l'apertura di altri procedimenti. La convenzione
si applica alle sole procedure di fallimento e concordato
nei confronti di imprenditori commerciali, siano essi persone
fisiche o giuridiche, con esclusione del cd. piccolo imprenditore.
L'art. 3 della convenzione prevede, infine, che i titoli capaci
di radicare giurisdizione in materia concorsuale sono, in
via principale, il centro o la sede degli affari del debitore
e, in via sussidiaria, un suo stabilimento.
Anche
la convezione italo-francese si ispira al principio dell'universalità,
nel senso che il fallimento dichiarato dal tribunale dello
Stato in cui l'imprenditore ha il domicilio o la sede estende
i suoi effetti nell'altro Stato contraente.
La
convenzione italo-britannica, infine, non fornisce una disciplina
diretta della materia fallimentare, ma si limita a prevedere
che la competenza per il riconoscimento delle sentenze straniere
pronunciate all'estero vada accertata alla stregua dei principi
vigenti nello Stato nel quale il riconoscimento viene richiesto.
Al
di fuori dei rapporti convenzionali, l'inadeguatezza e le
contraddittorietà della normativa italiana, indicate
nei paragrafi precedenti, rendono opportuna la predisposizione
di una disciplina specificamente dedicata al fallimento transfrontaliero,
la cui utilità sarà mantenuta anche successivamente
all'entrata in vigore della regolamentazione comunitaria,
quantomeno nei rapporti tra Italia e paesi extracomunitari.
Al
fine di ricercare possibili "spunti normativi" occorre,
quindi, volgere lo sguardo alla disciplina più recente,
dettata nell'ambito di quei paesi che abbiano già predisposto
una specifica normativa con riferimento al fallimento internazionale,
nonché alle convenzioni multilaterali in vigore o in
fase di ratifica e, naturalmente, alla disciplina comunitaria
in corso di approvazione.
4.
In Europa l'unica convenzione multilaterale in vigore in materia
di fallimento internazionale è la Nordic Bankruptcy
Convention del 7 novembre 1933, che trae il proprio "successo"
dalla contiguità territoriale e dalle affinità
normative che accomunano i cinque Stati contraenti, ossia
Danimarca, Finlandia, Islanda, Svezia e Norvegia.
La
convenzione di Istanbul su taluni aspetti internazionali del
fallimento del 5 giugno 1990, elaborata in seno al Consiglio
d'Europa, è stata, infatti, ratificata soltanto da
Cipro e la sua entrata in vigore appare altamente improbabile.
L'importanza della convenzione non va, peraltro, sottovalutata
dal momento che questa ha, da un lato, affermato il superamento
del carattere necessariamente universale della procedura e,
dall'altro, determinato lo spunto per la prosecuzione dei
lavori in seno all'Unione europea; buona parte delle scelte
adottate dalla convenzione di Istanbul sono, infatti, riprese
in sede di predisposizioni della proposta di regolamento comunitario.
Vale
la pena di indicare brevemente le soluzioni prospettate dalla
convenzione di Istanbul. Innanzitutto la convenzione è
applicabile quando una procedura concorsuale presenta elementi
di collegamento con più paesi, a fronte della localizzazione
dei beni del debitore o della diversa residenza dei creditori.
Nel
caso in cui i beni del debitore siano localizzati in Stati
differenti, la convenzione lascia aperte due possibilità:
la prima è quella di consentire l'estensione della
procedura aperta in uno Stato contraente ai beni presenti
negli altri Stati contraenti; la seconda, invece, è
quella di aprire una procedura secondaria nei paesi di situazione
dei beni.
Nel
caso in cui, invece, vi siano creditori residenti in Stati
differenti rispetto a quello di apertura della procedura,
la convenzione prevede forme semplificate per la loro insinuazione
al passivo ed il diritto ad essere informati in caso di apertura
di una procedura concorsuale all'estero.
Occorre,
ancora, precisare che le norme della convenzione, previste
per il caso in cui i beni del debitore sono situati in diversi
paesi, si applicano esclusivamente alle procedure aventi carattere
liquidatorio; mentre le disposizioni previste per il caso
in cui i creditori siano residenti all'estero trovano applicazione
anche per procedure concorsuali che tale caratteristica non
presentano.
Preme,
infine, ricordare che la convenzione di Istanbul, quand'anche
entrasse in vigore, non verrebbe in considerazione nei rapporti
intracomunitari, per la prevalenza della disciplina dettata
a livello comunitario, destinata a sostituire le convenzioni
stipulate fra due o più Stati membri dell'Unione.
5.
In sede comunitaria, dopo un lungo e travagliato periodo di
elaborazione (i primi tentativi di disciplinare le procedure
concorsuali si sono svolti in parallelo con i lavori preparatori
della convenzione di Bruxelles del 1968!), il 23 novembre
1995 è stata aperta alla ratifica la convenzione per
la disciplina del fallimento transfrontaliero, mai entrata
in vigore.
Dopo
l'approvazione del trattato di Amsterdam, che ha ampliato
le competenze comunitarie, è stato possibile per la
Repubblica federale di Germania e per la Finlandia presentare
una proposta di regolamento per la disciplina del fallimento
transfrontaliero. La proposta, approvata in data 29 maggio
2000 (e destinata ad entrare in vigore il 31 maggio 2002),
ripropone pressoché integralmente il testo della convenzione
comunitaria, la quale, a sua volta, si ispira alla convenzione
di Istanbul.
A
differenza della convenzione di Istanbul, per l'applicazione
della quale è sufficiente la presenza, sul territorio
degli Stati membri, di una sede secondaria, il regolamento
CE si applicherà esclusivamente nel caso in cui il
centro degli interessi principali del debitore sia localizzato
all'interno del territorio comunitario.
Nel
preambolo del progetto di regolamento, al considerando 13,
viene specificato che il centro degli interessi principali
del debitore va inteso come il "luogo in cui il debitore
esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile ai terzi,
la gestione dei suoi interessi"; per le società
e le persone giuridiche si presume che esso sia "il luogo
in cui si trova la sede statutaria", mentre manca ogni
riferimento alla definizione di centro degli interessi principali
del debitore per quanto concerne gli imprenditori individuali
(art. 3.3 del regolamento).
Ai
sensi dell'art. 1, per poter applicare il regolamento, è
necessario che una procedura concorsuale sia fondata su: insolvenza
del debitore; suo spossessamento, totale o parziale; nomina
di un curatore o di un commissario. Nell'allegato A sono elencate,
per ogni paese, le procedure aventi le caratteristiche appena
descritte; per l'Italia sono indicati: il fallimento, il concordato
preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione
straordinaria e l'amministrazione controllata.
Sono,
invece, escluse dal campo di applicazione del regolamento
le procedure d'insolvenza riguardanti imprese assicuratrici,
enti creditizi, imprese di investimento che detengono fondi
o valori mobiliari di terzi e organismi di investimento collettivo.
L'esclusione è motivata dal fatto che tali soggetti
sono sottoposti a "un regime particolare e le autorità
nazionali hanno, in alcuni casi, poteri di intervento estremamente
ampi".
Le
procedure di insolvenza e gli effetti da queste determinati
sono regolate, salvo alcune eccezioni, dalla legge dello Stato
membro nel cui territorio è aperta la procedura (art.
4).
In
ossequio al principio di universalità, il regolamento
prevede il riconoscimento automatico delle decisioni straniere
di apertura di una procedura principale, basandosi sul principio
della fiducia reciproca che gli Stati contraenti devono riporre
nelle decisioni che, anche in materia fallimentare, sono pronunciate
da giudici appartenenti a Stati comunitari.
Per
quanto concerne l'esecuzione si fa, invece, rinvio agli articoli
da 31 a 51 della convenzione di Bruxelles del 1968 (ad eccezione
dell'art. 34, par. 2), anche se le cause ostative sono ridotte
al minimo necessario (si tratta degli "effetti palesemente
contrari all'ordine pubblico").
Al
riguardo, conviene segnalare che, in base all'art.16, il riconoscimento
di un fallimento pronunciato all'estero è automatico
"anche quando il debitore, per la sua qualità,
non può essere assoggettato a una procedura di insolvenza
negli altri Stati membri". Il regolamento impone, infatti,
di riconoscere le procedure aperte nei paesi comunitari, anche
qualora la legge dello Stato di apertura attribuisca la qualifica
di debitore indistintamente alle persone fisiche e giuridiche,
commercianti o privati.
Una
volta aperta una procedura principale, è possibile
aprire procedure secondarie in Stati diversi a condizione
che in essi si trovi una dipendenza, da identificarsi con
"qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita
in maniera non transitoria un'attività economica con
mezzi umani e con beni". Le procedure secondarie possono
essere aperte su istanza del curatore della procedura principale
oppure di qualsiasi persona interessata o autorità
legittimata secondo la legge dello Stato di apertura (cfr.
art. 29), senza che sia necessaria un'ulteriore verifica dello
stato di insolvenza del debitore (art. 27).
La
procedure secondarie, a differenza delle procedure principali,
hanno necessariamente carattere liquidatorio e riguardano
esclusivamente i beni presenti nello Stato di apertura.
In
base a quanto disposto dal regolamento esiste una terza tipologia
di procedura d'insolvenza: la procedura territoriale, aperta
nello Stato in cui il debitore ha una dipendenza prima dell'apertura
di una procedura principale, è limitata ai beni presenti
nel territorio dello Stato di apertura e, a differenza della
procedura secondaria, non ha obbligatoriamente carattere liquidatorio.
Il
regolamento prevede, inoltre, una specifica disciplina relativa
ai diritti dei creditori che devono essere informati, senza
ritardo, dell'apertura di una procedura di insolvenza e possono
insinuare il proprio credito nella procedura principale o
in qualsiasi procedura secondaria.
6.
Come già indicato, lo Stato comunitario che si è
fatto promotore, insieme alla Finlandia, della proposta di
regolamento comunitario è la Repubblica di Germania,
che nella legge interna introduttiva alla disciplina fallimentare,
Einfuhrungsgesetz zur Insolvenzordnung del 1994, in vigore
dal 1° gennaio 1999, ha espressamente previsto all'art.
102 una serie di regole relative al "diritto internazionale
dell'insolvenza".
In
particolare, un provvedimento di apertura di una procedura
d'insolvenza è riconosciuto in Germania se proviene
da un'autorità straniera competente e se gli effetti
prodotti non sono incompatibili con i principi fondamentali
accolti nell'ordinamento tedesco. Nel rispetto delle indicate
condizioni, il procedimento straniero coinvolge anche i beni
del fallito che si trovano nello Stato, pur senza eliminare
la possibilità, per il giudice tedesco, di aprire un
procedimento separato e limitato a detti beni.
In
ambito europeo anche la Svizzera, oltre alla Germania, dispone
di una regolamentazione ad hoc sulle procedure concorsuali
con implicazioni transfrontaliere, contenuta nel capitolo
11, ("Fallimento e Concordato" artt.166-175) della
legge federale sul diritto internazionale privato del 18-12-1987.
Il
decreto straniero di fallimento, per essere efficace nell'ordinamento
interno, deve essere riconosciuto da parte del giudice svizzero
che, a seguito di apposita istanza presentata dal curatore
straniero o dai creditori, verifica la ricorrenza dei requisiti
richiesti dall'art.166, tra i quali si segnalano la compatibilità
con l'ordine pubblico e i con principi processuali interni,
la competenza del giudice straniero del luogo in cui si trova
il domicilio del debitore, l'esecutività del decreto
di apertura di fallimento nello Stato straniero e la reciprocità.
Il
riconoscimento del procedimento straniero non attribuisce
al relativo curatore il potere di amministrare direttamente
i beni del fallito presenti in Svizzera. Conseguenza del riconoscimento
è, infatti, l'apertura di una procedura ancillare (mini-faillite)
limitata ai beni presenti nello Stato, regolata dalla lex
fori e finalizzata ad assicurare la soddisfazione dei creditori
privilegiati, domiciliati in Svizzera. L'eventuale saldo verrà
consegnato all'autorità straniera.
Nell'ordinamento
inglese è, fin dal secolo scorso, consentita l'apertura
di procedimenti secondari. Al riguardo si parla di ancillary
winding-up, che rappresentano, pur con notevoli punti di divergenza,
il modello base per la ricostruzione delle procedure secondarie
così come disciplinate nel regolamento comunitario.
Tra le altre differenze, occorre segnalare la circostanza
per cui le Corti inglesi possono discrezionalmente decidere
che il curatore del fallimento secondario paghi i creditori
privilegiati, rimettendo il saldo alla procedura principale
o si limiti ad effettuare la raccolta dei beni presenti nello
Stato (e la lista dei creditori inglesi), lasciando ogni competenza
al curatore del procedimento principale straniero.
Le
disposizioni contenute nella sec. 426 subsec. IV dell'Insolvency
Act, disciplinano espressamente il fallimento transnazionale
che coinvolge l'ordinamento inglese e determinati ordinamenti
stranieri. In tal caso il coordinamento avviene tra Corti
inglesi e Corti straniere, appartenenti essenzialmente ai
paesi ex Commonwealth, con l'apertura di administration proceedings
e con la possibile applicazione della regole previste dalla
legge della Corte straniera che richiede il riconoscimento.
Anche
negli Stati Uniti vengono, da tempo, riconosciuti effetti
all'apertura di un procedimento fallimentare nello Stato in
cui il debitore ha il domicilio, la residenza, il centro degli
affari o la maggioranza dei beni. L'apertura di tale procedimento
non produce, però, effetti automatici nello Stato;
le diverse conseguenze derivanti dalla dichiarazione di fallimento
(es. blocco delle azioni individuali) sono condizionate a
considerazioni pratiche ed economiche quali, in particolare,
la tutela dei creditori statunitensi. In sostanza, ampi poteri
vengono riconosciuti al curatore della procedura principale,
ma detti poteri rimangono soggetti al vaglio delle Corti americane.
7.
Un ulteriore modello di riferimento è la Model Law
on Cross-Boarder Insolvency, approvata in seno all'Uncitral
nel maggio del 1997 e definita dalla Guide to Enactment, ad
essa allegata, "a vehicle for the harmonization of laws".
La Model Law si propone come scopo principale quello di assistere
gli Stati nella predisposizione di leggi interne sulle procedure
di insolvenza "with a modern, harmonized and fair framework
to address more effectively proceedings in taking place".
Considerando le differenze tra gli ordinamenti giuridici cui
essa intende applicarsi, questa non mira a realizzare l'unificazione
delle leggi sulle procedure di insolvenza ma a promuoverne
un graduale avvicinamento, favorendo la cooperazione tra corti
e autorità competenti che si trovano ad operare nei
diversi Stati collegati ad un fallimento transnazionale.
Caratteristica
essenziale della Model Law è la flexibility, nel senso
che il singolo Stato che intende adottarla può apportare
al testo standard tutte le modifiche necessarie per renderlo
compatibile con il proprio sistema normativo. D'altra parte,
la Guide to Enactment evidenzia come, per ottenere un sufficiente
grado di armonizzazione e certezza nella disciplina del fallimento
transfrontaliero, sia necessario "that States make as
few changes as possible in incorporating the model law into
their legal systems".
Questo
non dovrebbe presentare particolari difficoltà per
gli ordinamenti degli Stati comunitari, dal momento che la
legge modello si ispira al regolamento CE sia dal punto di
vista delle nozioni impiegate, sia dal punto di vista della
regolamentazione sostanziale.
Contrariamente
al regolamento, peraltro, la Model Law non prevede il riconoscimento
automatico dei decreti stranieri di fallimento; a tal fine
è necessaria un'apposita istanza presentata dal curatore
straniero al giudice interno, il quale verifica che sia rispettata
una serie di requisiti (artt. 15, 16 e 17).
In
particolare, la procedura straniera deve essere una procedura
concorsuale, ossia prevedere un controllo sui beni del debitore
da parte dell'autorità competente, con finalità
di liquidazione o riorganizzazione. Questa può assumere
il carattere di procedura principale (aperta nel centro degli
interessi principali del debitore) o secondaria (aperta nel
luogo dove si trova una dipendenza del debitore). L'unica
condizione di carattere sostanziale è quella della
compatibilità del decreto straniero di fallimento con
l'ordine pubblico del foro.
Ancora,
la Model Law non contrappone la procedura principale a quella
secondaria, ma piuttosto la procedura straniera, aperta nello
Stato dove del debitore ha il centro degli interessi principali
o semplicemente una dipendenza, alla procedura locale. La
principale connotazione della Legge Modello risiede nella
circostanza per cui la procedura locale non è, necessariamente,
subordinata alla procedura straniera, come avviene, invece,
nell'ambito del regolamento CE. Difatti, in caso di apertura
contemporanea di una procedura locale e di una procedura straniera,
il giudice interno deve eseguire tutta una serie di controlli,
in ordine alla compatibilità degli effetti determinati
dalla procedura estera rispetto alla procedura locale.
In
particolare, nel caso in cui la procedura locale sia stata
aperta per prima, le richieste di misure conservative o di
sospensione di istanze individuali avanzate dal curatore straniero
possono essere accolte solo se si rivelano compatibili con
la procedura locale (artt. 19 e 21); mentre non si producono
gli effetti tipici del riconoscimento di una procedura principale,
quali la sospensione automatica delle azioni individuali e
delle azioni esecutive sopra i beni del fallito.
Se
la procedura locale è stata, invece, aperta dopo il
riconoscimento di una procedura straniera, ogni provvedimento
concesso a norma degli articoli 19 o 21 deve essere riesaminato
e può essere modificato o revocato se incompatibile
con la procedura locale; mentre gli effetti tipici del riconoscimento
di una procedura principale che si sono già prodotti
devono essere modificati o revocati se incompatibili con la
procedura locale.
Perfettamente
in linea con le previsioni del regolamento, la Model Law stabilisce
un obbligo di collaborazione ed informazione reciproca tra
i curatori e i tribunali dei diversi paesi coinvolti nel fallimento
transfrontaliero (art. 25, 26 e 27).
Per
quanto riguarda i creditori, infine, siano essi cittadini
o stranieri, hanno medesimi diritti in ordine alla partecipazione
alla procedura locale. La Model Law prevede, inoltre, come
il regolamento e la convezione di Istanbul, la cd. hotchpot
rule, stabilendo all'art. 32 che il creditore il quale, in
una procedura straniera, abbia recuperato una quota del proprio
credito partecipa ai riparti effettuati in una procedura locale
soltanto quando i creditori dello stesso grado o della stessa
categoria abbiano ottenuto in tale altra procedura una quota
equivalente.
8.
Da segnalare è, infine, il Cross-Border Insolvency
Concordat, approvato dall'Insolvency and Creditors' Rights
Committee of the International Bar Association il 31 maggio
1996.
Il
Concordat si ispira alla prassi dei paesi di common law e
suggerisce una serie di regole che gli ordinamenti nazionali,
gli organi giudiziari o i soggetti privati possono adottare
a soluzione delle controversie insorgenti in materia fallimentare.
Il
Concordat, applicabile a tutti i procedimenti che coinvolgono
persone fisiche o giuridiche, è basato sul principio
per cui la dinamica del commercio internazionale è
agevolata dall'uso di particolari principi-modello la cui
applicazione può portare al consolidarsi di precedenti
in materia di fallimento transnazionale.
Esso
prevede tre distinte possibilità di articolare la disciplina
del fallimento internazionale, ossia: l'apertura di un'unica
procedura che assommi tutte le competenze; l'apertura di una
procedura principale e di una o più procedure secondarie;
l'apertura di più procedure, nessuna delle quali assume
il carattere di procedura principale.
Se
nella prima ipotesi non sussistono problemi di relazione tra
ordinamenti, dal momento che le corti e il curatore di un
unico Stato sono interessati alla gestione del fallimento,
nella seconda ipotesi alla procedura principale spetta il
coordinamento di tutte le procedure; non a caso è espressamente
previsto che il curatore della procedura principale abbia
il compito di coordinare il fallimento internazionale e possa
intervenire anche nei procedimenti aperti in ordinamenti stranieri.
Nella
terza ipotesi, infine, non esiste un fallimento principale
e, dunque, ogni procedura estende i suoi effetti sui soli
beni che si trovano nell'ambito dello Stato di apertura e
deve coordinarsi con i procedimenti pendenti negli altri paesi,
in particolare, sulla base di protocolli da approvarsi caso
per caso. In tutte le ipotesi, comunque, nella gestione del
procedimento fallimentare occorre garantire il rispetto dei
principi di diritto internazionale; in particolare, i contratti
commerciali non possono essere invalidati per l'applicazione
delle disposizioni fallimentari di un determinato foro se
non hanno un collegamento rilevante con esso.
9.
Il progetto allegato vuole colmare le lacune esistenti nel
diritto italiano, tenendo conto della disciplina contenuta
nel regolamento comunitario, per integrarlo, nelle ipotesi
di procedure d'insolvenza che riguardino debitori localizzati
nella Comunità e dare una soluzione autonoma alle questioni
che possono sorgere a seguito dell'apertura di procedure d'insolvenza
a carattere transfrontaliero relative a soggetti che abbiano
il centro degli interessi principali fuori dal territorio
comunitario. Il progetto, senza pregiudizio per l'applicazione
delle disposizioni comunitarie, delle convenzioni internazionali
in vigore per l'Italia e della disciplina relativa a procedure
d'insolvenza previste da norme speciali, in relazione a particolari
tipologie di debitori, si applica a qualunque procedura concorsuale
che sia fondata sull'insolvenza del debitore, comporti il
suo spossessamento e implichi la designazione di un curatore
basato. Esso si fonda sul è basato sul principio dell'universalità
limitata, per cui la procedura principale aperta nel centro
degli interessi principali del debitore coinvolge tutti i
suoi beni, ovunque localizzati e interessa tutti i creditori,
ovunque residenti o domiciliati, salvo l'esistenza di una
procedura territoriale o l'apertura di una procedura secondaria.
Nell'ordinamento
italiano è possibile aprire tre diversi tipi di procedura
d'insolvenza: principale, territoriale e secondaria.
La
procedura principale è aperta quando nello Stato è
situato il centro degli interessi principali del debitore,
non ha necessariamente carattere liquidatorio ed ha una portata
tendenzialmente universale.
La
procedura territoriale è aperta in Italia prima del
riconoscimento di una procedura principale straniera, quando
nello Stato si trova una dipendenza del debitore; questa non
ha necessariamente carattere liquidatorio, coinvolge solamente
i beni del debitore localizzati in Italia e interessa i creditori
residenti o domiciliati nello Stato. Dopo l'eventuale riconoscimento
della procedura principale straniera, la procedura territoriale
si trasforma in procedura secondaria, pur non dovendo necessariamente
assumere carattere liquidatorio.
La
procedura secondaria è aperta in Italia dopo il riconoscimento
di una procedura principale straniera, quando nel territorio
dello Stato sia situata una dipendenza del debitore o, in
mancanza, siano localizzati beni ad esso appartenenti; questa
ha necessariamente carattere liquidatorio, coinvolge i beni
del debitore localizzati in Italia e interessa i creditori
domiciliati o residenti nello Stato.
Per
quanto riguarda il riconoscimento di provvedimenti stranieri
relativi ad una procedura d'insolvenza, la disciplina si discosta
notevolmente dai contenuti del regolamento. Il riconoscimento
non è automatico, ma condizionato all'accertamento
della sussistenza di una serie di requisiti che la Corte d'appello
dovrà verificare, primo fra tutti la competenza internazionale
dell'autorità straniera, che deve necessariamente essere
quella del centro degli interessi principali del debitore.
In
secondo luogo è possibile riconoscere provvedimenti
riguardante debitori che, per la loro qualità, potrebbero
essere assoggettati a procedure d'insolvenza nell'ordinamento
italiano; di conseguenza non verranno riconosciuti quei provvedimenti
stranieri che dichiarino l'insolvenza di soggetti privi della
qualifica di imprenditore commerciale.
Per
quanto riguarda gli effetti del riconoscimento, questo determina,
se è aperta una procedura territoriale in Italia, la
sua trasformazione in procedura secondaria; in caso contrario
l'apertura di una procedura secondaria o l'estensione degli
effetti della procedura principale straniera ai beni presenti
in Italia. Nella prima ipotesi, il curatore italiano deve
comunicare, senza ritardo, qualsiasi informazione che possa
essere utile al curatore della procedura straniera e, una
volta soddisfatti i creditori domiciliati o residenti nello
Stato, trasferirgli il residuo dell'attivo.
Nella
seconda ipotesi, invece, il curatore straniero può
esercitare in Italia, pur nel rispetto della normativa interna,
tutti i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato
di apertura e, inoltre, proporre azioni revocatorie purché
relative a rapporti regolati dal diritto italiano o aventi
ad oggetto beni localizzati nello Stato.
10.
In particolare, nell'art. 1 del progetto di lavoro relativo
ad una disciplina italiana sull'insolvenza transfrontaliera,
sono elencate e definite le nozioni impiegate nel progetto;
la disposizione si ispira agli artt. 2 (lettere a, c, h) e
3 (punti 1, 2, 3) della proposta di regolamento comunitario
in materia di fallimento transfrontaliero.
L'art.
1, lett. a, si ispira all'art. 1 del progetto di regolamento
comunitario e, nel determinare l'ambito di applicazione oggettivo
del progetto, fa riferimento alle procedure concorsuali fondate
sulla presenza di tre requisiti essenziali, ossia: l'insolvenza
del debitore, il suo spossessamento totale o parziale e la
designazione di un curatore o commissario.
Nell'art.
1, lett. a), seconda frase, è operata una prima distinzione
tra le procedure d'insolvenza a carattere liquidatorio (il
fallimento e la liquidazione coatta amministrativa) e quelle
a carattere non liquidatorio (il concordato preventivo, l'amministrazione
straordinaria e l'amministrazione controllata).
Sulla
base degli effetti che determinano, è possibile operare
una seconda classificazione delle procedure d'insolvenza,
distinguendo tra:
1)
procedura principale (art. 1, lettera b); è la procedura
d'insolvenza aperta nel territorio dello Stato in cui è
situato il centro degli interessi principali del debitore;
per le persone giuridiche si presume che sia il luogo in cui
si trova la sede statutaria (come previsto nel Progetto di
regolamento all'art. 3, punto 1, seconda frase).
Il
progetto di lavoro non contiene una definizione di centro
degli interessi principali, rinviando alla giurisprudenza
in materia e al preambolo del progetto di regolamento comunitario,
il cui punto 13 identifica il centro degli interessi principali
del debitore con il luogo in cui il debitore esercita in modo
abituale, e pertanto riconoscibile ai terzi, la gestione dei
suoi interessi.
La
procedura in esame non ha necessariamente natura liquidatoria
e presenta il carattere dell'universalità in quanto
interessa tutti i creditori e coinvolge tutti i beni del debitore,
indipendentemente dal fatto che siano localizzati nel territorio
dello Stato di apertura o all'estero. La procedura principale,
se aperta in Italia, inibisce il riconoscimento di procedure
d'insolvenza straniere; se è aperta all'estero, può
essere riconosciuta nell'ordinamento italiano alle condizioni
indicate nell'art. 3;
2)
procedura territoriale (art. 1, lettera c); è una procedura
d'insolvenza aperta in Italia prima del riconoscimento di
una procedura principale straniera, a condizione che il debitore
possieda una dipendenza nel territorio dello Stato. Per dipendenza,
ai sensi dell'art. 1, lettera f (cha riprende l'art. 2, lettera
h del progetto di regolamento) si intende qualsiasi luogo
in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività
economica organizzata.
La
procedura territoriale, regolata dalla legge italiana, non
ha necessariamente carattere liquidatorio, coinvolge tutti
i beni del debitore localizzati nello Stato e interessa esclusivamente
i creditori ivi residenti o domiciliati.
3)
procedura secondaria (art. 1, lettera d); è una procedura
di liquidazione (salvo quanto disposto nell'art. 5, comma
I, lett. a), aperta in Italia dopo il riconoscimento di una
procedura principale straniera, a condizione che il debitore
possieda una dipendenza o, in mancanza, dei beni nello Stato.
Questa coinvolge solo i beni del debitore localizzati in Italia,
interessa esclusivamente i creditori residenti o domiciliati
nello Stato ed ha carattere eventuale, nel senso che il tribunale
fallimentare può decidere di inibire l'apertura di
un procedimento nello Stato per consentire alla procedura
principale straniera di estendere i suoi effetti sui beni
presenti in Italia.
11.
L'art. 2, comma I, determina i criteri attributivi della giurisdizione
italiana e della competenza per territorio, in particolare:
1)
la presenza in Italia del centro degli interessi principali
del debitore è criterio attributivo sia della giurisdizione
che della competenza per l'apertura di una procedura principale;
2)
la presenza in Italia di una dipendenza del debitore è
criterio attributivo di giurisdizione e di competenza per
l'apertura di una procedura territoriale o secondaria;
3)
la presenza in Italia di beni del debitore è criterio
attributivo sia della giurisdizione che della competenza per
l'apertura di una procedura secondaria.
L'art.
2, comma II, della proposta si ispira all'art. 24 legge fallimentare,
stabilendo che il tribunale fallimentare è competente
a decidere in merito a tutte le controversie che derivano
dal fallimento, eccettuate le azioni reali immobiliari per
le quali restano ferme le competenze ordinarie. In altre parole,
il foro fallimentare esercita vis actractiva su tutte le azioni
strettamente collegate alla procedura d'insolvenza.
L'art.
2, comma III, della proposta di legge afferma espressamente
il principio dell'irrilevanza della pendenza all'estero di
una procedura straniera territoriale o secondaria nel caso
in cui in Italia sia in corso una procedura del medesimo tipo.
L'art.2,
al comma IV, stabilisce, infine, che i crediti del fallito
si intendono localizzati nel domicilio del suo debitore.
12.
In tema di effetti dei provvedimenti stranieri relativi all'apertura
di una procedura principale, il progetto non si ispira al
principio dell'automatico riconoscimento delle sentenze straniere,
principio accolto, invece, sia nell'art. 64 della legge 31
maggio 1995, n. 218 sia nell'art. 16 del progetto di regolamento
comunitario sul fallimento transfrontaliero.
Il
riconoscimento dei provvedimenti stranieri relativi alle procedure
d'insolvenza è, infatti, subordinato ad un procedimento
ad hoc, svolto davanti alla Corte d'appello e finalizzato
all'accertamento della sussistenza di determinati requisiti.
Detto procedimento, a seguito dell'approvazione del regolamento
comunitario, avrà carattere residuale e sarà
utilizzato per disciplinare le procedure d'insolvenza relative
a debitori che abbiano il centro degli interessi principali
fuori dalla Comunità europea.
Preliminare
rispetto all'accertamento dei requisiti del provvedimento
straniero è la verifica dell'assoggettabilità
a procedura d'insolvenza del debitore. Sul punto il progetto
non si allinea a quanto previsto nell'art. 16 del regolamento
comunitario, per cui il riconoscimento della procedura di
insolvenza avviene (automaticamente) in tutti gli Stati membri
anche quando il debitore, per la sua qualità, non potrebbe,
in questi, essere assoggettato a una procedura di insolvenza.
I
requisiti necessari per il riconoscimento dei provvedimenti
stranieri relativi ad una procedura di insolvenza sono:
a)
la pronuncia da parte dell'autorità straniera dello
Stato in cui si trova il centro degli interessi principali
del debitore;
b)
il rispetto dei diritti essenziali della difesa. Si è
scelta una formulazione volutamente generica per permettere
un costante adeguamento alla giurisprudenza della Corte Costituzionale
e ai principi del due process of law, risultanti dagli strumenti
internazionali diretti a garantire il rispetto delle libertà
e dei diritti fondamentali della persona.
c)
l'esecutività nello Stato d'origine;
d)
la non contrarietà a decisioni italiane;
e)
la non contrarietà all'ordine pubblico.
Ai
sensi dell'art. 4, comma I, il giudice competente per il riconoscimento
del provvedimento straniero relativo ad una procedura principale
aperta e svoltasi all'estero è la Corte d'appello.
La
scelta della Corte d'appello come giudice del riconoscimento
deriva da un'esigenza di uniformità rispetto a quanto
previsto sia dalla legge interna di diritto internazionale
privato, sia dal progetto di regolamento comunitario che,
sul punto, rinvia alla convenzione di Bruxelles del 1968.
In particolare, secondo quanto disposto dall'art. 67 della
legge n. 218/1995, in caso di mancata ottemperanza o di contestazione
del riconoscimento della decisione straniera o quando sia
necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia
interesse può chiedere alla Corte d'appello del luogo
di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento.
Secondo quanto disposto dall'art. 32 della convenzione di
Bruxelles, invece, la competenza per il riconoscimento e l'esecuzione
delle sentenze spetta alla Corte d'appello del domicilio del
convenuto ovvero del luogo di situazione dei beni.
Secondo
il progetto, infine, la Corte d'appello competente in ordine
al riconoscimento di una procedura principale straniera è
quella della dipendenza del debitore o, in difetto, del luogo
in cui sono localizzati i beni. La Corte così individuata
si pronuncia, inaudita altera parte, con decreto da notificare
al ricorrente, al debitore, al curatore e al Pubblico ministero
(art. 4, comma II).
L'art.
4, comma III, è volto a disciplinare la fase dell'opposizione
al decreto di riconoscimento nell'ambito della quale viene
instaurato il contraddittorio. Giudice competente è
la stessa Corte d'appello, presso la quale chiunque vi abbia
interesse può proporre opposizione entro il termine
di 60 giorni dalla notificazione del decreto di riconoscimento.
Il
decreto di riconoscimento, al pari della sentenza che decide
l'opposizione, è immediatamente trasmesso al tribunale
fallimentare competente (art. 4, comma IV).
Contro
la sentenza che decide l'opposizione è ammesso unicamente
ricorso per Cassazione per violazione di legge (parallelamente
rispetto a quanto previsto nell'art. 41 della convenzione
di Bruxelles).
Se
il provvedimento straniero è stato sospeso nello Stato
d'origine, la Corte d'appello, non appena ricevutane notizia,
sospende il provvedimento (a differenza di quanto previsto
dall'art. 38 della convenzione di Bruxelles che attribuisce
una semplice facoltà di sospensione).
Come
norma di chiusura, è prevista la partecipazione al
giudizio del Pubblico Ministero.
13.
Il riconoscimento di una procedura principale straniera produrrà
effetti diversi a seconda che in Italia sia già aperta
una procedura territoriale di insolvenza oppure non risulti
pendente alcun procedimento concorsuale.
Nella
prima ipotesi, il riconoscimento determina la trasformazione
della procedura territoriale in procedura secondaria. La differenza
tra i due procedimenti, limitati ai beni presenti nello Stato
e ai creditori domiciliati in Italia, risiede nel fatto che
la procedura territoriale non ha necessariamente carattere
liquidatorio, mentre la procedura secondaria (art. 1, lettera
d) è, di regola, una procedura di liquidazione.
Al
momento della trasformazione della procedura territoriale
in secondaria, a seguito del riconoscimento della procedura
principale straniera, possono verificarsi due differenti ipotesi:
1)
se la procedura territoriale è una procedura di liquidazione
non occorre alcuna pronuncia del tribunale fallimentare, dal
momento che il riconoscimento pronunciato dalla Corte d'appello
determina automaticamente la trasformazione della procedura
italiana in procedura secondaria;
2)
se la procedura territoriale non è una procedura di
liquidazione, il tribunale fallimentare è tenuto, invece,
a valutare l'opportunità di attribuire alla procedura
territoriale carattere liquidatorio o di mantenerne il carattere
originario. Nell'emettere la pronuncia, il tribunale tiene
conto dello stato di avanzamento della procedura territoriale
e degli interessi dei creditori; il curatore straniero e quello
italiano devono, comunque, essere sentiti.
L'art.
5, lett. b disciplina il differente caso in cui in Italia
non sia stata aperta una procedura territoriale prima del
riconoscimento di un provvedimento straniero relativo alla
procedura principale d'insolvenza.
In
tal caso, il riconoscimento può avere diversi sviluppi,
ossia determinare l'apertura di una procedura secondaria in
Italia oppure l'estensione degli effetti della procedura principale
straniera ai beni presenti nel territorio dello Stato.
Il
tribunale decide, infatti, sull'opportunità di aprire
una procedura secondaria in Italia, tenendo conto dell'esigenza
di economia processuale e della consistenza dei beni del debitore
in Italia (a tal fine il debitore deve rendere apposita dichiarazione).
Se il giudice decide di non aprire la procedura secondaria,
gli effetti della procedura principale straniera si estendono
ai beni presenti nello Stato.
Tra
il momento in cui la Corte d'appello si pronuncia a favore
del riconoscimento ed il momento in cui il tribunale fallimentare
decide in merito all'estensione degli effetti della procedura
principale straniera ai beni presenti in Italia oppure all'apertura
di una procedura secondaria, trascorre un periodo di tempo
in cui si determinano gli effetti patrimoniali previsti dalla
legge fallimentare italiana.
Quanto
disposto dall'art. 5, comma III, per cui l'apertura di una
procedura secondaria in Italia non richiede un esame dell'insolvenza
del debitore già accertata nel provvedimento straniero
riconosciuto, rispecchia esattamente l'art. 27 della proposta
di regolamento comunitario. La regola appare perfettamente
idonea ad essere trasposta anche al di fuori del contesto
comunitario; nel momento in cui si riconosce il provvedimento
straniero di apertura di una procedura principale, sembra
infatti corretto riconoscerne anche l'accertamento relativo
all'insolvenza del debitore.
In
caso di apertura di una procedura secondaria in Italia ai
sensi dell'art. 5, comma III, il curatore italiano deve comunicare,
senza ritardo, qualsiasi informazione che possa essere utile
al curatore straniero della procedura principale. Il riconoscimento
di una procedura principale straniera e l'apertura di una
procedura secondaria in Italia ha significato in quanto si
instauri una certa collaborazione tra i curatori, che consenta
un coordinamento tra le procedure d'insolvenza contestualmente
pendenti.
In
particolare, il curatore della procedura secondaria dovrà
fornire informazioni al curatore della principale in ordine
all'insinuazione e la verifica dei crediti, nonché
in ordine ai provvedimenti volti a porre fine alla procedura.
In
caso, invece, di estensione della procedura straniera ai beni
presenti in Italia, senza apertura di una procedura secondaria,
il curatore straniero può esercitare in Italia tutti
i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato di
apertura.
L'esercizio
di tali poteri è subordinato al rispetto della legge
italiana, in particolare in ordine alle norme che disciplinano
le modalità di liquidazione dei beni.
14.
L'art. 6, nel disciplinare gli effetti del ricorso per il
riconoscimento del provvedimento straniero di apertura di
una procedura principale nei confronti dei creditori concorsuali,
si ispira alla legge fallimentare (r.d. 267/42), in particolare
all'art. 51 e alle limitazioni ad esso inerenti. Quest'ultimo
prevede che "dal giorno della dichiarazione di fallimento
nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata
o proseguita sui beni compresi nel fallimento".
La
disposizione in esame anticipa, peraltro, il prodursi degli
effetti preclusivi al momento della presentazione del ricorso
per il riconoscimento della procedura principale straniera.
Per
quanto riguarda l'azione revocatoria, invece, qualora al riconoscimento
di una procedura principale straniera segua l'estensione degli
effetti ai beni presenti in Italia, questa è proposta
dal curatore straniero o da un creditore da questi abilitato
con dichiarazione scritta autenticata.
Qualora,
invece, al riconoscimento di una procedura principale straniera
segua l'apertura di una procedura secondaria, l'azione revocatoria
è proposta dal curatore italiano e, in caso di sua
inerzia, dal curatore straniero o da un creditore da questi
abilitato con dichiarazione scritta autenticata.
Il
curatore straniero può proporre l'azione revocatoria,
regolata dal diritto italiano, solo se relativa a rapporti
regolati dal diritto italiano o beni localizzati nello Stato.
L'art.
9 prevede, infine, la cd. hotcpot rule, ossia la regola seguita
nei paesi di common law e tesa alla effettiva realizzazione
della par condicio creditorum; in base ad essa il creditore
che, in una procedura straniera, abbia recuperato una quota
del proprio credito partecipa ai riparti effettuati nella
procedura secondaria aperta in Italia soltanto quando i creditori
dello stesso grado abbiano ottenuto una quota equivalente.
Contrariamente
a quanto previsto dal regolamento comunitario, per cui, al
fine di garantire la par condicio creditorum, ogni creditore
può insinuare il proprio credito sia in una procedura
principale che in una procedura secondaria, nel progetto la
procedura secondaria è finalizzata alla esclusiva soddisfazione
dei creditori domiciliati o residenti in Italia. Pertanto,
una volta soddisfatti detti creditori, l'eventuale saldo è
messo a disposizione della procedura straniera, attraverso
disposizione del giudice delegato che trasferisce, su richiesta
del curatore della procedura secondaria, l'eventuale residuo
dell'attivo al curatore della procedura principale.
15.
A norma dell'art. 8 del progetto, le forme di pubblicità
cui sono sottoposti i provvedimenti stranieri relativi alle
procedure di insolvenza sono le medesime previste per i corrispondenti
provvedimenti italiani.
L'art.10,
infine, è una norma di chiusura che fa salva l'applicazione
delle disposizioni comunitarie, delle convenzioni internazionali
in vigore per l'Italia e della disciplina relativa a procedure
d'insolvenza previste da norme speciali, in relazione a particolari
tipologie di debitori, quali, per esempio, imprese assicuratrici
ed enti creditizi.
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