Aggiornamento
legislativo segnalato da:
ROBERTO IODICE
Avvocato in Napoli
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XIV
LEGISLATURA
CAMERA
DEI DEPUTATI N. 970
PROPOSTA
DI LEGGE d'iniziativa dei deputati FASSINO, AGOSTINI, FOLENA,
VISCO, BENVENUTO, BONITO, CARBONI, CENNAMO, COLUCCINI, GRANDI,
LUCIDI, OLIVIERI, NICOLA ROSSI, SINISCALCHI
Delega
al Governo per la riforma delle procedure della crisi di impresa
Presentata il 21 giugno 2001
RELAZIONE
PROGETTO
DI LEGGE - N. 970
RELAZIONE
Onorevoli
Colleghi! - Premesso che in data odierna presentiamo altresì
la proposta di legge recante delega al Governo per la riforma
del diritto societario, riteniamo che occorra intervenire
altrettanto incisivamente su un aspetto dell'ordinamento dell'impresa
che, non meno della disciplina civilistica delle società di
capitale e cooperative, è per generale consenso bisognoso
di profonde innovazioni dopo decenni di sostanziale immobilismo
intaccato solo da marginali e non sempre coordinati interventi
correttivi: la disciplina della crisi di impresa. Procedure
concorsuali efficienti sono essenziali per assicurare la crescita
e la competitività delle imprese. Le modalità di soluzione
delle crisi hanno infatti effetti sulle aspettative dei soggetti
che gestiscono le imprese e di quelli che forniscono finanziamenti
e, quindi, sul loro comportamento. Da un lato, insufficienti
garanzie per i creditori nelle fasi di crisi possono limitare
l'accesso al credito delle imprese e aumentarne il costo;
dall'altro sanzioni severe possono avere molteplici effetti
negativi: a) scoraggiare in misura eccessiva l'assunzione
del rischio da parte degli imprenditori; b) ritardare l'avvio
delle procedure concorsuali ed indurre investimenti eccessivamente
rischiosi da parte dell'imprenditore in crisi nella speranza
di evitare l'assoggettamento alla procedura. In generale,
come sottolineano anche alcuni organismi internazionali (si
veda Fondo monetario internazionale, "Orderly and Effective
Insolvency Procedures", 1999), buone procedure concorsuali
incrementano il valore delle attività economiche, sia scegliendo
fra le opzioni possibili quella che massimizza il valore dell'impresa,
sia riducendo costi e tempi delle procedure stesse. Le carenze
delle procedure concorsuali vigenti nel nostro ordinamento
sono da tempo oggetto di discussione e sollevano la necessità
di una profonda revisione dei meccanismi. Con riferimento
ai fallimenti conclusi nel periodo 1981-1995, sono stati rilevati
costi diretti - vale a dire spese per il compenso degli organi
della procedura e spese amministrative ad esclusione degli
oneri sostenuti dai creditori per il recupero dei crediti
- mediamente pari al 4 per cento dei crediti ammessi allo
stato passivo e al 20 per cento degli introiti derivanti dalla
liquidazione dell'attivo. La durata media della procedura
è di sei anni ed aumenta nel caso di procedure che si concludono
con il pagamento integrale dei creditori. Quest'ultimo esito
non è il risultato prevalente: al contrario, nel corso del
tempo si è assistito ad un incremento della frequenza dei
casi di chiusura per insufficienza dell'attivo. Le percentuali
di recupero del credito sono mediamente pari al 33 per cento
per i creditori garantiti e salgono al 48 per cento nel caso
di finanziamento bancario. L'integrità dell'attivo aziendale
è ovviamente legata anche alla tempestività con cui viene
reso noto lo stato di dissesto. Al proposito, l'evidenza empirica
relativa al periodo 1989-1993, pur non permettendo di trarre
considerazioni definitive sul fenomeno, sembra testimoniare
la scarsa propensione dell'imprenditore a rivelare lo stato
di crisi: solo il 7,3 per cento delle procedure fallimentari
è stato aperto su iniziativa dell'imprenditore. L'evidenza
empirica è poco incoraggiante anche con riferimento alle procedure
concorsuali minori. In particolare, per un campione di procedure
di concordato avviate presso alcuni tribunali nel periodo
1980-1993, è emerso che circa il 50 per cento dei casi è sfociato
nel fallimento, mentre solo il 14 per cento ha avuto regolare
esecuzione. In quest'ultima circostanza, i tempi medi si aggirano
attorno ai quattro anni. Anche l'istituto dell'amministrazione
controllata si è rivelato uno strumento poco utile al conseguimento
dell'obiettivo per il quale era stato concepito, ossia il
risanamento delle imprese in crisi: infatti esso sfocia spesso
nel concordato preventivo e/o nel fallimento. Indagini campionarie
mostrano che, pur essendo la presentazione della domanda di
ammissione alla procedura giudicata tempestiva nella maggior
parte di casi, il concordato preventivo rappresenta l'esito
finale nel 43 per cento dei casi, mentre il fallimento emerge
a conclusione della procedura nel 44 per cento dei casi. Questi
dati assumono rilievo ancora maggiore se inseriti nel particolare
contesto produttivo italiano, caratterizzato dalla rilevanza
numerica delle piccole imprese, più esposte ai rischi derivanti
da una legge fallimentare inadeguata. Tra le imprese minori
il tasso di natalità, ma anche di mortalità, è molto elevato
e tale da generare un alto rischio di incorrere nelle procedure
concorsuali. Il maggiore grado di indebitamento delle piccole
imprese rispetto alle grandi (il rapporto tra debiti e capitale
di rischio è pari all'1,9 per le imprese con meno di 15 addetti
e allo 0,8 per quelle con oltre 100 addetti) accentua tale
rischio e la sua influenza sul comportamento imprenditoriale.
L'elevata varianza della struttura industriale per aree geografiche
in termini di redditività e produttività rappresenta una ulteriore
peculiarità del sistema, che lo espone ai costi di una legge
fallimentare non più adeguata. Infine, l'inefficienza delle
procedure concorsuali incide negativamente sullo stesso costo
del credito per le imprese di più ridotte dimensioni. E' dunque
opportuno modificare i meccanismi di risoluzione delle crisi
di impresa in modo da consentirne il risanamento, laddove
ciò rappresenti la soluzione economicamente conveniente. Occorre
altresì dare impulso allo svolgimento delle procedure e contenerne
i costi amministrativi. E' infine importante predisporre meccanismi
che garantiscano la tutela dei creditori, finalità primaria
ed indefettibile delle procedure concorsuali, e incentivino
il debitore a rivelare tempestivamente lo stato di dissesto,
adoperandosi per la salvaguardia dell'integrità dell'attivo
aziendale. Tali finalità possono ricondursi nell'alveo di
due obiettivi che, secondo la teoria economica, dovrebbero
informare le procedure di gestione delle crisi di impresa:
l'efficienza ex post e l'efficienza ex ante. Il primo obiettivo
consiste nella massimizzazione del valore dell'impresa in
crisi; esso si colloca in un'ottica ex post rispetto allo
stato di dissesto e attiene all'efficienza dell'allocazione
delle risorse. Il raggiungimento di tale obiettivo è legato
all'individuazione del soggetto legittimato a decidere circa
il destino (continuazione o liquidazione) dell'impresa assoggettata
alla procedura e del soggetto incaricato di gestirla qualora
venga decisa la sua continuazione, nonché ai costi e alla
durata della procedura medesima. In questo contesto, è opportuno
prevedere, soprattutto nell'ambito di meccanismi di ristrutturazione
delle passività, il coinvolgimento del debitore, in modo da
sfruttare il vantaggio informativo che egli possiede con riferimento
alla valutazione della convenienza economica della eventuale
continuazione dell'attività; inoltre è necessario disciplinare
l'intervento dei creditori in fase di ammissione del debitore
alle procedure, ovvero di omologazione di un eventuale piano
di risanamento, in modo da garantire flessibilità e rapidità
della gestione della crisi, nonché la continuazione dell'impresa
se il valore di liquidazione è inferiore a quello che si ottiene
mediante la sua conservazione. La continuità aziendale dipende
ovviamente anche dalla possibilità dell'impresa di contrarre
nuovo debito. Ciò richiede un'adeguata tutela dei crediti
sorti nel corso della procedura, pur non potendosi trascurare
la predisposizione di meccanismi di controllo atti a prevenire
fenomeni di overinvestment, ovvero di aggravamento del dissesto
a causa del sorgere di crediti prededucibili. L'obiettivo
dell'efficienza ex ante tiene conto del fatto che le disposizioni
definite in un'ottica ex post riguardano soggetti - ossia
debitore e creditori - operanti prima che lo stato di dissesto
divenga palese e ne possono pertanto influenzare i comportamenti.
La legislazione in materia di procedure concorsuali, se da
un lato può costituire un meccanismo di disciplina del debitore,
dall'altro lato, se è particolarmente rigida, può produrre
effetti indesiderati per i creditori: ad esempio, amministratori
consci delle condizioni di dissesto potrebbero tentare di
evitare le sanzioni scommettendo sul destino dell'impresa
ed intraprendendo progetti eccessivamente rischiosi, che potrebbero
danneggiare tutti i soggetti coinvolti. Sempre in un'ottica
ex ante si inquadrano la tutela dei creditori e il rispetto
delle regole sull'ordine di priorità di rimborso. L'opportunità
di garantire tale tutela attraverso le procedure concorsuali
si fonda su due considerazioni. Anzitutto, la salvaguardia
dei diritti dei creditori contribuisce al contenimento del
costo del debito, nonché all'esercizio della funzione di monitoraggio
dell'impresa che la letteratura economica attribuisce ai creditori
in generale e alle banche in particolare; in secondo luogo,
il rispetto della priorità di rimborso consente di massimizzare
il valore dell'impresa insolvente, inducendo i creditori a
ricorrere alle procedure concorsuali anziché ad azioni esecutive
individuali che potrebbero ridurre il valore dell'attivo.
Emerge quindi l'esigenza di un intervento di riforma che,
superando le inadeguatezze della vigente disciplina, ancorata
a princìpi e valori contrastanti con l'attuale contesto economico,
sappia trovare un equilibrio tra gli obiettivi di efficienza
ex post ed ex ante delle misure per fare fronte alle crisi
d'impresa. Tale intervento è reso tanto più urgente dalla
esigenza di rendere il nostro ordinamento competitivo rispetto
a quelli degli altri Paesi europei che negli ultimi anni hanno
realizzato (Germania, 1994, Belgio, 1998) o avviato (Francia,
Gran Bretagna) processi di revisione della disciplina delle
procedure concorsuali con la finalità di alleggerirne la valenza
afflittiva nei confronti del debitore in crisi, favorendo
nel contempo un tempestivo ricorso alle procedure in vista,
quando ciò sia possibile, del risanamento dell'impresa. Alla
luce di dette considerazioni, la presente proposta di riforma
delle procedure concorsuali vuole conseguire le seguenti finalità:
a) anticipare, mediante la predisposizione di un vasto ed
organico apparato di misure premiali, il ricorso alle procedure
concorsuali da parte del debitore in crisi; b) eliminare il
carattere afflittivo delle procedure concorsuali, dovendo
queste ultime essere viste da un lato come esito sfortunato
ma in una certa misura fisiologico dell'agire sul mercato,
dall'altro lato come strumenti di gestione dell'insolvenza
e della sua risoluzione nell'interesse dei creditori, contemporaneamente
realizzando la repressione di comportamenti scorretti ed abusivi;
c) consentire l'accesso alle procedure, su sua domanda, anche
a colui che non sia imprenditore, proprio per avvalersi dei
benefìci che le procedure concorsuali attribuiscono; d) migliorare
le tecniche di liquidazione, anche sulla scorta di esperienze
già maturate nella prassi giurisprudenziale; e) aumentare
la trasparenza della gestione delle procedure; f) accelerare
le cadenze delle procedure, correlando ai risultati ottenuti,
anche in termini di celerità, il compenso di commissari giudiziali
e curatori, che deve essere adeguato in relazione ai complessi
compiti da svolgere; g) ridurre il contenzioso mediante una
normativa chiara e consapevole dell'impatto economico delle
scelte di regolamentazione; h) neutralizzare l'incognita fiscale
e previdenziale che attualmente grava sulle procedure concorsuali,
mediante la previsione di un obbligo degli uffici di attivarsi
per determinare il quantum dovuto dal debitore assoggettato
alla procedura; i) coordinare la normativa fiscale con quella
delle procedure concorsuali, eliminando le incertezze che
attualmente rallentano e rendono più difficile l'operato degli
organi delle procedure. Caratteristiche generali dell'intervento.
La presente proposta di legge delega prevede due procedure
concorsuali: ristrutturazione delle passività e insolvenza.
Accanto a queste, come importantissimo complemento, si colloca
la disciplina degli accordi stragiudiziali che abbiano lo
scopo e l'effetto di consentire all'imprenditore di superare
lo stato di crisi. Completano il disegno la disciplina delle
procedure concorsuali dei gruppi di imprese e la disciplina
sanzionatoria. La procedura di ristrutturazione delle passività,
che dovrà avere un campo di applicazione assai più vasto della
attuale amministrazione controllata e del concordato preventivo,
si limita a dettare una cornice normativa nella quale l'autorità
giudiziaria svolge un ruolo di garante della corretta formazione
ed esecuzione di un accordo tra il debitore e i suoi creditori.
In questa cornice, qualsiasi accordo è ammissibile, purché
sia vantaggioso per i creditori rispetto alla alternativa
della liquidazione forzata. Il debitore mantiene l'amministrazione
del proprio patrimonio, sotto la vigilanza degli organi della
procedura, in ragione del fatto che egli possiede le informazioni
più idonee a valorizzarlo nell'interesse dei creditori. La
procedura di insolvenza si caratterizza rispetto alla precedente
per un maggiore intervento dell'autorità giudiziaria. Salvo
che intervenga un concordato, proponibile su iniziativa di
qualunque interessato, essa conduce alla liquidazione del
patrimonio del debitore (non necessariamente alla disgregazione
dell'azienda), ossia alla sua riallocazione sul mercato in
mano a soggetti più efficienti. Rispetto alla vigente disciplina
fallimentare, la nuova procedura presenta rilevanti novità,
con riferimento in particolare alla possibilità della conservazione
dell'impresa in attività, per un breve periodo di osservazione
ed anche successivamente qualora ciò risponda all'esigenza
di un migliore realizzo dell'attivo. Si segnala inoltre il
miglioramento delle tecniche di liquidazione del patrimonio,
la possibilità di ricapitalizzazioni e di conferimenti in
società su iniziativa del curatore, la riduzione della revocatoria
alle fattispecie che abbiano arrecato un reale pregiudizio
ai creditori. La disciplina degli effetti della composizione
negoziale della crisi non configura un intervento autoritativo,
ma si limita a dare certezza e convenienza ad accordi che
abbiano lo scopo e la conseguenza della eliminazione dello
stato di crisi. Imprese anche recuperabili, infatti, spesso
non vengono salvate a causa dei timori delle revocatorie e
delle sanzioni penali che potrebbero scattare nel caso di
insuccesso del salvataggio. Una maggiore certezza deriva da
una sorta di "sigillo" dell'autorità giudiziaria, concesso
su certificazione di un esperto, ad accordi che perseguano
il risanamento. La normativa sulle procedure concorsuali che
investono imprese di gruppo si propone di adattare la disciplina
ordinaria a situazioni di collegamento che esigono da un lato
un coordinamento fra le procedure pur nella separatezza dei
patrimoni, dall'altro lato una maggiore severità nei confronti
di atti che potrebbero configurare depauperamenti e indebiti
trasferimenti di ricchezza all'interno del gruppo, con danno
dei creditori. Infine la disciplina sanzionatoria si propone
di ridurre le caratteristiche di afflittività delle procedure
concorsuali, pur nel rispetto dell'interesse alla corretta
applicazione delle stesse. Si è così provveduto a escludere
la punibilità a titolo di colpa, e si sono meglio precisate
le fattispecie penalmente rilevanti. Con l'articolo 1 della
proposta di legge si delega il Governo a emanare uno o più
decreti legislativi per disciplinare le procedure di ristrutturazione
delle passività e di insolvenza ed alcuni effetti della composizione
negoziale delle crisi, coordinando le nuove norme con quelle
della vigente legge fallimentare non toccate dai criteri di
delega; ciò in quanto la legge delega detta specifici criteri
solo laddove l'esigenza di riforma è più sentita. Dall'intervento
dovrà comunque uscire un testo legislativo completamente nuovo,
dotato di caratteristiche di organicità e di completezza.
Il coordinamento dovrà realizzarsi anche con le connesse discipline
delle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di
amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Per quanto concerne la liquidazione coatta amministrativa,
se ne limita l'applicazione alle imprese bancarie ed assicurative,
alle società di intermediazione mobiliare, alle società di
gestione del risparmio, alle società di investimento a capitale
variabile nonché alle imprese per le quali, a causa di collegamenti
con altre imprese a loro volta soggette a liquidazione coatta,
sia ritenuta necessaria la sottrazione alle procedure ordinarie.
In questo modo subisce una riduzione l'area dei soggetti per
i quali la situazione di crisi economica è assoggettata a
discipline amministrative, manifestandosi la preferenza, alla
luce del ripensamento complessivo dell'impianto delle norme
sulla crisi d'impresa, per una più generale riconduzione di
tutte le categorie di imprese alle procedure ordinarie, ferme
restando le eventuali discipline speciali di prevenzione e
di repressione delle situazioni di crisi, anche derivanti
da irregolarità o da violazioni di legge, che possano essere
risolte mediante interventi sugli organi societari e non con
la liquidazione dell'ente. In questa prospettiva si sono salvaguardate
soltanto quelle imprese la cui "specificità" e rilevanza degli
interessi coinvolti (risparmiatori ed investitori) suggeriscono
più penetranti interventi da parte delle autorità di vigilanza,
per la individuazione delle soluzioni, spesso caratterizzate
da elevato tecnicismo, in grado di rispondere con più rapidità
ed efficienza a tali interessi. Peraltro anche per queste
imprese si delinea con crescente evidenza la necessità di
una maggiore coerenza, per quanto riguarda la fase della crisi,
con la disciplina di diritto comune. Occorrerà pertanto avviare,
anche in relazione all'emanazione e al recepimento delle iniziative
comunitarie in tema di armonizzazione delle procedure di risanamento
e liquidazione delle imprese bancarie, un'opera di complessivo
ripensamento della disciplina in materia e di coordinamento
con le norme emanate in attuazione dei presenti criteri di
delega. Per quanto riguarda infine la procedura di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese insolventi, di cui al decreto
legislativo n. 270 del 1999, mentre sembra indispensabile
intervenire sull'attuale configurazione del presupposto soggettivo
- che dovrà essere piuttosto ricollegato in modo univoco alla
nozione di "grande impresa" anche alla luce della relativa
disciplina comunitaria -, non appare opportuno un intervento
su una recente riforma (pur sempre limitata ad un'esigua percentuale
delle imprese italiane) la cui applicazione pratica non ha
ancora offerto risultati definitivi, e quindi non consente
ancora una valutazione certa sulla sua efficienza economica.
L'articolo 2 contiene i princìpi e criteri direttivi generali
che ispirano l'impianto complessivo della riforma. Il comma
1 definisce i canoni di redazione delle nuove norme, facendo
riferimento alla chiarezza, alla semplificazione e alla valutazione
dell'impatto economico delle scelte di regolamentazione. Si
noti che la chiarezza della normativa, quando si affrontano
fenomeni complessi come l'insolvenza, la quale si svolge in
assenza di qualunque previo "contratto" fra creditori, è un
vincolo incompatibile con la brevità: non a caso le normative
concorsuali di altri Paesi sviluppati sono dettagliate, proprio
perché mirano a prevenire quei conflitti che inevitabilmente
sorgono quando invece la normativa è carente. Il comma 2 definisce
quale obiettivo fondamentale la migliore soddisfazione dei
creditori in termini di importi e di rapidità dei tempi di
soluzione delle crisi. Viene omesso il richiamo esplicito
ad altri interessi che innegabilmente rilevano, quali ad esempio
quelli dei lavoratori, poiché una pluralità di finalità introduce
nelle procedure rischi di conflitto tra diversi obiettivi
che finiscono con il pregiudicarne il successo. Peraltro (e
al di là di retorici, quanto nella prassi inefficaci, richiami),
lo spirito stesso di tutta la riforma, volta a salvaguardare
nella misura più ampia possibile le possibilità di risanamento
dell'impresa e a valorizzare comunque, anche nella ipotesi
di liquidazione, il suo patrimonio, è preciso testimone di
una reale coerenza della complessiva disciplina con le esigenze
di salvaguardia dei livelli occupazionali nelle imprese in
crisi, pur senza cedere a logiche meramente assistenzialistiche,
del tutto prive di efficacia ed anzi dannose per gli stessi
interessi dei lavoratori che vorrebbero tutelare. Alla luce
di questo obiettivo di massima, sono elencati i princìpi generali
ai quali la riforma si ispira. In base alla lettera a) del
citato comma 2 si assoggettano alle procedure concorsuali
tutte le categorie di imprenditori, ritenendo che nella logica
della riforma non vi sia ragione per conservare le aree di
esenzione previste dalla vigente legge fallimentare, che del
resto si riferiscono ad imprenditori, quali gli artigiani
o gli imprenditori agricoli, le cui caratteristiche sono oggi
del tutto diverse da quelle dei loro omologhi del 1942. E'
poi la stessa filosofia delle procedure concorsuali che muta
completamente: esse intendono oggi porsi come procedure "amiche"
dell'imprenditore, che viene aiutato a trovare un accordo
con i creditori e quindi a risollevarsi, o ad uscire dal mercato
se questo non è possibile, proteggendolo da azioni esecutive
multiple certamente non meno gravose. Proprio in questa prospettiva
si consente (ma non si impone) anche a chi non è imprenditore
di chiedere l'intervento delle procedure: non di rado, ad
esempio, in conseguenza di fideiussioni personali a favore
di imprese, anche soggetti privati si trovano oberati di una
massa debitoria largamente eccedente il loro patrimonio, ed
è ragionevole offrire anche ad essi la possibilità di saldare
il passivo offrendo quanto è in loro possesso, consentendo
loro di rientrare nel ciclo produttivo. L'ampliamento del
presupposto soggettivo deve essere letto in coordinamento
con la previsione di cui alla successiva lettera h), che consente
di semplificare le procedure in ragione della entità del passivo
e del limitato numero dei creditori, richiedendo però criteri
certi per individuare i parametri che legittimano tale semplificazione.
Questa previsione mira a rafforzare la nuova impostazione
della riforma, rendendo massimo il beneficio delle procedure
concorsuali a fronte di costi ragionevoli, effettivamente
commisurati alle funzioni, in ipotesi modeste, da svolgere
nel caso concreto. L'ampliamento della platea dei soggetti
sottoponibili alle procedure concorsuali produrrà, è vero,
un aumento del numero delle procedure stesse, ma ciò a fronte
di un attuale massiccio carico per esecuzioni individuali
multiple contro soggetti non fallibili, spesso prive di qualsiasi
coordinamento e fonte di costi per i creditori e per lo Stato.
E' dunque ipotizzabile che l'estensione del presupposto soggettivo
avvenga a saldo zero, se non addirittura negativo, per il
carico gravante sulla macchina giudiziaria. Alle lettere b)
e c) si delega il legislatore ad introdurre criteri che diano
maggiori certezze in ordine sia al momento nel quale si acquista
o si perde la qualità soggettiva per essere sottoposti alle
procedure, sia all'individuazione della competenza territoriale
dell'autorità giudiziaria. Se per quanto riguarda il primo
profilo si tratta di chiarire la vigente disciplina e di adeguarla
alle recenti pronunzie della Corte costituzionale, in rapporto
al secondo aspetto occorre riconsiderare il vigente criterio
della competenza inderogabile del tribunale nella cui circoscrizione
l'imprenditore ha la "sede principale". Poiché non è sempre
chiaro quale sia la sede principale (e la giurisprudenza ritiene
che, in caso di società, questa non coincida necessariamente
con la sede sociale) spesso si creano gravissimi ritardi e
conflitti tra tribunali nell'apertura delle procedure concorsuali,
con conseguente dispersione del patrimonio del debitore o
perdita di azioni revocatorie. Con il criterio di delega si
intendono pertanto definire canoni facilmente accertabili
per stabilire la competenza territoriale, con riferimento
al luogo dove il debitore è stato iscritto nel registro delle
imprese più a lungo nel biennio anteriore al deposito della
domanda di apertura della procedura. Infine si prevede la
attenuazione della rilevanza, pregiudizievole per i creditori,
di eventuali conflitti di competenza territoriale, ad esempio
attraverso la previsione che le questioni inerenti alla competenza
non provochino la nullità del provvedimento che apre la procedura
concorsuale. Alla lettera d) si conferma l'attribuzione alla
autorità giudiziaria delle funzioni di vigilanza sul debitore
e sugli organi della procedura, rivedendo le competenze del
giudice delegato secondo criteri che rafforzino la sua posizione
di terzietà nell'ambito della procedura stessa. Alla lettera
e) si individua il criterio della massima valorizzazione degli
organismi produttivi e del patrimonio del debitore attraverso
ogni possibile soluzione nell'interesse dei creditori. Di
fronte alla rigidità della attuale disciplina, sostanzialmente
incentrata sulla liquidazione del patrimonio mediante vendita
all'incanto, si configura un più ampio spettro di possibilità
(continuazione dell'impresa, ristrutturazione - eventualmente
anche mediante ricapitalizzazioni o conversioni di crediti
in capitale -, liquidazione anche parziale) che vanno ad inserirsi
in una diversa logica di conservazione e di valorizzazione
del patrimonio dell' impresa. Alla lettera f) si intende salvaguardare
la definitività delle operazioni effettuate nell'ambito dei
sistemi di pagamento e la pronta realizzabilità delle garanzie
in armonia con i princìpi comunitari, attribuendo inoltre
piena efficacia alle clausole di compensazione e di riduzione
al saldo netto dei contratti di natura finanziaria. La disposizione
trova origine nella esigenza, non trascurabile nel contesto
di una sempre più intensa competitività tra ordinamenti, di
isolare i mercati finanziari, nella misura più ampia possibile,
dagli effetti dell'insolvenza; ciò al fine di offrire ad operatori
ed investitori un luogo di contrattazione in cui ogni negoziazione,
una volta immessa nel sistema, sia definitivamente efficace,
anche in caso di insolvenza. La lettera g) fa riferimento
all'importante coordinamento, la cui esigenza è giustamente
e fortemente avvertita, con la disciplina societaria, con
particolare riguardo alla estensione ai soci illimitatamente
responsabili, al funzionamento ed alle competenze degli organi,
anche di società di capitali, in pendenza di una procedura
concorsuale e alle modalità di funzionamento della organizzazione
societaria. Essa si propone altresì di risolvere, in relazione
alle diverse possibilità di chiusura delle procedure concorsuali,
il problema della sorte della società dopo la fine della procedura,
da tempo oggetto di dispute e di soluzioni divergenti e con
non lievi problemi operativi. Della lettera h) già si è detto.
La lettera i) prevede il coordinamento della normativa fiscale
con le disposizioni da emanare in attuazione della presente
delega. Il comma 3 dell'articolo 2 indica gli specifici obiettivi
ai quali la disciplina dovrà ispirarsi; in particolare: a)
aumento della trasparenza nella gestione e nella liquidazione
del patrimonio del debitore, utilizzando anche i mezzi telematici
per pubblicizzare gli atti e gli organi delle procedure; analoga
trasparenza dovrà investire anche gli incarichi connessi all'espletamento
delle procedure e i relativi compensi; b) aumento della efficacia
della liquidazione, migliorando l'informazione e gli incentivi
per gli eventuali interessati all'acquisto, anche attraverso
una riduzione degli adempimenti, se del caso prevedendo procedure
diverse dalla vendita all'incanto, che è notoriamente distruttiva
di ricchezza, se funzionali ad una rapida ed efficiente realizzazione
delle finalità della liquidazione. In questo settore alcuni
tribunali dell'Italia del nord hanno dimostrato che tecniche
di vendita forzata più "amichevoli", accompagnate da una serie
di accorgimenti diretti ad incoraggiare la partecipazione
di potenziali acquirenti, possono dare risultati inaspettati
in termini di tempi e di risultati. La riforma si propone
di dare stabilità e certezza a queste (peraltro ancora rare)
prassi, incoraggiandole nel critico settore della liquidazione
all'interno delle procedure concorsuali; c) riduzione dei
tempi per l'esecuzione degli adempimenti connessi alle procedure,
con correlazione dei compensi ai risultati ottenuti e previsione
di ipotesi di responsabilità per gli organi in caso di danni
arrecati dal ritardo; adozione di riti semplificati per la
soluzione delle controversie nascenti dallo svolgimento delle
procedure concorsuali, rivedendo anche il sistema delle opposizioni
e delle impugnazioni per garantire una più rapida e certa
tutela dei diritti; riduzione dei termini di prescrizione
delle azioni revocatorie ad un anno dal momento in cui esse
divengono esperibili ad opera degli organi delle procedure,
con applicazione dello stesso termine di prescrizione all'azione
revocatoria ordinaria esperita all'interno della procedura
(salvo comunque per l'azione revocatoria ordinaria il termine
massimo quinquennale a decorrere dalla data dell'atto, se
anteriore). Si è infatti ritenuto che, quando sia presente
un organo istituzionalmente deputato a tutelare gli interessi
dei creditori, la possibilità di un ritardo fino a cinque
anni dall'apertura della procedura per la proposizione dell'azione
revocatoria (oggi ammesso dalla giurisprudenza) non abbia
alcuna giustificazione, e possa essere fonte degli attuali
rallentamenti che si intendono eliminare; rafforzamento della
autonomia gestionale degli organi della procedura, al fine
di realizzare gestioni ispirate a criteri di rapidità ed efficienza,
limitando l'obbligo del ricorso alla autorità giudiziaria
soltanto agli atti di straordinaria amministrazione. Ciò nell'ottica
della massima responsabilizzazione del commissario giudiziale
e del curatore, da un lato, e della ottimizzazione delle risorse
giudiziarie rispetto alle questioni che effettivamente richiedono
l'intervento del giudice, dall'altro lato; previsione del
diritto del debitore e degli organi della procedura di ottenere
dagli uffici tributari e dagli enti previdenziali, entro il
periodo di un anno dalla comunicazione dell'apertura della
procedura, la determinazione definitiva dell'ammontare dovuto
per capitale, sanzioni ed interessi in relazione ai tributi
e contributi i cui presupposti si sono verificati anteriormente
all'apertura della procedura concorsuale. La norma vuole favorire
una rapida determinazione dei debiti tributari e previdenziali
della procedura, al fine di consentire la formazione di un
chiaro quadro della esposizione complessiva dell'imprenditore
della quale tenere conto nel prefigurare le soluzioni (di
risanamento o di liquidazione) ritenute più efficienti; d)
anticipazione del momento di apertura delle procedure, al
fine di una loro maggiore efficacia, mediante la previsione
a favore del debitore di misure premiali consistenti nella
dilazione del pagamento di tutti i tributi e contributi previdenziali
e nella diminuzione di sanzioni per il mancato pagamento di
debiti tributari e contributivi, nonché nella diminuzione
della pena per i delitti commessi dal debitore che, dopo la
commissione del fatto, volontariamente richieda l'apertura
di una procedura concorsuale e si adoperi seriamente per eliminare
o ridurre il pregiudizio per i creditori .
Attraverso misure che incentivano la tempestività del ricorso
alle procedure, si mira a prevenire il ritardo nella denunzia
dello stato di crisi, che rende più difficile la soluzione
della crisi medesima (il patrimonio rischia infatti di essere
disperso in tentativi di soluzione che naufragano per incapacità
dell'imprenditore o per la mancanza di coordinamento fra i
creditori); e) riconoscimento e valorizzazione dell'autonomia
privata nella soluzione delle crisi, agevolando soluzioni
adottate con il consenso delle categorie interessate e rimuovendo
eventuali ostacoli di carattere legislativo, regolamentare
e fiscale a tali soluzioni. La previsione si muove nell'ottica
di incentivare soluzioni che trovino fondamento in accordi
fra debitore e creditori che spesso si rivelano maggiormente
capaci di cogliere la specificità delle singole situazioni
e di definire strumenti di intervento su queste modulati.
Tali accordi devono dunque ricevere adeguata tutela soprattutto
per quanto concerne la certezza degli effetti degli atti compiuti.
Fra gli ostacoli che si intendono eliminare spicca il divieto
codicistico alla partecipazione a fusioni o scissioni per
le società sottoposte a procedure concorsuali ed eventualmente
di quelle in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione
dell'attivo: l'articolo 1, comma 3, della direttiva 78/855/CEE
del Consiglio, del 9 ottobre 1978, in materia di fusioni (essendo
applicabile anche alla direttiva 82/891/CEE del Consiglio,
del 17 dicembre 1982, in materia di scissioni) consente di
non applicare la direttiva medesima "se una o più società
in via di incorporazione o di estinzione sono oggetto di una
procedura di fallimento, di concordato o di altre procedure
affini". Il legislatore nazionale si è avvalso della facoltà
concessa dalla normativa comunitaria, ma questa posizione
sembra meritevole di ripensamento nel quadro di una radicale
riforma delle procedure concorsuali; f) incentivazione dei
comportamenti cooperativi del debitore, sia mediante eventuali
misure premiali, sia sanzionando (civilmente, mediante la
perdita di benefìci, e nei casi più gravi anche penalmente)
la violazione dei doveri di buona fede, correttezza e trasparenza.
Uno degli elementi su cui l'intero disegno riformatore maggiormente
punta è rappresentato dalla collaborazione dell'apparato dello
Stato alla soluzione delle crisi. Ciò è da ottenere non mediante
un improponibile intervento nel pagamento delle passività
delle imprese, bensì mediante l'utilizzo da parte del creditore
pubblico, nell'esazione dei propri spesso ingenti crediti,
della stessa flessibilità di cui dispone il creditore privato,
il quale già conosce per esperienza che talvolta una dilazione
o una rinunzia parziale può portare ad un recupero maggiore
di quanto possa consentire un'azione di forza. Né questa flessibilità
costituisce un aiuto di Stato vietato dall'articolo 87 del
Trattato di Roma, istitutivo della Comunità europea, come
modificato dal Trattato di Amsterdam di cui alla legge 16
giugno 1998, n. 209, come chiarito dalle recenti pronunzie
della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia
di procedure concorsuali, dato che essa viene applicata a
tutte le imprese in modo non discriminatorio, a prescindere
dalla dimensione o dall'attività esercitata. In relazione
all'articolo 3 (procedura di ristrutturazione delle passività),
rileviamo che è naturale e corretto che l'imprenditore cerchi
di affrontare le situazioni di crisi ricercando un accordo
con i propri creditori e ricorrendo quindi a soluzioni alternative
alla liquidazione forzata del proprio patrimonio. I vantaggi
delle soluzioni "contrattate" sono la tendenziale conservazione
dei valori, la adattabilità dei contenuti alle caratteristiche
dei singoli casi, la flessibilità delle modalità operative
attraverso le quali perseguire gli obiettivi individuati.
Il ricorso a soluzioni extragiudiziali delle situazioni di
crisi appare tuttavia impraticabile in fattispecie caratterizzate,
per esempio, dalla frammentazione delle categorie di creditori
e di controparti interessate al tentativo di risanamento,
in cui l'affidamento del tentativo alla sola iniziativa del
debitore espone al rischio di iniziative individuali comportanti
l'alterazione della condizione dei creditori, al di fuori
di qualsiasi regola idonea a giustificare in qualche misura
la previsione di eccezioni al principio della par condicio
creditorum. Si è pertanto proposto di disciplinare una procedura,
che si sostituisce agli attuali procedimenti di amministrazione
controllata e di concordato preventivo, la quale consenta
di inserire i tentativi di superamento delle situazioni di
crisi di impresa in un contesto caratterizzato da alcuni elementi
fondamentali di controllo giudiziale, fissando i requisiti
essenziali in presenza dei quali: mettere al riparo l'imprenditore
da azioni esecutive individuali, capaci di fare naufragare
sul nascere il tentativo di soluzione della crisi anche quando
quest'ultimo vada a vantaggio di tutti i creditori; favorire
la formazione di un consenso informato dei creditori, valorizzando
il principio di maggioranza (qualificata); giustificare l'esonero
da "persecuzione" penale e da revocatoria di quei comportamenti
ed atti posti in essere coerentemente con un programma di
soluzione della crisi condiviso dai titolari degli interessi
coinvolti e positivamente valutato dall'autorità giudiziaria;
favorire l'afflusso di finanziamenti, se ed in quanto necessari
secondo il programma approvato dalle parti interessate, mediante
l'attribuzione di una prededucibilità analoga a quella assicurata
alle obbligazioni contratte per l'esercizio dell'impresa nel
contesto di una gestione che avviene sotto il controllo dell'autorità
giudiziaria; consentire l'ideazione di soluzioni modellate
sulle specifiche caratteristiche della singola situazione
di crisi, sia dal punto di vista tecnico (relativo ai profili
di ingegneria giuridica e finanziaria del programma di ristrutturazione),
sia dal punto di vista gestionale (relativo alla individuazione
dei protagonisti del tentativo di superamento della crisi).
Per ciò che concerne quest'ultimo aspetto, la procedura di
ristrutturazione delle passività parte dal presupposto che
il soggetto al quale affidare il tentativo di superamento
della crisi nel corso della procedura di ristrutturazione
delle passività debba essere lo stesso debitore, sia pure
sotto la vigilanza degli organi della procedura, proprio perché
è lui quello che possiede le informazioni più idonee a valorizzare
la propria impresa e il proprio patrimonio: ciò senza impedire
che lo stesso debitore possa valutare caso per caso se, in
quali termini e con riguardo a quali risorse manageriali offrire
ai creditori, come motivo di garanzia supplementare della
credibilità del programma di ristrutturazione, anche la sostituzione
o l'integrazione del management precedente, oppure che a ciò
possa provvedere, quando lo giudichi assolutamente necessario,
la stessa autorità giudiziaria. In sintesi, la procedura di
ristrutturazione delle passività: a) lascia il debitore nel
controllo del proprio patrimonio, poiché egli è l'unico che
ha informazioni idonee a valorizzarlo; lo assoggetta tuttavia
al controllo del commissario giudiziale e dell'autorità giudiziaria;
b) mira alla massima soddisfazione per i creditori, comunque
conseguita, e dunque alla massimizzazione del valore attuale
del patrimonio, senza dettare vincoli sulle modalità del raggiungimento
dell'obbiettivo, rendendo quindi lecite sia la continuazione
dell'attività sia la sua cessazione, come pure la dismissione
parziale o totale dell'azienda; c) fornisce un forte incentivo
al debitore, il quale con questa procedura non ha concorrenza
in quanto i creditori possono accettare o rigettare il piano
(provocando l'apertura della procedura di insolvenza), ma
non modificarlo; d) suddivide i creditori per classi, con
possibilità di soddisfacimento differenziato (ad esempio mediante
l'attribuzione di obbligazioni o azioni, mediante dilazioni
maggiori, o minori somme, ai creditori finanziari, eccetera);
e) prevede l'approvazione del piano per classi, con approvazione
forzata (sul modello del cosiddetto "cram down" statunitense
o dell'Obstruktionsverbot tedesco) in caso di ostruzionismo
di una classe; f) consente di sciogliere i contratti pendenti
se la loro prosecuzione sia contraria all'interesse dei creditori.
E' importante segnalare prima di tutto uno strumento di flessibilità
consistente nella possibilità del debitore di portare davanti
all'autorità giudiziaria un accordo "preconfezionato" con
i propri creditori. L'articolo 3, comma 1, lettera l), prevede
un iter semplificato per le ipotesi nelle quali la ristrutturazione
delle passività interessi solamente una parte circoscritta,
in senso soggettivo, delle obbligazioni (per esempio le sole
obbligazioni verso le banche), ed il consenso della maggioranza
della classe dei creditori relativi sia già stato formalmente
conseguito con modalità atte a garantire la completezza e
la trasparenza informativa nei confronti di ogni interessato.
Si tratta di previsione di grandissima rilevanza, modellata
sulla cosiddetta "pre-packaged bankruptcy" conosciuta dalla
prassi statunitense, che consente di disporre di uno strumento
a metà strada fra la ristrutturazione delle passività e l'accordo
di composizione negoziale delle crisi di cui all'articolo
5 della presente proposta di legge. Il debitore può infatti
privatamente negoziare una ristrutturazione con una classe
soltanto dei creditori, e l'accordo raggiunto con la maggioranza
di questi viene reso efficace per tutti i creditori della
classe mediante un ricorso all'autorità giudiziaria; ciò in
tempi che possono anche essere brevissimi, trattandosi di
consultare un numero ridotto di creditori sulla base di elementi
che sono stati già forniti prima dell'apertura della procedura.
Circa i presupposti soggettivi, alla procedura di ristrutturazione
delle passività può accedere qualsiasi impresa, a prescindere
dalla tipologia dell'attività esercitata e dalle dimensioni.
In questa prospettiva, anche le imprese soggette alla procedura
di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo
n. 270 del 1999 possono essere ammesse a presentare piani
di ristrutturazione del loro indebitamento. E' parso peraltro
opportuno non estendere l'ambito di applicazione alle imprese
dei settori assicurativo, bancario e finanziario. La ragione
risiede essenzialmente nella circostanza che per tali imprese
i rispettivi ordinamenti di settore prevedono già una disciplina
organica delle situazioni di "crisi", sulle quali non è pertanto
necessario intervenire. Per le società fiduciarie disciplinate
dalla legge n. 1966 del 1939 e dalle disposizioni integrative
successive sussiste in parte la stessa ragione, in parte la
ragione connessa al progetto di riforma in corso di esame,
nell'ambito del quale potrà più opportunamente essere affrontato
anche questo tema. Alla procedura possono infine accedere
i debitori non imprenditori, allorché intendano conseguire
il beneficio della liberazione dai debiti che consegue all'accordo
con i creditori. Infatti, benché ideata con lo sguardo principalmente
rivolto alla soluzione di crisi di impresa, la procedura di
ristrutturazione delle passività si presenta come una soluzione
praticabile per qualsiasi situazione di sovraindebitamento,
purché ovviamente di una qualche minima consistenza: ciò sia
perché l'esigenza di una sistemazione, dai contenuti adattabili
ai singoli casi di specie, può concernere soggetti anche diversi
dall'imprenditore; sia perché la sistemazione delle situazioni
di sovraindebitamento di singole persone fisiche può rappresentare
un presupposto indispensabile per la sistemazione della corrispondente
situazione di crisi di imprese variamente collegate, come
accade nelle ipotesi di presenza di fideiussori o di soci
illimitatamente responsabili. Il presupposto oggettivo della
procedura di ristrutturazione delle passività è costituito
sia dalla temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni,
sia dallo stato d'insolvenza attuale o imminente. Si tratta
di una scelta che volutamente amplifica al massimo le possibilità
di ricorso del debitore alla procedura. Infatti, se da un
lato ciò deve essere consentito in situazioni di semplice
difficoltà di adempiere (cosa che sarebbe auspicabile nell'ottica
dell'anticipazione che tutta la presente proposta di legge
persegue), dall'altro lato si è ritenuto di non precluderlo
anche all'imprenditore che si trovi in stato di vera e propria
insolvenza. Infatti: a) l'esistenza dello stato di insolvenza
nulla dice di definitivo circa il valore dell'impresa, la
quale può essere sovraindebitata ma comunque produttiva di
ricchezza o in ogni caso risanabile; in sintesi: essa può
avere necessità di una nuova struttura finanziaria, e dunque,
appunto di una "ristrutturazione delle passività"; b) la collaborazione
del debitore, grazie al patrimonio informativo di cui è in
possesso, è comunque utile alla massima soddisfazione dei
creditori anche quando la soluzione sia meramente liquidativa;
c) l'ammissione anche dell'imprenditore insolvente alla procedura
di ristrutturazione delle passività consente di demandare
alla procedura di insolvenza una funzione prevalentemente
liquidativa, conseguendo così una netta distinzione di funzioni,
che implica anche maggiore celerità, fra le due procedure,
evitando così di dover esperire, nella procedura di insolvenza,
tentativi di risanamento che sono del tutto velleitari se
effettuati in condizione di spossessamento del debitore; d)
è inevitabile prendere atto del fatto che l'imprenditore si
rende conto delle difficoltà in ritardo, quando spesso la
situazione è già di insolvenza; chiudere le porte alla sua
collaborazione sarebbe inutilmente afflittivo e, soprattutto,
dannoso per i creditori. Nella procedura di ristrutturazione
delle passività l'autorità giudiziaria si limita a svolgere
il ruolo di garante della corretta formazione ed esecuzione
di un accordo fra il debitore e i creditori. Qualsiasi accordo
è dunque ammissibile, purché sia vantaggioso per i creditori
rispetto all'alternativa della liquidazione forzata del patrimonio.
E' così prevista la possibilità di attribuzione di azioni,
quote, obbligazioni ed altri strumenti finanziari ai creditori,
nonché la possibilità di pagamenti integrali o in percentuale,
di riorganizzazioni aziendali e dismissioni. E' prevista la
libertà nella determinazione dei tassi d'interesse sulle passività
ristrutturate (importante anche in considerazione del fatto
che la sospensione degli interessi non è automatica) e delle
scadenze di pagamento del piano. Un fondamentale ruolo a questo
riguardo saranno chiamati a svolgere i professionisti esperti
di consulenza alle imprese. Ai fini della procedura: a) i
creditori che hanno iscritto ipoteca giudiziale sui beni del
debitore nei sei mesi precedenti la domanda vengono equiparati
ai creditori chirografari: ciò da un lato perché è noto che
l'esistenza di ipoteche giudiziali ostacola, per una serie
di ragioni, i tentativi di composizione delle crisi su base
(anche) negoziale, e dall'altro lato perché in una situazione
di concorsualità l'iscrizione di un'ipoteca giudiziale, se
pure giustifica un diritto di seguito del bene nei confronti
dei successivi acquirenti, non giustifica il sacrificio degli
altri creditori nell'ottica di una soluzione che deve mirare
all'interesse collettivo; b) le cause legittime di prelazione,
anche in caso di mancata liquidazione dei beni sui quali insistono,
operano nei limiti entro i quali le pretese relative avrebbero
ricevuto collocazione preferenziale sul ricavato in caso di
vendita. L'obiettivo è di escludere la necessità di considerare
"privilegiati" crediti che si presentino tali solo sotto un
profilo nominale, senza risultare effettivamente capienti
in prospettiva liquidatoria, favorendo l'adozione di soluzioni
che, pur non contemplando la vendita dei beni, vadano a vantaggio
di tutti i creditori. La legittimazione a chiedere l'apertura
della procedura è attribuita al solo debitore interessato.
Per le imprese organizzate in forma societaria si è ritenuto
opportuno prevedere la competenza dell'organo amministrativo,
in luogo della più complessa competenza dell'organo assembleare,
ma con salvezza delle eventuali previsioni in senso contrario
dello statuto. Si è altresì ritenuto di consentire all'organo
di controllo di provocare una determinazione dell'organo amministrativo
circa l'opportunità di richiedere l'ammissione all'apertura,
nell'ottica di una valorizzazione del ruolo dell'organo di
controllo, pur nel rispetto della separazione dei ruoli. Gli
effetti della procedura si producono dal momento del deposito
della domanda relativa. Essi ricalcano gli attuali effetti
dell'apertura delle procedure concorsuali, per ciò che concerne
l'inefficacia degli atti variamente diretti ad alterare la
situazione dei creditori anteriori. In particolare sono previsti:
a) la conservazione della gestione del patrimonio, ivi incluso
l'eventuale esercizio dell'impresa, in capo al debitore, in
coerenza con i criteri di realizzazione del piano e sotto
la vigilanza del commissario giudiziale e del giudice delegato,
salva la possibilità che l'autorità giudiziaria sostituisca
anche parzialmente il debitore quando sussistano gravi motivi,
o ne limiti in modo specifico i poteri; b) il divieto di azioni
esecutive individuali sul patrimonio del debitore; c) l'inefficacia
degli atti diretti a conseguire o fare conseguire diritti
di prelazione sullo stesso patrimonio, salva espressa autorizzazione
dell'autorità giudiziaria; d) l'inefficacia delle formalità
necessarie a rendere opponibili gli atti ai terzi, salva sempre
espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria; e) la continuazione
in linea di principio dei rapporti giuridici in corso, ma
in un contesto nel quale viene affermata la facoltà degli
organi della procedura di provocarne lo scioglimento, ove
ciò si riveli conveniente per i creditori; f) l'inapplicabilità
delle disposizioni sugli effetti della riduzione del capitale
sociale. Non è prevista la sospensione automatica degli interessi,
che, in ossequio alla natura non interventista della proposta
di legge sul contenuto dell'accordo, è rimessa alla trattativa
fra debitore e creditori, rientrando a pieno titolo nel piano
di ristrutturazione delle passività. L'ammissione alla procedura
di ristrutturazione delle passività dovrà avvenire sulla base
di una valutazione che ne escluda il carattere manifestamente
inattuabile o lo scopo esclusivamente dilatorio. Ai fini di
garantire la serietà del piano e l'attendibilità dei dati
e delle valutazioni sui quali sono impostate le soluzioni
di volta in volta proposte ai creditori, si richiede che la
domanda del debitore sia accompagnata dalla relazione di un
esperto, scelto all'interno di categorie caratterizzate da
una professionalità specifica, che potrà essere chiamato a
rendere conto del suo operato, oltre che nell'ambito della
generale responsabilità professionale, in particolare nelle
ipotesi in cui si pervenga all'annullamento dell'accordo nei
casi di comportamento fraudolento del debitore. La procedura
si svolgerà sotto il controllo di un giudice delegato e di
un commissario giudiziale professionalmente qualificato, il
quale dovrà predisporre una relazione articolata in merito
alla realizzabilità del piano. Il voto dei creditori sarà
manifestato nel corso di una apposita adunanza davanti all'autorità
giudiziaria. Si è ritenuto che il commissario giudiziale debba
essere scelto fra gli iscritti agli albi professionali degli
avvocati, dei dottori commercialisti o dei ragionieri, a garanzia
della serietà e della tendenziale indipendenza nell'esecuzione
dell'incarico. Non è esclusa in linea di principio la nomina
di società professionali, a condizione che la normativa in
vigore ne consenta l'iscrizione ai relativi albi professionali.
Tenuto conto del carattere non pienamente soddisfacente dell'attuale
disciplina dell'accertamento dei crediti e delle altre pretese
dei creditori nell'ambito delle procedure concorsuali minori,
si è previsto che l'accertamento del passivo avvenga ad opera
degli organi della procedura e d'ufficio, con effetti e forme
di impugnativa analoghi a quelli previsti per la corrispondente
attività nell'ambito della procedura di insolvenza. La formazione
del consenso dei creditori è agevolata dalla loro suddivisione
in classi caratterizzate da interessi omogenei, all'interno
di ciascuna delle quali il consenso sarà perseguito attraverso
i generali princìpi di maggioranza, e per le quali potranno
essere previsti trattamenti anche diversi. Se è vero che la
necessità di raccogliere il consenso di più classi può apparentemente
rendere più difficile il raggiungimento dell'accordo, è altresì
vero che l'accordo è più agevole laddove ad ogni tipologia
di creditore venga offerto ciò che più risponde ai suoi specifici
interessi (si pensi alla differenza fra creditori commerciali
e creditori finanziari). Al fine di favorire la ordinata ed
efficiente formazione della volontà dei creditori si prevede
inoltre l'introduzione di una presunzione di assenso per chi
non esprime dissenso (oggi prevista per il voto sulla proposta
di concordato fallimentare dall'articolo 128 del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267, di seguito denominato "legge fallimentare"),
nonché una legittimazione speciale dei titolari degli uffici
finanziari e previdenziali ad esprimere il voto sul piano
di ristrutturazione, con l'eventuale conseguente effetto dilatorio
o remissorio sui debiti per tributi, contributi, sanzioni
ed interessi. Eventuali comportamenti di free-riding di una
classe di creditori, la quale si astenga dall'approvare il
piano pur non essendo pregiudicata dall'alternativa della
liquidazione forzata del patrimonio, non devono impedire una
soluzione che vada a beneficio di tutti i creditori. E' infatti
prevista la possibilità per il giudice di superare la mancata
approvazione del piano da parte di una o più classi di creditori,
allorquando la maggioranza delle classi di creditori lo abbia
approvato e la classe o le classi dissenzienti non ne ricevano
pregiudizio. L'omologazione del piano di ristrutturazione
postula esclusivamente la verifica della regolarità del procedimento
e l'accertamento del raggiungimento dell'accordo con i creditori
nei modi prefigurati dal piano. E' invece esclusa qualsiasi
valutazione di convenienza della procedura, lasciata al giudizio
delle controparti del debitore. Viene espressamente precisata
l'esecutorietà della sentenza di omologa, al fine di circoscrivere
al solo risarcimento del danno gli effetti della eventuale
riforma della sentenza. Per prevenire l'utilizzo strumentale
e dilatorio della procedura, si è previsto che per l'approvazione
del piano di ristrutturazione e per l'adempimento degli impegni
da parte del debitore siano previsti dei termini massimi fissati
a priori, la cui scadenza comporta l'apertura della procedura
di insolvenza. Si noti che l'esecuzione degli impegni assunti
con il piano non coincide necessariamente con l'adempimento
delle obbligazioni ristrutturate: mentre per i primi infatti
è necessaria una rigidità a garanzia dei creditori (si pensi
alla prestazione di garanzie reali o personali, alla costituzione
di depositi vincolati, all'emissione di azioni o di obbligazioni
a favore di particolari categorie di creditori), per l'adempimento
delle obbligazioni non è opportuno prevedere termini massimi,
che i creditori devono essere liberi di negoziare con il debitore.
Ad esempio, per i creditori finanziari, a differenza dei creditori
commerciali, possono essere del tutto accettabili tempi lunghi
di pagamento delle obbligazioni ristrutturate (anche di alcuni
anni), nella misura in cui vi siano sufficienti garanzie dell'adempimento.
In ossequio al rispetto dell'autonomia privata nella soluzione
delle crisi, si è dunque ritenuto di rimettere anche questo
aspetto all'accordo fra debitore e creditori. L'esecuzione
del piano è affidata, in linea di principio, allo stesso debitore.
Ciò non esclude che il debitore conferisca incarichi specifici
a terzi, anche come ulteriore forma di tutela dei creditori;
mentre all'autorità giudiziaria rimane comunque sempre riservata
la possibilità di designare un sostituto degli organi amministrativi.
Le modalità di esecuzione sono vincolanti per tutti i creditori
anteriori all'apertura della procedura, mentre le obbligazioni
originarie non vincolano più il debitore. Rimangono invece
vincolati i coobbligati ed i fideiussori, salva la possibilità
che il piano di ristrutturazione preveda la liberazione anche
di costoro, nel qual caso di ciò dovrà essere tenuto conto
nella fase di suddivisione dei creditori in classi omogenee.
Oltre che per l'effetto, fisiologico, dell'esecuzione del
piano, la procedura può cessare per una serie di cause, quali
la mancata ammissione da parte dell'autorità giudiziaria,
la scadenza del termine per l'approvazione del piano o la
sua mancata approvazione, la mancata omologazione dell'accordo
tra debitore e creditori, la mancata esecuzione degli impegni
assunti dal debitore. In tutte queste ipotesi gli effetti
o non si producono o vengono meno, con salvezza comunque degli
atti posti in essere coerentemente con la disciplina della
procedura, in relazione alla fase nella quale è intervenuta
la cessazione; ciò in quanto l'avvio e la trattativa relativa
al programma di ristrutturazione devono essere seri, ed è
dunque conseguente che l'eventuale insuccesso del tentativo
non possa rimettere in discussione gli effetti che medio tempore
si sono prodotti. La cessazione anticipata della procedura,
dimostrando da un lato l'incapacità di adempiere del debitore
e dall'altro lato la sua incapacità di trovare un accordo
con i propri creditori, dovrà comportare di regola la dichiarazione
di insolvenza e l'apertura del relativo procedimento disciplinato
dal successivo articolo 4, salvo il caso in cui la procedura
sia stata iniziata da un privato non imprenditore, il quale
può essere assoggettato ad insolvenza solo su sua domanda.
E' invece escluso un nuovo accertamento della sussistenza
del presupposto oggettivo, ritenuto superfluo per il fatto
stesso che il debitore non è riuscito a portare a buon fine
la ristrutturazione delle passività. E' vero che questo automatismo
fra cessazione della procedura di ristrutturazione ed apertura
della procedura di insolvenza potrebbe costituire un disincentivo
per il debitore ad adire l'autorità giudiziaria, ma si è d'altra
parte ritenuto che esso costituisca anche una irrinunciabile
garanzia della serietà del tentativo e del massimo impegno
a negoziare correttamente con i creditori l'accordo di ristrutturazione.
La risoluzione dell'accordo è prevista per la sola ipotesi
di inadempimento da parte del debitore agli obblighi assunti
con lo stesso (ad esempio, mancata prestazione di garanzie
o costituzione di depositi), e l'annullamento è condizionato
alla scoperta di comportamenti fraudolenti del debitore, per
la migliore valutazione dei quali è richiesta la predisposizione
di una specifica relazione da parte dell'esperto che ha provvisto
a certificare i dati e le informazioni posti alla base del
piano. Viene previsto che i relativi procedimenti debbano
essere avviati entro termini brevi di decadenza rispetto alla
verificazione od alla scoperta della causa di risoluzione
o di annullamento, e che dell'apertura della relativa istruttoria
debba essere disposta adeguata pubblicità. Ciò al fine di
consentire ai terzi interessati di valutare opportunamente
se continuare ad intrattenere relazioni con il debitore, essendosi
ritenuto necessario limitare la salvezza degli atti legittimamente
compiuti nel corso della procedura al momento in cui sia resa
nota l'assunzione di iniziative tese a provocarne la risoluzione
o l'annullamento. Per le ipotesi di apertura della procedura
di insolvenza in conseguenza della cessazione della procedura
di ristrutturazione, il periodo rilevante al fine di assoggettare
ad azione revocatoria fallimentare gli atti di disposizione
del debitore o posti in essere nei confronti dei suoi beni
deve essere individuato con riguardo all'apertura della prima
procedura, con esclusione del caso di cessazione della stessa
per risoluzione. In tale modo si è preso atto dell'attuale
orientamento giurisprudenziale in materia di proponibilità
dell'azione revocatoria nelle ipotesi di "consecuzione" di
procedure concorsuali, che priva di effetti, ai fini del "consolidamento"
degli atti potenzialmente revocabili, il periodo di durata
dei tentativi di superamento o di sistemazione della crisi
affidati alle procedure concorsuali minori, con l'eccezione
peraltro delle situazioni nelle quali la cessazione della
procedura di ristrutturazione non sia dipesa dalla inadeguatezza
originale del piano o dalla mancata approvazione da parte
dei creditori o dall'accertamento della mancanza di requisiti
necessari per la sua omologabilità, bensì dalla sopravvenienza
di cause imprevedibili che hanno impedito di portare ad esecuzione
la ristrutturazione prospettata ed originariamente approvata.
Tale soluzione pare opportuna al fine di conferire certezza
giuridica agli effetti dei rapporti giuridici posti in essere
dal debitore nel periodo anteriore all'apertura della procedura
di ristrutturazione e già suscettibili di essere considerati
dai terzi come temporalmente estranei all'ambito di applicazione
di eventuali azioni revocatorie fallimentari. Sempre per le
ipotesi di apertura della procedura di insolvenza in conseguenza
della cessazione della procedura di ristrutturazione, si disciplinano
taluni degli altri effetti che la giurisprudenza riconnette
al fenomeno cosiddetto della "consecuzione" di procedure concorsuali,
disponendo che le obbligazioni sorte per atti legittimamente
posti in essere durante la prima procedura ricevano, nell'ambito
della seconda, una collocazione analoga a quella attribuita
alle obbligazioni assunte per l'amministrazione della procedura
di insolvenza, e che i crediti fruttiferi producano interessi
sino alla data di apertura di quest'ultima. Allorquando il
debitore non abbia ritenuto di ricorrere alla procedura di
ristrutturazione delle passività o quando il tentativo di
ristrutturare le passività non abbia avuto buon esito, si
apre la procedura di insolvenza. La procedura di insolvenza
di cui all'articolo 4 si caratterizza per una finalità essenzialmente
liquidativa, nel senso che - salvo eccezioni e salva la possibilità
di un concordato - il patrimonio dell'insolvente viene riallocato
sul mercato, destinando il ricavato alla soddisfazione dei
creditori. Ciò non implica la necessaria distruzione dei valori
dell'impresa, che invece deve essere recuperata quando ciò
risponda all'interesse dei creditori: implica soltanto la
tendenziale separazione delle sorti del debitore da quelle
del suo patrimonio, che è pienamente giustificata dall'ampiezza
degli strumenti a disposizione del debitore per trovare preventivamente
un accordo mediante la procedura di ristrutturazione delle
passività. Dato che, con tale procedura "amica", il debitore
è ammesso a proporre un accordo avente qualsiasi contenuto,
se non gli è riuscito di trovare un accordo o non ha voluto
esperire questo tentativo quando aveva la titolarità dell'iniziativa,
è chiaro che la parola deve passare ai creditori, i quali
hanno diritto ad essere soddisfatti sul ricavato dalla vendita
del patrimonio. Si è così ritenuto, pur evitando qualunque
carattere sanzionatorio della procedura di insolvenza, di
conseguire un giusto equilibrio fra incentivi al debitore
e rigore nella tutela dei creditori. Le differenze fra la
proposta procedura di insolvenza e quella attuale di fallimento,
pur aprendosi entrambe in mancanza di diverse iniziative del
debitore, sono invero notevoli. La nuova procedura mira infatti
a salvaguardare i valori del patrimonio, e in primo luogo
- quando ciò sia possibile e vantaggioso per i creditori -
il valore d'avviamento. E' infatti vista come automatica,
salva diversa determinazione del tribunale, la continuazione
dell'attività d'impresa per un breve periodo d'osservazione,
a meno che tale attività fosse già cessata alla data dell'apertura,
nel quale caso non può essere chiesto ai creditori di pagare
il costo della ripresa. Decorso tale periodo, durante il quale
verranno acquisite le necessarie informazioni, l'impresa continua
se ciò sia funzionale al migliore realizzo dell'attivo, in
vista della cessione del complesso aziendale. Importante novità
è che il curatore, che raramente è provvisto della necessaria
competenza tecnica, può avvalersi di ausiliari con capacità
manageriali. Altre significative innovazioni sono le seguenti:
a) la liquidazione viene notevolmente potenziata sia nei tempi,
dato che si ammettono vendite o comunque dismissioni anche
immediatamente dopo l'apertura della procedura, sia negli
strumenti, dato che si consentono operazioni di finanza straordinaria
quali conferimenti in società di nuova costituzione (previa
valutazione che ciò sia conveniente per i creditori), fusioni,
scissioni, eccetera; sono ammissibili anche offerte di acquisto
dell'attivo e del passivo in blocco; b) la riduzione delle
revocatorie ai soli atti anormali, con periodo sospetto ridotto;
il potenziamento delle revocatorie per atti "preferenziali"
e per atti che si configurino in generale come appropriazione
dei valori dell'azienda; c) la possibilità di chiusura con
un concordato fallimentare potenziato, che può essere proposto,
oltre che dal debitore, anche dal curatore e da singoli creditori
o terzi; d) la liberazione dai debiti non soddisfatti concessa
al debitore-persona fisica che onestamente coopera al migliore
soddisfacimento dei creditori. Il presupposto oggettivo è
costituito dallo stato di insolvenza, così come attualmente
individuato dall'articolo 5 della legge fallimentare. Allorché
l'apertura della procedura sia, come auspicabile, richiesta
dal debitore, è ammessa anche una valutazione prospettica
di "insolvenza imminente" che solo questi può avere, non essendo
ammissibile che terzi presentino istanze, di per sé pericolose
per l'imprenditore, basate su mere congetture. Poiché una
disciplina organica e conforme ai princìpi costituzionali
è già contenuta nel decreto legislativo n. 270 del 1999 sull'amministrazione
straordinaria, si è ritenuto di indicarla al legislatore delegato
come modello da seguire, sia pure con opportuni adattamenti.
Il giudizio d'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento
si svolge attualmente nelle forme del giudizio ordinario.
Questo, se dà in astratto maggiori garanzie, fa sì che l'eventuale
revoca giunga a molti anni di distanza dalla sentenza dichiarativa
di fallimento, che tuttavia necessariamente deve essere provvisoriamente
esecutiva Si è dunque reputato opportuno che il legislatore
delegato preveda per il giudizio d'opposizione alla sentenza
che dichiara lo stato di insolvenza un rito per quanto possibile
celere, nel rispetto delle garanzie costituzionali. Inoltre
è previsto che il legislatore delegato affronti e risolva
il delicato problema delle spese della procedura in caso di
accoglimento dell'opposizione, la cui disciplina è oggi affidata
ad una norma già in origine carente, e successivamente amputata
da una sentenza della Corte costituzionale, con l'effetto
di dare luogo a prassi di dubbia correttezza ed a gravi problemi
per il debitore che risulti essere stato ingiustamente assoggettato
a procedura concorsuale. Rispetto all'attuale impostazione
della legge fallimentare, la disciplina degli organi della
procedura diviene più funzionale ad esigenze di celerità.
Le novità sono costituite dalla costante attenzione alle effettive
possibilità di realizzo derivanti dalle azioni giudiziarie
da intraprendere, così che la procedura concorsuale cessi
di essere, come talvolta oggi, il luogo del trionfo del diritto
astratto, per divenire una tecnica di massima soddisfazione
dei creditori. E' così previsto che il giudice delegato, nell'autorizzare
le azioni relative al recupero dei crediti e le azioni revocatorie,
valuti espressamente la convenienza per la procedura anche
in relazione alle possibilità di soddisfacimento sul patrimonio
del presunto debitore ed al ritardo che la pendenza del giudizio
comporta per la chiusura della procedura di insolvenza, avuto
riguardo all'interesse dei creditori e del debitore. Viene
inoltre accentuata l'autonomia del curatore, il quale ha la
capacità di compiere autonomamente, senza previa autorizzazione
del giudice delegato o del tribunale, le operazioni di prelievo
e le alienazioni di valore non superiore a 10.000 euro, fatta
salva la possibilità per il tribunale, con la sentenza che
apre la procedura ovvero con successivo provvedimento, di
stabilire un diverso valore. Importante è anche l'attribuzione
al curatore del potere di compiere operazioni societarie di
carattere straordinario, con l'autorizzazione degli organi
della procedura in luogo di quella dei soci. L'obiettivo è
quello di consentire al curatore di essere il motore, non
di avventurosi salvataggi, ma di efficaci soluzioni della
crisi nell'interesse dei creditori. Gli effetti per le parti
si caratterizzano per un'eliminazione degli ormai antiquati
residui afflittivi a carico del debitore e per una generalizzazione
del divieto di azioni esecutive individuali anche speciali,
giustificata dalla rinnovata impostazione mirante ad una soddisfazione
rapida e per quanto possibile generale dei creditori. Completano
il disegno una disciplina organica della sospensione e della
limitazione degli interessi e dell'estensione della prelazione
agli interessi, oggi risultante da un coacervo di non sempre
coerenti sentenze della Cassazione e di pronunzie della Corte
costituzionale, e una disciplina della compensazione, che
si intende estendere secondo i recenti indirizzi giurisprudenziali
(con l'aggiunta della compensabilità del credito di rivalsa
del fideiussore e di quello eventuale del coobbligato in solido,
che divengono compensabili anche se l'escussione avviene dopo
l'apertura della procedura), pur con la previsione di limiti
contro i frequentissimi abusi a danno dei creditori oggi non
impediti dall'articolo 56, secondo comma, della legge fallimentare.
E' noto che l'azione revocatoria, come attualmente concepita
dalla legge fallimentare e come applicata dalla costante giurisprudenza,
si caratterizza per la notevole lunghezza del periodo in cui
atti del tutto normali come il pagamento di debiti scaduti
possono essere revocati in caso di successivo fallimento e
per la scarsa chiarezza circa i presupposti di conoscenza
dello stato di insolvenza da parte del terzo. Ciò produce
gravi incertezze. Obiettivo della riforma è quello di ridurre
tali margini di incertezza, chiarendo inoltre i presupposti
oggettivi e soggettivi per la revoca. L'opzione prescelta
è quella di una riconduzione della revocatoria, anche quando
sia svolta all'interno di procedure concorsuali, alla sua
originaria funzione di mezzo di eliminazione di un danno subìto
dai creditori. Ciò avviene in consapevole difformità rispetto
a diverse e pur affascinanti tesi, che hanno esercitato grande
influenza sulla prassi applicativa. Se infatti è innegabile
che una vasta applicazione dello strumento revocatorio anche
a prescindere dall'estremo del pregiudizio arrecato ai creditori
può spingere il debitore, incapace di reperire controparti
con le quali continuare ad operare, verso le procedure concorsuali,
è altresì vero che ciò avviene a prezzo di gravi incertezze
e di costi derivanti da azioni con le quali si mira a rimettere
in discussione atti del tutto normali, sul solo evanescente
presupposto, quasi sempre meramente indiziario e ricostruito
ex post, che la controparte conosceva lo stato di insolvenza
del debitore. E' così che, negli anni più recenti, l'istituto
della revocatoria degli atti normali ha vissuto un fenomeno
di ipertrofia, senza - occorre dirlo - reali benefìci in termini
di risultati per i creditori, come testimoniato dalle statistiche
giudiziarie. Ciò vale anche per la revoca delle garanzie per
debiti contestualmente creati (che costituiscono il "corrispettivo"
del finanziamento concesso) e dei pagamenti liquidi ed esigibili
eseguiti dal debitore insolvente, oggi revocabili ai sensi
dell'articolo 67, secondo comma, della legge fallimentare.
Se infatti lo scopo dell'istituto è quello nobile del ripristino
della par condicio creditorum, l'effetto concreto è stato
quello di creare una vischiosità attorno al debitore, i cui
creditori - soprattutto bancari - si astengono dall'esigere
i crediti per timore della revocatoria dei pagamenti ricevuti
e ancora da ricevere. E' così che a vantaggio del debitore
insolvente, con effetto diametralmente opposto allo scopo
che si intendeva perseguire, si crea un "credito artificiale"
che gli consente di sopravvivere, aggravando il dissesto.
Appare invece corretto, proprio nell'ottica dell'indurre un'anticipata
e tempestiva apertura delle procedure concorsuali, consentire
ai creditori di esigere e trattenere il pagamento, ed obbligare
il debitore a chiedere la protezione della procedura concorsuale
contro i creditori più aggressivi. Né può dirsi che così facendo
si favoriscono i creditori finanziari, ed in particolare le
banche, e si preclude il loro coinvolgimento nella soluzione
della crisi: tale coinvolgimento deve avvenire nella sede
opportuna di un'azione coordinata, e non agitando la minaccia
di revocatorie strumentali. L'esenzione da revocatoria cessa
allorché il creditore ed il debitore si accordino per violare
la par condicio, in quanto è sottinteso che in tale caso entrambi
hanno informazioni sufficienti per comprendere la necessità
di attivare una procedura concorsuale, ma si astengono dal
farlo per trarre un beneficio personale e sottrarsi alla legge
del concorso. Completano il disegno un chiarimento dell'ambito
della revocatoria contro atti "anormali", l'inefficacia ex
lege delle ipoteche giudiziali iscritte nei sei mesi anteriori
all'apertura della procedura (in coerenza con la scelta effettuata
per la procedura di ristrutturazione delle passività) ed un
aggravamento della revocatoria nei confronti di atti che si
configurino come appropriazione dei valori dell'azienda, quali
l'affitto dell'azienda stessa o di un ramo di essa, la licenza
di brevetto o di altri beni immateriali, la cessione di beni
aziendali dissimulata al fine di eludere l'applicabilità del
secondo comma dell'articolo 2560 del codice civile. Si tratta
di immeritevoli quanto purtroppo frequenti manovre in danno
dei creditori, contro le quali il curatore ha spesso le armi
spuntate. La riforma mira ad introdurre una facoltà generale
degli organi della procedura di sciogliersi dai contratti
in corso di esecuzione, nonché discipline più organiche, oggi
desumibili solo da "frammenti" della legge fallimentare, dello
scioglimento dei contratti in corso d'esecuzione, della sospensione
e della prosecuzione della loro esecuzione, con possibilità
di interventi differenziati per l'ipotesi in cui sia disposta
la continuazione dell'attività d'impresa. E' infine possibile
una generalizzazione del privilegio di cui all'articolo 72,
quinto comma, della legge fallimentare, in materia di contratto
preliminare di compravendita, a tutte le ipotesi di scioglimento
di contratti preliminari che presentino identità di ragioni;
ciò per evitare disparità di trattamento che, ancorché consentite
dalla disciplina vigente (quale lo scioglimento del contratto
motivato unicamente dalla considerazione che il contraente
in bonis ha interamente eseguito la prestazione), creano allarme
sociale e inducono talvolta soluzioni di dubbia legittimità.
La disciplina dell'accertamento del passivo gravante su un
debitore assoggettato a procedura concorsuale riveste un rilevante
interesse sistematico, giacché, pur essendo oggi dettata nell'ambito
del procedimento di fallimento, viene poi resa applicabile,
attraverso sistematici rinvii, in misura maggiore o minore,
anche alle corrispondenti fasi delle procedure concorsuali
liquidative diverse. Trattasi di una disciplina molto articolata
e tendenzialmente conchiusa in sé. La presente proposta di
legge implica il mantenimento della sua struttura, con l'introduzione
di una serie di integrazioni e correttivi rivolti per lo più
a recepire gli effetti dei numerosi interventi succedutisi
negli anni ad opera della Corte costituzionale o a superare
i più gravi contrasti dottrinali e giurisprudenziali radicatisi
sulla soluzione di singoli problemi interpretativi, adottando
le soluzioni che sono sembrate di volta in volta più coerenti
con gli obiettivi di economicità e di semplificazione. In
questa prospettiva: a) si precisa che l'accertamento del passivo
fallimentare ha per oggetto anche i diritti gravanti comunque
su beni del fallito, quantunque non connessi a crediti vantati
direttamente nei suoi confronti (come accade nella fattispecie,
oggi controversa, di costituzione da parte del fallito di
pegni o di ipoteche a garanzia di debiti altrui); si riafferma
inoltre il principio, già espresso dall'articolo 103 della
legge fallimentare, che l'accertamento dei diritti reali mobiliari
dei terzi su beni in possesso (non del fallito, ma) del curatore
si esegue secondo le stesse forme; b) si precisa che il procedimento
di accertamento del passivo ha altresì per oggetto i crediti
aspiranti ad una collocazione "in prededuzione", sia quando
essi siano per qualsiasi ragione contestati, sia quando abbiano
origine in una procedura concorsuale diversa da quella nella
quale interviene l'accertamento del passivo (con particolare
riguardo ai crediti prededucibili sorti in procedure precedenti),
per la conseguente necessità di un esame approfondito della
ricorrenza delle condizioni della collocazione. Per i crediti
della specie sorti invece in conseguenza di atti posti in
essere dagli organi della procedura pendente, potrà disporre
direttamente il giudice delegato con disposizione di prelievo
dall'attivo disponibile; c) si circoscrive e si razionalizza
la disciplina dell'istituto della "ammissione con riserva",
precisandone l'applicabilità anche alle domande tardive, ed
escludendone la fattispecie della mancata produzione dei "documenti
giustificativi", per la quale sembra più appropriato un provvedimento
di esclusione dal passivo. Si indica poi il procedimento concernente
le osservazioni e le impugnazioni dei piani di ripartizione
dell'attivo come quello più idoneo all'accertamento della
verificazione o della impossibilità di verificazione della
condizione posta alla base della "riserva"; ciò in funzione
della liberazione delle quote accantonate in favore del creditore
interessato o dei restanti creditori; d) si precisa che l'accoglimento
delle domande di insinuazione al passivo rientra sempre nei
poteri del giudice, indipendentemente dal parere favorevole
del curatore fallimentare (o dell'organo corrispondente),
e ciò anche per le domande proposte in via tardiva; e) si
circoscrive l'efficacia dei provvedimenti resi in materia
di accertamento del passivo alla procedura nell'ambito della
quale essi sono stati adottati (oltre alle eventuali procedure
consecutive o riaperte), precisando peraltro che le somme
percepite dai creditori in esecuzione delle ripartizioni dell'attivo
effettuate dagli organi della procedura sono comunque irripetibili;
f) si prevede l'obbligo di comunicazione, anche con i mezzi
informatici di cui all'articolo 2, comma 3, lettera c), e
con comunicazioni cumulative ai creditori che abbiano presentato
domanda di insinuazione, dell'intervenuto deposito dello stato
passivo e di ogni sua successiva variazione, al fine di rendere
effettivo il diritto di impugnazione; g) si prevede la omogeneizzazione
dei giudizi di impugnazione delle sentenze rese sulle domande
di ammissione al passivo, sia in via tempestiva sia in via
tardiva; h) si consente l'ammissione del credito insinuato
in via tardiva anche a seguito di riduzioni o di rinunzie
parziali da parte del creditore. Allo scopo di alleggerire
e semplificare per quanto possibile i relativi giudizi, si
prevede altresì che il giudice procedente possa disporre con
decreto l'ammissione al passivo del credito insinuato in via
tardiva senza necessità di acquisire il parere favorevole
delle altre parti, salva ovviamente la legittimazione degli
altri creditori a proporre l'impugnazione dello stato passivo;
i) si prevede la partecipazione alle ripartizioni dell'attivo
dei crediti insinuati in via tardiva a decorrere dalla data
della relativa domanda, al fine di evitare che il creditore
tardivo vittorioso sia pregiudicato dalle eventuali ripartizioni
effettuate durante il tempo, a lui non imputabile, necessario
per ottenere il riconoscimento del proprio diritto; l) si
prevede che i giudizi di accertamento del passivo siano definiti
con sentenza del tribunale in forma monocratica, non sussistendo
speciali esigenze per giustificare la scelta della composizione
collegiale e rappresentando garanzia sufficiente la previsione
che il giudice monocratico che istruisce e definisce il giudizio
sia un magistrato diverso dal giudice delegato. Elementi che
informano la nuova disciplina della gestione del patrimonio
e della liquidazione sono la snellezza operativa e la riduzione
dei costi. In questo senso si segnalano: a) la previsione
che la liquidazione possa iniziare immediatamente dopo l'apertura
della procedura di insolvenza. La portata innovativa di questa
singola disposizione è notevole, in quanto consente di alienare
immediatamente l'azienda a chi intenda perseguirne il risanamento,
così come è oggi possibile nella liquidazione coatta delle
imprese bancarie. Il vero risanamento è infatti quello operato
dal mercato, da imprenditori mossi da legittime aspettative
di profitto, e non quello tentato, spesso a spese dei creditori,
in pendenza della procedura concorsuale; b) la previsione
della possibilità, anche immediatamente dopo l'apertura della
procedura di insolvenza, di conferire in una o più società
di nuova costituzione beni, crediti o complessi aziendali
insieme a rapporti contrattuali in corso singolarmente individuati.
Questa previsione mira a consentire al curatore, soprattutto
quando sia evidente la natura finanziaria o comunque circoscrivibile
delle cause della crisi, di "isolare" il complesso aziendale
sano e permetterne la prosecuzione dell'attività, al fine
della vendita (non di beni o complessi aziendali, ma) di una
partecipazione sociale, più appetibile sul mercato; c) la
previsione della possibilità di non far luogo a liquidazione
ove l'attivo ragionevolmente realizzabile non consenta di
coprire le spese della procedura; ciò al fine di evitare la
distruzione di ulteriore ricchezza, salvi gli effetti della
pronunzia di insolvenza a tutti gli effetti di legge; d) il
rafforzamento della concorrenza nella valorizzazione del patrimonio
del debitore, mediante la previsione della possibilità per
i creditori e per qualunque interessato di presentare proposte
di assunzione di tutto o parte del passivo, anche in percentuale,
contro rilievo dell'intero patrimonio o di parte di esso;
ciò al fine di consentire la creazione di "pacchetti" di beni
e di rapporti giuridici attivi e passivi appetibili sul mercato
a particolari categorie di acquirenti, con beneficio per tutti
i creditori. Il problema è quello della salvaguardia della
par condicio fra i creditori "ceduti" e quelli residui, che
deve essere risolto nel senso della necessaria rispondenza
della cessione in blocco all'interesse della generalità dei
creditori, considerando che, anche se taluni creditori possono
avere benefìci maggiori (si pensi ai fornitori del ramo d'azienda
ceduto), tutti i creditori devono comunque ricevere un vantaggio
(anche mediante una riduzione del numero dei creditori residui)
rispetto all'alternativa della vendita. Riguardo alla disciplina
della ripartizione dell'attivo e della chiusura della procedura
si segnalano soprattutto due novità. Innanzitutto, viene inserito
il principio secondo cui le cause legittime di prelazione
giovano al creditore solo nei limiti del valore effettivo
del bene. Questa previsione, dettata anche per la procedura
di ristrutturazione delle passività, mira ad evitare che il
fatto contingente della mancata alienazione del cespite oggetto
della prelazione (ad esempio perché la procedura si chiude
con un concordato o perché il bene è conferito in società)
dia al creditore più di quanto egli otterrebbe in caso di
vendita. Il diverso orientamento, attualmente accolto dalla
giurisprudenza prevalente, introduce una distorsione nella
scelta della soluzione della crisi, che, anziché divenire
quella più efficiente per tutti i creditori, è quella concretamente
possibile stante le limitazioni imposte dall'esistenza di
(pur incapienti) garanzie. In secondo luogo, viene prevista
la liberazione del debitore dai debiti non soddisfatti nel
corso della procedura, se si tratta di una persona fisica
e non sussistono cause di impedimento indicate dalla legge
in relazione alla condotta tenuta prima dell'apertura della
procedura o durante il suo svolgimento. Si tratta di una scelta
innovativa, che anche ordinamenti tradizionalmente vicini
al nostro ed orientati alla tutela dei creditori, come quello
tedesco, hanno recentemente effettuato. La ispira la considerazione,
coerente con la filosofia che anima l'intera riforma, che
le procedure sono innanzitutto tecniche, quanto più possibili
amichevoli, di sistemazione dell'insolvenza, che non hanno
ragione di lasciare strascichi dopo che il debitore abbia
cooperato, nei limiti delle sue effettive possibilità, alla
migliore soddisfazione dei creditori. Nella scelta fra una
ripresa - per lo più del tutto teorica - delle azioni dei
creditori per la parte dei crediti non soddisfatta, e un recupero
del debitore alla produttività, si è dunque scelto di privilegiare
quest'ultimo interesse, concreto ed importante al fine di
eliminare una volta per tutte lo stigma delle procedure concorsuali
e di incentivare il debitore a ricorrere tempestivamente alle
procedure concorsuali. La possibilità della esdebitazione
è ovviamente concessa solo alle persone fisiche, in quanto
le società, essendo veicoli per l'esercizio di un'attività
economica, non hanno una "vita" ulteriore che meriti di essere
tutelata se i creditori non siano stati soddisfatti. Ne possono
quindi beneficiare gli imprenditori individuali, i soci illimitatamente
responsabili (a condizione che siano persone fisiche, come
oggi la giurisprudenza richiede), e persino le persone fisiche
che non esercitino un'attività d'impresa, motivo per il quale
si è ritenuto di consentire anche a queste ultime, sia pure
solo su loro domanda, l'accesso alla procedura di insolvenza.
Anche la parte della proposta di legge relativa alla chiusura
della procedura di insolvenza con metodi alternativi alla
liquidazione si segnala per il carattere innovativo rispetto
alla situazione attuale. In primo luogo si è ritenuto di estendere
la legittimazione a proporre un concordato anche a soggetti
diversi dal debitore; ciò perché il monopolio di quest'ultimo
nella proposta di concordato, attualmente legittimato dall'articolo
124 della legge fallimentare, limita soluzioni che sarebbero
convenienti per i creditori e favorisce la violazione delle
regole sulla priorità dei rimborsi fra creditori e fornitori
di capitale di rischio. In secondo luogo si è ritenuto di
proporre la possibilità di una ricapitalizzazione della società
ad opera del curatore, che costituisce una variante del sistema
delle "opzioni nell'insolvenza", noto alla dottrina giuridica
ed economica internazionale. Quest'ultimo costituisce una
difficile ma non impossibile tecnica di eliminazione a basso
costo dell'insolvenza, o comunque di riduzione del passivo,
che rispetta l'ordine di priorità di rimborso. Tale innovativa
tecnica di chiusura della procedura è ammessa solo per la
società a responsabilità limitata (ed eventualmente alla società
per azioni semplificata, prevista dalla proposta di legge
atto Camera n. 969 in materia societaria), a causa di un discutibile
vincolo imposto dalla seconda direttiva comunitaria in materia
di società per azioni (direttiva 77/91/CEE del Consiglio,
del 13 dicembre 1977). Vi sono infatti situazioni in cui il
valore delle attività della società, anche con l'impresa in
attività, è inferiore a quello dei suoi debiti, e dunque i
soci non sono incentivati a deliberare un aumento di capitale,
pur se ciò ripristinerebbe condizioni di equilibrio, poiché
i vantaggi dell'operazione andrebbero non a loro ma ai creditori.
Si producono così condizioni di sotto-investimento, che distruggono
una ricchezza che ormai è di competenza dei creditori. D'altro
lato i creditori, che sono a questo punto i veri fornitori
di capitale di rischio, non hanno la possibilità di intervenire
sulla struttura finanziaria dell'impresa, poiché l'aumento
di capitale richiede il consenso dei soci, che questi ultimi,
per le ragioni sopraesposte, non sono incentivati a dare.
Di qui l'attribuzione al curatore della competenza, normalmente
assembleare, di lanciare un aumento di capitale che può consentire
ai creditori, mediante la compensazione dei loro crediti,
di far tornare la società in bonis. D'altro lato, anche in
questo contesto ai soci spetta il diritto d'opzione: essi
hanno infatti la precedenza rispetto a terzi nelle decisioni
di reinvestimento nell'impresa (anche se hanno deciso di non
avvalersene prima dell'apertura della procedura, proprio perché
a differenza dei creditori essi devono liberare l'aumento
di capitale con "denaro fresco"). La previsione esplicita
della compensabilità del debito di sottoscrizione con il credito
verso la società è necessaria, perché il debito sorge dopo
l'apertura della procedura e dunque non sarebbe compensabile
ai sensi dei princìpi generali. Il sovrapprezzo, infine, può
essere necessario perché anche (ma non solo) a seguito delle
necessarie svalutazioni e appostazioni può esservi un patrimonio
netto negativo, che non può essere coperto mediante il solo
aumento di capitale. In relazione all'articolo 5, si premette
che la sola revisione della disciplina delle procedure concorsuali
non è sembrata un intervento sufficiente a soddisfare tutte
le esigenze che l'esperienza in materia di superamento o sistemazione
delle situazioni di crisi ha fatto emergere. La soluzione
del ricorso a procedimenti giudiziari strutturati presenta
di per sé alcuni inconvenienti difficilmente eliminabili,
quali: l'effetto negativo in termini di immagine, inevitabile
qualunque sia il grado di efficienza delle procedure concorsuali;
la tendenziale inattitudine ad affrontare situazioni di crisi
circoscritte, cioè di carattere parziale, o con riguardo all'entità
del dissesto o con riguardo alle categorie dei soggetti coinvolti;
la rigidità connessa alla necessaria previsione di presupposti
di ammissibilità necessariamente piuttosto precisi - in relazione
agli effetti poi connessi all'apertura della procedura -,
ai quali possono non attagliarsi tutti i casi concreti di
situazioni di crisi; l'impossibilità di tenere conto di tutte
le specificità delle situazioni di crisi, che possono richiedere
l'ideazione e l'attuazione di soluzioni ciascuna diversa dall'altra,
all'insegna di una flessibilità ottenibile solamente con una
forte deregolamentazione. Gli orientamenti giurisprudenziali
che si sono venuti formando sulle conseguenze dell'eventuale
insuccesso dei tentativi di carattere stragiudiziale di superamento
delle situazioni di crisi esprimono peraltro una grande severità,
sia sotto il profilo della valutazione della possibile rilevanza
penale dei comportamenti posti in essere, sia sotto il profilo
della precarietà degli effetti giuridici connessi agli atti
compiuti dal debitore e dai creditori, sempre soggetti alla
"spada di Damocle" della revocatoria, sostanzialmente certa
in caso di insuccesso anche quando il tentativo sia stato
effettuato in buona fede. Il ricorso alle soluzioni alternative
di carattere extragiudiziario è dunque, nel panorama attuale,
fortemente scoraggiato. Si è dunque prevista l'introduzione
di alcune disposizioni che consentano la sottoposizione al
controllo dell'autorità giudiziaria di accordi di carattere
negoziale tra debitore e creditori, che si propongano di superare
o prevenire una situazione di crisi nel rispetto della legge
e dei diritti di tutte le parti interessate. L'accertamento
da parte dell'autorità giudiziaria della serietà dell'accordo
e della conformità delle misure che si intendono adottare
a canoni di correttezza e di buona fede, consente di prevedere
la stabilità degli effetti dei comportamenti e degli atti
posti in essere in esecuzione del progetto di composizione
negoziale. La necessità di una situazione patrimoniale di
riferimento, posta alla base dell'accordo stragiudiziale,
e la possibilità che l'autorità giudiziaria disponga una consulenza
tecnica d'ufficio a spese del debitore, rappresentano una
garanzia adeguata nei confronti di comportamenti esclusivamente
dilatori. Ciò tanto più per la circostanza che, con l'avvio
della procedura, la situazione di crisi è resa palese, con
la conseguenza che l'eventuale accertamento dell'inadeguatezza
dell'accordo a raggiungere gli obiettivi perseguiti potrebbe
costituire l'occasione per l'assunzione, da parte dei creditori
o della stessa autorità giudiziaria, delle iniziative che
l'ordinamento di volta in volta prevede e consente - secondo
la qualità soggettiva del debitore e le caratteristiche concrete
della sua situazione economico-finanziaria-patrimoniale -
allorché il dissesto sia divenuto pubblico. La pendenza del
giudizio di omologazione dell'accordo di composizione negoziale
della crisi non ostacola, né potrebbe farlo trattandosi di
una procedura che non prevede la consultazione di tutti i
creditori, l'avvio di procedure esecutive, anche di carattere
concorsuale, nei confronti del debitore. Qualora quest'ultimo,
essendo già in possesso del consenso di una parte del ceto
creditorio interessato, intenda beneficiare dell'arresto delle
azioni esecutive individuali o precludere la dichiarazione
di insolvenza, potrà ricorrere allo strumento della procedura
di ristrutturazione delle passività, nella variante dell'"accordo
preconfezionato" di cui all'articolo 3, comma 1, lettera l).
Le disposizioni sulla omologazione giudiziale degli accordi
di composizione dovrebbero applicarsi a qualunque soggetto,
in relazione a qualsiasi accordo posto in essere con uno o
più creditori, allo scopo di superare o anche di prevenire
ogni tipo di difficoltà economica, patrimoniale o finanziaria.
Si è voluta consentire la stipulazione di un accordo anche
fra il debitore ed un solo creditore, nel caso - non infrequente
- in cui mediante tale accordo si consenta al debitore di
superare definitivamente la crisi (ad esempio, mediante l'erogazione
di nuova finanza assistita da idonee garanzie). Pur essendo
destinato a produrre effetti diretti esclusivamente nei confronti
dei creditori che hanno preventivamente raggiunto un determinato
accordo, è possibile - anzi è normale - che la realizzazione
dell'accordo comporti effetti indiretti anche nei confronti
di altri controinteressati. L'aspirazione ad acquisire una
garanzia di stabilità degli effetti prodotti dall'esecuzione
dell'accordo, che costituisce la ragione della sua sottoposizione
all'omologazione, impone di considerarne il contenuto nel
contesto della più generale situazione economico-patrimoniale-finanziaria
del debitore. Per tale ragione è richiesta la presentazione
di una situazione patrimoniale di riferimento e la sua certificazione
ad opera di un esperto professionalmente qualificato, che
dovrà attestarne la congruità ed esprimere una valutazione
sulla attendibilità degli obiettivi perseguiti con la conclusione
dell'accordo, con particolare riguardo all'attitudine dello
stesso a rimuovere o prevenire la situazione di crisi in modo
durevole. Si prevede che l'autorità giudiziaria possa esercitare
un controllo sulla congruità della situazione economico-patrimoniale-finanziaria
prospettata dal debitore, attraverso la disposizione di una
consulenza tecnica d'ufficio a spese del debitore stesso.
Si prevede altresì che un controllo sulla conformità dell'esecuzione
dell'accordo a quanto prospettato in sede di omologazione
venga effettuato da parte dell'esperto che ha originariamente
certificato la situazione patrimoniale di riferimento, attraverso
relazioni periodiche, nonché l'introduzione di ipotesi di
revocabilità dell'omologazione allorquando venga scoperto
che i dati e le informazioni forniti dal debitore sono inattendibili
e che le finalità dell'accordo risultano gravemente compromesse.
Si prevede che gli effetti degli atti posti in essere in esecuzione
di un accordo stragiudiziale omologato acquistino quel grado
di stabilità giuridica che può convincere le controparti del
debitore a consentire il tentativo di superamento o di prevenzione
della situazione di crisi. In tale prospettiva, se ne prevede
la sottrazione alle azioni revocatorie, con l'eccezione dell'ipotesi
di intervenuta revoca dell'omologazione. L'accordo di composizione
negoziale della crisi, rimuovendo la situazione di crisi,
dovrebbe inoltre evitare la dichiarazione giudiziale dello
stato di insolvenza ad opera di terzi. Ciò, tuttavia, rappresenta
l'effetto del successo dell'accordo, e non di un limite posto
dalla legge a soggetti che potrebbero non avere partecipato
alla formazione e all'omologazione dell'accordo medesimo.
Si prevede infine che la disciplina fiscale degli accordi
non ostacoli, anzi se possibile agevoli, il perfezionamento
delle operazioni, con particolare riguardo al regime di deducibilità
fiscale delle perdite su crediti derivanti dalle riduzioni
e dalle ristrutturazioni dei debiti dedotti nell'accordo.
Il nostro disegno organico di riforma deve ovviamente prendere
in considerazione il problema dell'applicazione delle procedure
concorsuali alle imprese facenti parte di un gruppo. I princìpi
di delega formulati nell'articolo 6 assumono come fattispecie
i rapporti di collegamento fra imprese individuati nella disciplina
dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi
(articoli 80 e seguenti del decreto legislativo 8 luglio 1999,
n. 270), così da evitare la proliferazione di nozioni e definizioni
di gruppo rilevanti nel medesimo settore dell'ordinamento
giuridico. Il criterio generale a cui si ispira la disciplina
dell'impresa di gruppo in crisi è di rispetto della distinta
soggettività delle diverse imprese, e perciò della separatezza
delle rispettive masse attive e passive e della distinzione
fra le diverse serie di creditori. Tale criterio è tuttavia
temperato dalla previsione di regole che tengono conto comunque
delle connessioni e dei legami fra le diverse imprese del
gruppo, la cui rilevanza non si reputa possa rimanere circoscritta
soltanto agli aspetti e ai profili economici del fenomeno.
Così, pur riaffermandosi il principio secondo cui l'accertamento
dell'insolvenza va compiuto con riferimento alla singola società
(e non con riferimento al gruppo nel suo insieme), non si
esclude che a tale riguardo possano assumere rilievo (per
escludere o per confermare l'esistenza di una condizione di
insolvenza) i collegamenti di natura economico-produttiva
ovvero finanziaria fra le diverse società. Parimenti, si riafferma
il principio di separatezza nella gestione della procedura
(tanto nella fase eventuale di esercizio dell'impresa, quanto
in quella della liquidazione), senza tuttavia escludere la
legittimità di un coordinamento funzionale fra le singole
imprese e le rispettive procedure concorsuali, se ed in quanto
un siffatto coordinamento arrechi un vantaggio ai creditori
(sotto forma di decremento dei costi ovvero di incremento
dei ricavi della procedura). Ulteriori regole concernono in
particolare: a) la possibilità del contestuale assoggettamento
di tutte le imprese del gruppo che presentino i presupposti
oggettivi stabiliti dalla legge alla medesima procedura concorsuale;
dato che, in questo contesto, è opportuna la gestione unitaria
delle partecipazioni del gruppo, si chiarisce che la holding
è sempre assoggettata alla procedura quando ne sussista il
presupposto oggettivo, a prescindere dallo svolgimento di
un'attività produttiva di beni o di servizi; b) la possibile
unicità degli organi preposti all'attuazione della procedura
o alla vigilanza su di essa - salva la nomina di curatori
speciali nell'ipotesi di conflitto di interessi - e la ripartizione
delle spese di procedura fra le diverse imprese secondo criteri
predefiniti; c) l'applicazione rafforzata della disciplina,
dettata in generale per gli atti pregiudizievoli ai creditori,
agli atti e negozi intercorsi fra società dello stesso gruppo,
nel presupposto che essi non siano stati conclusi secondo
regole di mercato o siano stati comunque conclusi allo scopo
di favorire una o più società del gruppo a scapito di altre
e a danno del (restante) ceto creditorio; d) la responsabilità
della società controllante e dei suoi amministratori, in solido
con l'organo amministrativo della controllata insolvente,
per i danni da questo cagionati alla controllata e riconducibili
all'abuso della direzione unitaria di gruppo. Il principio
tende a chiarire che la responsabilità degli amministratori
della controllante coinvolge la responsabilità della controllante
stessa. L'articolo 7 contiene i princìpi e criteri ispiratori
della riforma della disciplina penale delle procedure concorsuali.
Tanto fra gli studiosi, quanto fra gli operatori pratici del
diritto si riscontra un consenso diffuso sulla necessità di
un "alleggerimento" dell'intervento penale, anche come condizione
preliminare per un recupero di efficienza. L'attuale disciplina
repressiva dei reati fallimentari è infatti nettamente sproporzionata
per eccesso, sia dal punto di vista degli equilibri interni
del sistema penale (in raffronto a tutte le altre categorie
di delitti economici e patrimoniali), sia da un punto di vista
comparatistico: le pene previste per la bancarotta fraudolenta,
in particolare (da tre a dieci anni di reclusione), rasentano
il doppio di quanto previsto nella media degli altri Paesi
europei. Se pure non è il caso di distaccarsi dalla linea
seguita dalla proposta di legge delega per la riforma del
diritto societario (atto Camera n. 969) - e quindi di andare
oltre la generica previsione della pena della reclusione -
riteniamo tuttavia opportuno che fra i criteri di delega compaia
anche un'indicazione nel senso di una significativa riduzione
degli attuali margini edittali di pena ,
nell'attesa della più complessiva riforma del sistema sanzionatorio,
quale quella prefigurata dal progetto preliminare di riforma
del codice penale elaborato dalla commissione Grosso (articolo
51 e seguenti). Non è solo, peraltro, un problema di livelli
sanzionatori: si tratta altresì (e prima di tutto) di colmare
il divario attualmente esistente fra la realtà normativa e
la realizzazione dei fondamentali princìpi di colpevolezza
e di offensività dell'illecito; ciò che impone un ripensamento
dell'intera struttura della fattispecie di bancarotta. Sulla
base di una tale ispirazione di fondo, i punti di forza della
presente riforma possono sintetizzarsi nei seguenti termini:
a) riduzione, semplificazione e razionalizzazione della fattispecie
di bancarotta nelle sue diverse articolazioni, con eliminazione
delle ipotesi colpose e tendenziale circoscrizione dell'intervento
penale ai soli comportamenti fraudolenti dell'imprenditore
privi di qualunque giustificazione economica e lesivi della
garanzia dei creditori, in quanto posti in essere in stato
di insolvenza ovvero dotati rispetto ad essa di efficacia
causale (o di aggravamento delle relative conseguenze); b)
eliminazione dell'efficacia condizionante della dichiarazione
dello stato di insolvenza da parte della giurisdizione civile;
c) previsione di adeguati meccanismi premiali, volti ad incentivare
il debitore a ricorrere agli strumenti giudiziari o extragiudiziari
di prevenzione o risoluzione delle crisi d'impresa; d) introduzione
di nuove fattispecie incriminatrici, volte a garantire l'affidabilità
dei predetti strumenti e la trasparenza del debitore che a
questi fa ricorso; e) tendenziale assimilazione, sotto il
profilo della responsabilità penale, della figura del curatore
della procedura concorsuale a quella dell'amministratore di
società; f) armonizzazione del raccordo fra la nuova disciplina
penale concorsuale ed i princìpi e criteri direttivi, attualmente
all'esame del Parlamento, per la riforma delle disposizioni
penali in materia societaria (atto Camera n. 969). Dal punto
di vista della tecnica di tipizzazione del delitto di bancarotta,
si riscontra una contrapposizione storica fondamentale - ancor
oggi ben visibile nel diritto positivo dei diversi Paesi -
fra un modello di fattispecie di bancarotta causalmente orientata,
costruita su un evento rappresentato dal fallimento o dall'insolvenza
del debitore - il cui esempio più significativo è fornito
oggi senz'altro dal codice penale spagnolo del 1995 (articolo
260) - ed un modello di incriminazione di stampo accentuatamente
casistico, tendenzialmente emancipato dal riscontro di un
nesso di causalità con il fallimento o l'insolvenza, articolato
invece sulla descrizione, variamente formulata, di ipotesi
di manipolazioni patrimoniali, di alterazioni contabili e
documentali e di indebito favoreggiamento di alcuni creditori
a discapito di altri (Germania, Francia, Austria, Svizzera,
Portogallo, eccetera). Anche qui, tuttavia, si riscontrano
molteplici soluzioni intermedie o miste, in cui il modello
analitico si intreccia con quello sintetico, dando vita a
fattispecie nelle quali, da un lato, la previsione di specifiche
condotte di bancarotta è arricchita e completata da vere e
proprie clausole generali; e, dall'altro lato, "l'emancipazione"
dall'accertamento del nesso di causalità fra le condotte tipiche
ed il dissesto del debitore è compensata dalla necessaria
inclusione di tali condotte in un contesto preliminare di
rischio qualificato (la crisi economica). La disciplina penale
prevista dalla vigente legge fallimentare italiana è ispirata
ad una tecnica di incriminazione fortemente casistica, volta
in linea di principio ad escludere la rilevanza del nesso
di causalità fra le singole condotte di bancarotta ed il dissesto
dell'impresa. Uno dei punti qualificanti della riforma che
proponiamo è rappresentato invece dal recupero della centralità
del momento del cagionare (o aggravare) con dolo l'insolvenza.
E' questo il nucleo fondamentale ed originario - alla base
di tutte le istanze punitive in materia fallimentare - che
va opportunamente riportato in primo piano nella ricostruzione
della fattispecie di bancarotta ed a questo criterio si ispira
la previsione di apertura del presente progetto, che delinea
la fondamentale fattispecie di "bancarotta fraudolenta patrimoniale"
. In senso analogo
si era orientato a suo tempo anche lo schema di legge delega
per la riforma del codice penale elaborato dalla commissione
Pagliaro (Documenti Giustizia, 1992, n. 3, c. 446), che aveva
proposto di ridefinire la bancarotta fraudolenta patrimoniale
come il fatto di "causare o aggravare (...) il dissesto
volontà di sottrarre attività alla garanzia patrimoniale nei
confronti dei creditori". Una repressione penale attestata
esclusivamente sulla soglia della causazione dell'insolvenza
andrebbe incontro tuttavia a gravi problemi applicativi, che
rischierebbero o di rendere la fattispecie pressoché inapplicabile,
o di indurre la giurisprudenza ad eludere il rigore dell'accertamento
del nesso di causalità attraverso un ricorso surrettizio a
meccanismi presuntivi. Da qui, dunque, l'opportunità di prevedere
un secondo livello di intervento penale, che dovrebbe essere
caratterizzato - come è nella tradizione della maggior parte
delle legislazioni europee - dalla tipizzazione di una serie
di comportamenti di gestione d'impresa gravemente anti-economici
e caratterizzati da una generale idoneità a cagionare o aggravare
il dissesto. Dall'elaborazione normativa dei diversi ordinamenti
si possono comunque trarre utili indicazioni circa la necessità
di intervenire in senso modificativo: la previsione di fattispecie
di bancarotta svincolate da un nesso di causalità con l'insolvenza
reca infatti pur sempre con sé il rischio di un'estensione
a dismisura della zona di "rischio penale" dell'imprenditore,
che potrebbe essere chiamato a rispondere a titolo di bancarotta
di condotte di mala gestione lontanissime nel tempo dal momento
della verificazione dell'insolvenza, che potrebbe poi essersi
prodotta per cause completamente diverse ed autonome. Da qui,
dunque, la frequente e opportuna ricerca di ulteriori elementi
correttivi, tali da valorizzare il legame fra le condotte
di bancarotta ed il dissesto dell'impresa: correttivi da apportarsi
o sul versante dei presupposti di tali condotte - definendo
ad esempio, in termini generali, i contorni di una situazione
di crisi economica nel cui contesto devono necessariamente
inserirsi i comportamenti vietati (come nelle fattispecie
di bancarotta del codice penale tedesco) - o sul versante
dell'elemento soggettivo, tipizzando ipotesi particolari di
delitti a dolo specifico, caratterizzati sia da un intento
di arrecare frode o di ritardare l'incombente procedura concorsuale
(come in alcune ipotesi di bancarotta del diritto francese),
sia da uno scopo di indebito profitto o di pregiudizio per
le ragioni dei creditori o di taluni di questi (come ad esempio
in talune ipotesi della nostra vigente legge fallimentare);
o, ancora, prevedendo una determinata soglia temporale, a
partire dalla quale possono essere prese in considerazione
condotte anteriori o, naturalmente, posteriori alla dichiarazione
di insolvenza. Il modello di incriminazione che si è inteso
seguire fa leva sulla tipizzazione di un presupposto delle
condotte di bancarotta capace di illuminare sotto il profilo
oggettivo e soggettivo il contenuto di disvalore di queste
condotte: a tale fine non è parso tuttavia sufficiente - in
quanto concetto difficilmente traducibile in termini di sufficiente
determinatezza - un riferimento, come quello operato dal legislatore
tedesco, allo "stato d'insolvenza attuale o imminente"; e
lo stesso vale per concetti come "stato di crisi" o altri
analoghi. L'unico elemento utile dotato di sufficiente pregnanza
semantica, e che gode di una solida identità sul piano dell'elaborazione
interpretativa extrapenale, sembra dunque essere il concetto
di "stato d'insolvenza", inteso come impossibilità del debitore
di adempiere le proprie obbligazioni: concetto che, proprio
in virtù di tali considerazioni, può essere affidato anche
all'accertamento del giudice penale, come una sorta di filtro
preliminare del giudizio volto all'individuazione delle condotte
di bancarotta. Questo secondo livello di intervento penale
- che postula quindi la compresenza, ma non un legame causale
fra insolvenza e condotta tipica - deve essere accompagnato
da un abbassamento delle pene edittali: sia per riflettere
correttamente, sul piano sanzionatorio, quella che è comunque
una anticipazione della tutela, sia per valorizzare, di riflesso,
l'ipotesi principale del cagionare o aggravare l'insolvenza,
evitando fra l'altro - grazie all'"incentivo" rappresentato
dal più alto rango sanzionatorio della fattispecie - una rassegnata
rinuncia della giurisprudenza ad una ricerca effettiva del
rapporto di causalità fra le condotte imputate come bancarotta
ed il dissesto dell'impresa. Accanto a tipologie di condotta
ricavate dalla tradizionale articolazione del delitto di bancarotta
fraudolenta (articolo 216 della legge fallimentare) - che
nella proposta di legge vengono individuate come bancarotta
fraudolenta "per distrazione", "documentale" e "preferenziale"
- trova
in questo contesto adeguata collocazione anche l'ipotesi del
ricorso abusivo al credito , ugualmente
ancorata al presupposto dello stato di insolvenza. A chiusura
del sistema di repressione penale dei fatti di bancarotta
è prevista infine l'introduzione di una fattispecie, meno
gravemente sanzionata, di omessa o irregolare tenuta dei libri
e delle scritture contabili , previa
opportuna fissazione di un limite cronologico di rilevanza
(tre anni, da calcolare a ritroso dalla data della dichiarazione
di insolvenza, come già disposto nell'articolo 217, secondo
comma, della legge fallimentare). Il mantenimento di tale
fattispecie anche nella futura disciplina si giustifica realisticamente
per le difficoltà di prova dell'elemento soggettivo, destinate
a gravare sulla applicazione della fattispecie di bancarotta
documentale limitandone di fatto la
praticabilità; ma il carattere di tutela anticipata che caratterizza
in ogni caso la fattispecie dovrà trovare necessariamente
riconoscimento in una pena edittale adeguatamente inferiore
a quella da stabilire per l'ipotesi di bancarotta documentale.
Problema centrale della riforma è quello del mantenimento
o meno della condizione di punibilità (elemento costitutivo
del reato, secondo la giurisprudenza) rappresentata dalla
dichiarazione formale di insolvenza. Sulla base dei dati offerti
dall'indagine comparatistica, nella grande maggioranza degli
ordinamenti la punibilità delle condotte di bancarotta è ancor
oggi condizionata oggettivamente dall'esistenza di uno stato
di insolvenza del debitore; ma le strade seguite dai vari
legislatori nazionali si divaricano nel momento in cui alcuni
(come è tradizione, in generale, degli ordinamenti dell'area
romanistica) radicano la condizione di punibilità sulla pronuncia
formale di un provvedimento di apertura di una procedura concorsuale,
di competenza della giurisdizione civile (Francia, Portogallo,
Spagna, Svizzera), mentre altri guardano piuttosto all'esistenza
di una situazione sostanziale (l'insolvenza) che può essere
anche autonomamente accertata dal giudice penale: è il caso
quest'ultimo, in particolare, dell'ordinamento tedesco, che
equipara, ai fini della condizione di punibilità, l'apertura
formale di un "Insolvenzverfahren" (ovvero il rigetto della
relativa domanda per carenza di massa) al fatto dell'avvenuta
cessazione dei pagamenti (S 283 comma 6 StGB). Più radicale,
infine, l'esempio offerto dal legislatore austriaco, che prescinde
da qualsiasi condizione obiettiva di punibilità e punisce
come "betrugerische Krida" le condotte di bancarotta che impediscano
o limitino il soddisfacimento anche di uno soltanto dei creditori
(S 156 StGB). Nei termini in cui è attualmente prevista nell'ordinamento
italiano, il mantenimento della condizione di punibilità finirebbe
con il contraddire gli obiettivi perseguiti dalla riforma:
se è proprio e soltanto il momento formale dell'apertura di
una procedura concorsuale ciò che spalanca le porte alla repressione
penale di una serie di illeciti fino ad allora non punibili,
verrebbe inevitabilmente vanificato l'intento di indurre il
debitore ad una tempestiva denuncia dello stato di crisi o
di insolvenza. La condizione di punibilità, nei suoi termini
attuali, è figlia piuttosto di (ed appare ancor oggi coerente
con) una concezione "sanzionatoria" del fallimento, in cui
il debitore subisce passivamente l'apertura della procedura
concorsuale. Se viceversa - come è nello spirito della presente
riforma - la procedura concorsuale deve perdere il tradizionale
carattere stigmatizzante, per diventare soltanto una tecnica
di prevenzione o gestione dell'insolvenza, accompagnata da
adeguati benefìci nel caso di accesso spontaneo e tempestivo,
la soluzione più coerente e lineare è senz'altro quella che
conduce all'eliminazione della condizione di punibilità. Si
tratta del resto di una soluzione che anche sotto il profilo
strettamente penalistico non può non essere salutata con favore
da chi auspichi una piena realizzazione dei princìpi di offensività,
di colpevolezza e di uguaglianza. Le obiezioni che tradizionalmente
sono state rivolte nei confronti di una possibile abolizione
della condizione di punibilità, fondate sul timore di una
incontrollata dilatazione dell'intervento penale, possono
essere ragionevolmente superate considerando: a) il forte
legame che la riforma instaura fra le condotte di bancarotta
e lo stato di insolvenza (alternativamente previsto come presupposto
o come evento del reato); b) la precisa identità normativa
del concetto (lo stato di insolvenza), tale da non consentire
derive arbitrarie all'interpretazione del giudice penale;
c) infine, la necessaria sensibile riduzione dei limiti edittali
di pena. E' questo un punto fra i più delicati, sia perché
quello delle misure premiali - dovunque vengano sperimentate
- è sempre un terreno particolarmente scottante della moderna
politica criminale, sia perché su questo punto si gioca una
fetta consistente della "appetibilità" delle nuove procedure
concorsuali nei confronti del debitore. L'indicazione di fondo
- che non può non trovare adeguata ricaduta anche in sede
penale - è quella di premiare il debitore che ricorra tempestivamente
all'autorità giudiziaria, promuovendo l'apertura delle procedure
di ristrutturazione delle passività o di insolvenza: il problema,
tuttavia, è quello di individuare una formulazione tecnica
ed un punto di equilibrio politicamente accettabili. La soluzione,
astrattamente prospettabile, di una non punibilità per tutti
gli illeciti commessi prima del ricorso all'autorità giudiziaria,
ogniqualvolta sia stato eliminato il pregiudizio per i creditori,
lascerebbe aperta la porta a diversi interrogativi e perplessità:
la prospettiva della non punibilità accordata a favore del
responsabile di gravi fatti di bancarotta fraudolenta, alla
sola condizione che questi si adoperi per riparare il danno
ai creditori e ricorra tempestivamente all'autorità giudiziaria,
porrebbe fra l'altro seri problemi di legittimazione della
disciplina penale societaria, laddove questa fosse destinata
ad essere applicata ad imprese non in stato di crisi. Una
così forte "patrimonializzazione" dell'intervento penale in
sede concorsuale sarebbe cioè alquanto stridente con il carattere
nettamente "istituzionale" della disciplina penale societaria:
difficilmente potrebbe conciliarsi, ad esempio, la prospettata
premialità con la pretesa dell'ordinamento di punire un falso
in bilancio anche nell'ambito di una società in floride condizioni
economiche e senza alcun pregiudizio per gli interessi patrimoniali
dei soci e dei terzi. Salvo che, addirittura - ma si tratterebbe
di una soluzione palesemente inaccettabile - si decidesse
di estendere la non punibilità anche ai reati societari (od
altri illeciti relativi alla gestione d'impresa) totalmente
slegati (cronologicamente e causalmente) dalla successiva
crisi o dissesto dell'impresa, trasformando così paradossalmente
lo stato di crisi, in atto o incombente, in una comoda via
di fuga dalla responsabilità penale per i reati pregressi.
Per tutte queste ragioni, dunque, riteniamo che la soluzione
più equilibrata - che trova espressione nel criterio di delega
di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 7 - sia quella
di una riduzione di pena per il debitore che, dopo la commissione
del fatto di reato, abbia volontariamente richiesto l'apertura
di una procedura concorsuale e si sia seriamente adoperato
per eliminare o ridurre il pregiudizio per i creditori; solo
per la più lieve ipotesi dell'omessa o irregolare tenuta della
contabilità abbiamo previsto invece, alle medesime condizioni,
il beneficio della non punibilità. Per quanto attiene ai potenziali
destinatari dell'intervento penale, la generalità degli ordinamenti
giuridici fa coincidere la sfera dei soggetti attivi del delitto
di bancarotta con quella dei soggetti delle procedure concorsuali:
a seconda dei casi, qualunque tipologia di debitore (come
ad esempio, in linea di principio, nell'ordinamento tedesco),
ovvero il solo debitore imprenditore (come ad esempio nel
sistema francese), o, infine, particolari categorie di imprenditori
(come nella vigente legge fallimentare italiana). Sotto questo
profilo la scelta operata dalla presente proposta di legge
si muove nel segno di una moderata estensione dell'ambito
soggettivo di operatività delle fattispecie incriminatrici,
con il venire meno del privilegio finora accordato a piccoli
imprenditori ed imprenditori agricoli, cui divengono applicabili
le nuove procedure di insolvenza e di ristrutturazione delle
passività. L'espansione soggettiva dell'intervento penale
non giunge tuttavia a coinvolgere, in linea generale - e fatte
salve le eccezioni alle quali si farà cenno in seguito (i
nuovi delitti di falso e l'ipotesi del mercato di voto) -
il debitore "comune" non imprenditore, al quale pure la proposta
di legge concede l'opportunità di accedere alle nuove procedure
concorsuali. A questo riguardo rivendichiamo una consapevole
originalità nel contesto europeo, rifuggendo da un'automatica
sovrapposizione delle due sfere soggettive (soggetti delle
procedure e soggetti attivi dei reati), in omaggio, da un
lato, ad una visione maggiormente selettiva dell'intervento
penale, ed in coerenza, dall'altro lato, con una impostazione
generale che mira a sottrarre alle procedure concorsuali il
loro tradizionale crisma di sanzionatorietà e di anticamera
della responsabilità penale. Per il debitore "comune" (non
imprenditore) è prevista soltanto una possibile responsabilità
penale al di fuori della sfera propria del delitto di bancarotta,
circoscritta alle ipotesi di falsità nella situazione patrimoniale
allegata al piano di ristrutturazione delle passività o alla
domanda di omologazione dell'accordo di composizione negoziale
delle crisi , nonché all'ipotesi
del mercato di voto . Per quest'ultima
ipotesi, poi - che delinea una fattispecie di reato a concorso
necessario - è coinvolta a pari titolo la responsabilità penale
del creditore (come già nell'articolo 233 della legge fallimentare),
il quale ultimo figura infine come destinatario esclusivo
dell'intervento penale nell'ipotesi di insinuazione fraudolenta
di crediti . Con il criterio di delega
fissato dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo 7, che
stabilisce un aumento della pena nel caso di commissione di
una pluralità di fatti di bancarotta, si ribadisce - quantomeno
agli effetti della pena, e sulla falsariga di quanto già oggi
prevede l'articolo 219, secondo comma, numero 1), della legge
fallimentare - il tradizionale principio dell'unitarietà del
delitto di bancarotta, a prescindere dal carattere reale o
fittizio che a tale unificazione si voglia riconoscere sul
piano interpretativo. Non sono state riprodotte invece, per
non dilatare eccessivamente i margini edittali di pena, le
attuali circostanze oggettive ad effetto speciale relative
all'entità del danno patrimoniale (in coerenza con la proposta
di riforma della disciplina penale delle società commerciali,
dalla quale dovrebbe scomparire l'analoga circostanza ad effetto
speciale relativa al danno di gravità rilevante all'impresa):
nelle ipotesi di apprezzabile gravità o tenuità del danno
patrimoniale troveranno dunque applicazione le circostanze
comuni di cui agli articoli 61, numero 7), e 62, numero 4),
del codice penale (corrispondenti agli articoli 66, lettera
c), e 68, lettera c), del progetto preliminare di riforma
del codice penale), con l'ordinario aumento (o, rispettivamente,
diminuzione) fino ad un terzo della pena base (articoli 64
e 65 del codice penale). Non è stata nemmeno conservata infine,
stante anche la sua scarsa rilevanza pratica, la circostanza
aggravante relativa alla violazione di un divieto legale di
esercizio di un'impresa commerciale (articolo 219, secondo
comma, numero 2), della legge fallimentare). Data la necessaria
natura imprenditoriale del soggetto attivo, riteniamo non
possa mancare una previsione espressa dell'ipotesi della bancarotta
societaria , destinata a figurare, nella prassi,
come la normale forma di realizzazione del delitto di bancarotta.
La cerchia dei soggetti attivi viene descritta, in questo
caso, come quella di "coloro che svolgono funzioni di amministrazione,
direzione, controllo e liquidazione", con una definizione
in termini funzionali che ricalca quella che compare nella
più recente normativa riguardante soggetti societari (si confrontino
le fattispecie incriminatrici contenute nel testo unico bancario
e nel testo unico sull'intermediazione finanziaria, di cui,
rispettivamente ai testi unici di cui ai decreti legislativi
1^ settembre 1993, n. 385, e 24 febbraio 1998, n. 58) e dovrebbe
avviare a soluzione il tradizionale problema dell'amministratore
di fatto, indipendentemente dall'adozione o meno del criterio
affermato dall'articolo 10, comma 1, lettera e), della proposta
di legge delega per la riforma del diritto societario, atto
Camera n. 969, che prevede espressamente l'estensione della
responsabilità penale a carico di "chi, in assenza di formale
investitura, esercita in modo continuativo e in modo significativo
i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione".
Accanto alla figura della bancarotta societaria compare anche
un richiamo di ordine generale alle fattispecie dei reati
societari: le esigenze di tutela del patrimonio, di salvaguardia
dell'integrità del capitale e di trasparenza dell'informazione
che in tali fattispecie trovano affermazione - e che sono
soprattutto alla base del citato progetto di riforma - si
pongono infatti in una linea di ideale anticipazione, durante
la fase vitale della gestione dell'impresa societaria, di
quelle stesse istanze che trovano più rigorosa e definitiva
conferma con la repressione del delitto concorsuale. Il meccanismo
tecnico più idoneo per dare vita a tale raccordo fra i due
momenti - rifuggendo dagli incongrui automatismi repressivi
che contrassegnano l'attuale disciplina della cosiddetta "bancarotta
impropria" (articolo 223, secondo comma, numero 1), della
legge fallimentare) - è stato individuato nella previsione
dell'insolvenza dell'impresa sociale come circostanza aggravante
dei reati societari , in
sostituzione dell'altra circostanza, già esistente ma raramente
applicata, del danno di gravità rilevante all'impresa (articolo
2640 del codice civile): circostanza che, come già ricordato,
sarebbe comunque destinata a non trovare spazio nel progetto
di riforma dei reati societari. Quest'ultima soluzione consentirebbe
di stabilire una più salda connessione, in termini oggettivi
e soggettivi, fra il reato societario e lo stato di insolvenza,
che - alla stregua delle regole ordinarie di imputazione delle
circostanze aggravanti (articolo 59, secondo comma, del codice
penale, ribadito dall'articolo 33 del progetto preliminare
di riforma del codice penale, che afferma la regola dell'"imputazione
soggettiva delle circostanze aggravanti") - comporterebbe
l'aumento della pena solo in quanto rappresenti una conseguenza
prevista o prevedibile del reato al momento della realizzazione
della condotta tipica. Il legislatore delegato dovrà inoltre
preoccuparsi di realizzare un adeguato coordinamento dei livelli
sanzionatori, in maniera tale da evitare che, per effetto
del meccanismo circostanziale, la commissione di un reato
societario, che abbia cagionato o aggravato l'insolvenza della
società, possa condurre all'applicazione di una pena più grave
di quella prevista per il delitto di bancarotta fraudolenta
patrimoniale (senza escludere, peraltro, che possa condurre
all'applicazione della medesima pena). La peculiare importanza
che la "visibilità" della situazione patrimoniale, economica
e finanziaria del debitore è destinata ad assumere, tanto
nell'economia della nuova procedura concorsuale di ristrutturazione
delle passività (articolo 3) quanto nell'ambito dei meccanismi
di soluzione stragiudiziale delle crisi (articolo 5), deve
trovare adeguato riflesso anche sotto il profilo penale; ciò
a tutela dei creditori, che potrebbero essere indotti a concessioni,
anche gravose, sulla base di elementi strumentalmente falsificati.
Si introducono pertanto due nuove figure di reato, relative
rispettivamente alla falsità nella situazione patrimoniale
o nella relazione allegata al piano di ristrutturazione delle
passività ed
alla falsità nella situazione patrimoniale allegata alla domanda
di omologazione dell'accordo di composizione negoziale delle
crisi . Soggetto attivo sarebbe il
debitore (in questo caso, non necessariamente imprenditore),
come unico legittimato ad attivare la nuova procedura, ed
il fatto tipico dovrebbe essere definito come esposizione
di dati o informazioni non rispondenti al vero e tali da impedire
ai creditori e agli interessati un fondato giudizio sulla
convenienza del piano. E' vero che, in molti casi, una simile
ipotesi potrebbe essere già oggi riconducibile alla fattispecie
delle false comunicazioni sociali (articolo 2621, numero 1),
del codice civile; articolo 10, comma 1, lettera a), numero
1), della proposta di legge di riforma del diritto societario):
ma l'opportunità di un'incriminazione autonoma - destinata
ad escludere, ovviamente, l'applicabilità del reato societario
(sarebbe raccomandabile, sul punto, la previsione di una espressa
clausola di sussidiarietà) - deriva sia dal diverso ambito
soggettivo dei destinatari, sia dalla specialità della funzione
di garanzia di tali piani. I reati del curatore e dei suoi
coadiutori, come attualmente previsti dagli articoli da 228
a 231 della legge fallimentare (interesse privato negli atti
del fallimento, accettazione di retribuzione non dovuta, omessa
consegna o deposito di cose del fallimento), rappresentano
(analogamente ai reati degli amministratori giudiziari e dei
commissari governativi, di cui agli articoli da 2637 a 2639
del codice civile) una sorta di relitto storico del vecchio
statuto penale della pubblica amministrazione, non sfiorato
dalla riforma del 1990. Vi compaiono infatti modelli di incriminazione,
quale l'interesse privato, ormai scomparsi dalla disciplina
penale "comune" dei pubblici ufficiali e degli incaricati
di pubblico servizio. La complessiva riforma della disciplina
civile e penale delle procedure concorsuali può rappresentare
pertanto l'occasione più propizia per ripensare anche sotto
il profilo penale la figura ed il ruolo del curatore fallimentare,
decidendo se accostarne funzioni e responsabilità a quelle
dei pubblici ufficiali ovvero a quelle degli amministratori
di società. La soluzione privatistica appare a questo riguardo
come quella più coerente con lo spirito della riforma e con
gli equilibri complessivi del sistema, tanto più che la nuova
disciplina penale societaria prefigurata dalla citata proposta
di legge di riforma del diritto societario (atto Camera n.
969), presenta nuove figure di reato, quali in particolare
l'infedeltà patrimoniale e la corruzione, che sembrano attagliarsi
idealmente (con alcuni adattamenti) alla peculiare posizione
del curatore della procedura di insolvenza. Il criterio di
delega stabilito dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo
7 prevede pertanto di rendere applicabili al curatore, in
quanto compatibili con la natura delle relative funzioni,
le norme sui reati societari. Circa il mercato di voto e l'insinuazione
fraudolenta di crediti, siamo in presenza di due previsioni
che sostanzialmente riproducono
fattispecie incriminatrici già presenti nella legge fallimentare
(articoli 232, primo comma, e 233). Rispetto alla vigente
figura del mercato di voto, la novità più significativa è
rappresentata dal riferimento al carattere "occulto" dei vantaggi
pattuiti, mentre, con riferimento all'insinuazione fraudolenta
di crediti, segnaliamo la sostituzione dell'avverbio "fraudolentemente"
con la previsione dello scopo di conseguire un ingiusto profitto.
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