Aggiornamento legislativo segnalato da:
ROBERTO IODICE
Avvocato in Napoli
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XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI N. 970

PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei deputati FASSINO, AGOSTINI, FOLENA, VISCO, BENVENUTO, BONITO, CARBONI, CENNAMO, COLUCCINI, GRANDI, LUCIDI, OLIVIERI, NICOLA ROSSI, SINISCALCHI

Delega al Governo per la riforma delle procedure della crisi di impresa Presentata il 21 giugno 2001
RELAZIONE

 

PROGETTO DI LEGGE - N. 970
RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - Premesso che in data odierna presentiamo altresì la proposta di legge recante delega al Governo per la riforma del diritto societario, riteniamo che occorra intervenire altrettanto incisivamente su un aspetto dell'ordinamento dell'impresa che, non meno della disciplina civilistica delle società di capitale e cooperative, è per generale consenso bisognoso di profonde innovazioni dopo decenni di sostanziale immobilismo intaccato solo da marginali e non sempre coordinati interventi correttivi: la disciplina della crisi di impresa. Procedure concorsuali efficienti sono essenziali per assicurare la crescita e la competitività delle imprese. Le modalità di soluzione delle crisi hanno infatti effetti sulle aspettative dei soggetti che gestiscono le imprese e di quelli che forniscono finanziamenti e, quindi, sul loro comportamento. Da un lato, insufficienti garanzie per i creditori nelle fasi di crisi possono limitare l'accesso al credito delle imprese e aumentarne il costo; dall'altro sanzioni severe possono avere molteplici effetti negativi: a) scoraggiare in misura eccessiva l'assunzione del rischio da parte degli imprenditori; b) ritardare l'avvio delle procedure concorsuali ed indurre investimenti eccessivamente rischiosi da parte dell'imprenditore in crisi nella speranza di evitare l'assoggettamento alla procedura. In generale, come sottolineano anche alcuni organismi internazionali (si veda Fondo monetario internazionale, "Orderly and Effective Insolvency Procedures", 1999), buone procedure concorsuali incrementano il valore delle attività economiche, sia scegliendo fra le opzioni possibili quella che massimizza il valore dell'impresa, sia riducendo costi e tempi delle procedure stesse. Le carenze delle procedure concorsuali vigenti nel nostro ordinamento sono da tempo oggetto di discussione e sollevano la necessità di una profonda revisione dei meccanismi. Con riferimento ai fallimenti conclusi nel periodo 1981-1995, sono stati rilevati costi diretti - vale a dire spese per il compenso degli organi della procedura e spese amministrative ad esclusione degli oneri sostenuti dai creditori per il recupero dei crediti - mediamente pari al 4 per cento dei crediti ammessi allo stato passivo e al 20 per cento degli introiti derivanti dalla liquidazione dell'attivo. La durata media della procedura è di sei anni ed aumenta nel caso di procedure che si concludono con il pagamento integrale dei creditori. Quest'ultimo esito non è il risultato prevalente: al contrario, nel corso del tempo si è assistito ad un incremento della frequenza dei casi di chiusura per insufficienza dell'attivo. Le percentuali di recupero del credito sono mediamente pari al 33 per cento per i creditori garantiti e salgono al 48 per cento nel caso di finanziamento bancario. L'integrità dell'attivo aziendale è ovviamente legata anche alla tempestività con cui viene reso noto lo stato di dissesto. Al proposito, l'evidenza empirica relativa al periodo 1989-1993, pur non permettendo di trarre considerazioni definitive sul fenomeno, sembra testimoniare la scarsa propensione dell'imprenditore a rivelare lo stato di crisi: solo il 7,3 per cento delle procedure fallimentari è stato aperto su iniziativa dell'imprenditore. L'evidenza empirica è poco incoraggiante anche con riferimento alle procedure concorsuali minori. In particolare, per un campione di procedure di concordato avviate presso alcuni tribunali nel periodo 1980-1993, è emerso che circa il 50 per cento dei casi è sfociato nel fallimento, mentre solo il 14 per cento ha avuto regolare esecuzione. In quest'ultima circostanza, i tempi medi si aggirano attorno ai quattro anni. Anche l'istituto dell'amministrazione controllata si è rivelato uno strumento poco utile al conseguimento dell'obiettivo per il quale era stato concepito, ossia il risanamento delle imprese in crisi: infatti esso sfocia spesso nel concordato preventivo e/o nel fallimento. Indagini campionarie mostrano che, pur essendo la presentazione della domanda di ammissione alla procedura giudicata tempestiva nella maggior parte di casi, il concordato preventivo rappresenta l'esito finale nel 43 per cento dei casi, mentre il fallimento emerge a conclusione della procedura nel 44 per cento dei casi. Questi dati assumono rilievo ancora maggiore se inseriti nel particolare contesto produttivo italiano, caratterizzato dalla rilevanza numerica delle piccole imprese, più esposte ai rischi derivanti da una legge fallimentare inadeguata. Tra le imprese minori il tasso di natalità, ma anche di mortalità, è molto elevato e tale da generare un alto rischio di incorrere nelle procedure concorsuali. Il maggiore grado di indebitamento delle piccole imprese rispetto alle grandi (il rapporto tra debiti e capitale di rischio è pari all'1,9 per le imprese con meno di 15 addetti e allo 0,8 per quelle con oltre 100 addetti) accentua tale rischio e la sua influenza sul comportamento imprenditoriale. L'elevata varianza della struttura industriale per aree geografiche in termini di redditività e produttività rappresenta una ulteriore peculiarità del sistema, che lo espone ai costi di una legge fallimentare non più adeguata. Infine, l'inefficienza delle procedure concorsuali incide negativamente sullo stesso costo del credito per le imprese di più ridotte dimensioni. E' dunque opportuno modificare i meccanismi di risoluzione delle crisi di impresa in modo da consentirne il risanamento, laddove ciò rappresenti la soluzione economicamente conveniente. Occorre altresì dare impulso allo svolgimento delle procedure e contenerne i costi amministrativi. E' infine importante predisporre meccanismi che garantiscano la tutela dei creditori, finalità primaria ed indefettibile delle procedure concorsuali, e incentivino il debitore a rivelare tempestivamente lo stato di dissesto, adoperandosi per la salvaguardia dell'integrità dell'attivo aziendale. Tali finalità possono ricondursi nell'alveo di due obiettivi che, secondo la teoria economica, dovrebbero informare le procedure di gestione delle crisi di impresa: l'efficienza ex post e l'efficienza ex ante. Il primo obiettivo consiste nella massimizzazione del valore dell'impresa in crisi; esso si colloca in un'ottica ex post rispetto allo stato di dissesto e attiene all'efficienza dell'allocazione delle risorse. Il raggiungimento di tale obiettivo è legato all'individuazione del soggetto legittimato a decidere circa il destino (continuazione o liquidazione) dell'impresa assoggettata alla procedura e del soggetto incaricato di gestirla qualora venga decisa la sua continuazione, nonché ai costi e alla durata della procedura medesima. In questo contesto, è opportuno prevedere, soprattutto nell'ambito di meccanismi di ristrutturazione delle passività, il coinvolgimento del debitore, in modo da sfruttare il vantaggio informativo che egli possiede con riferimento alla valutazione della convenienza economica della eventuale continuazione dell'attività; inoltre è necessario disciplinare l'intervento dei creditori in fase di ammissione del debitore alle procedure, ovvero di omologazione di un eventuale piano di risanamento, in modo da garantire flessibilità e rapidità della gestione della crisi, nonché la continuazione dell'impresa se il valore di liquidazione è inferiore a quello che si ottiene mediante la sua conservazione. La continuità aziendale dipende ovviamente anche dalla possibilità dell'impresa di contrarre nuovo debito. Ciò richiede un'adeguata tutela dei crediti sorti nel corso della procedura, pur non potendosi trascurare la predisposizione di meccanismi di controllo atti a prevenire fenomeni di overinvestment, ovvero di aggravamento del dissesto a causa del sorgere di crediti prededucibili. L'obiettivo dell'efficienza ex ante tiene conto del fatto che le disposizioni definite in un'ottica ex post riguardano soggetti - ossia debitore e creditori - operanti prima che lo stato di dissesto divenga palese e ne possono pertanto influenzare i comportamenti. La legislazione in materia di procedure concorsuali, se da un lato può costituire un meccanismo di disciplina del debitore, dall'altro lato, se è particolarmente rigida, può produrre effetti indesiderati per i creditori: ad esempio, amministratori consci delle condizioni di dissesto potrebbero tentare di evitare le sanzioni scommettendo sul destino dell'impresa ed intraprendendo progetti eccessivamente rischiosi, che potrebbero danneggiare tutti i soggetti coinvolti. Sempre in un'ottica ex ante si inquadrano la tutela dei creditori e il rispetto delle regole sull'ordine di priorità di rimborso. L'opportunità di garantire tale tutela attraverso le procedure concorsuali si fonda su due considerazioni. Anzitutto, la salvaguardia dei diritti dei creditori contribuisce al contenimento del costo del debito, nonché all'esercizio della funzione di monitoraggio dell'impresa che la letteratura economica attribuisce ai creditori in generale e alle banche in particolare; in secondo luogo, il rispetto della priorità di rimborso consente di massimizzare il valore dell'impresa insolvente, inducendo i creditori a ricorrere alle procedure concorsuali anziché ad azioni esecutive individuali che potrebbero ridurre il valore dell'attivo. Emerge quindi l'esigenza di un intervento di riforma che, superando le inadeguatezze della vigente disciplina, ancorata a princìpi e valori contrastanti con l'attuale contesto economico, sappia trovare un equilibrio tra gli obiettivi di efficienza ex post ed ex ante delle misure per fare fronte alle crisi d'impresa. Tale intervento è reso tanto più urgente dalla esigenza di rendere il nostro ordinamento competitivo rispetto a quelli degli altri Paesi europei che negli ultimi anni hanno realizzato (Germania, 1994, Belgio, 1998) o avviato (Francia, Gran Bretagna) processi di revisione della disciplina delle procedure concorsuali con la finalità di alleggerirne la valenza afflittiva nei confronti del debitore in crisi, favorendo nel contempo un tempestivo ricorso alle procedure in vista, quando ciò sia possibile, del risanamento dell'impresa. Alla luce di dette considerazioni, la presente proposta di riforma delle procedure concorsuali vuole conseguire le seguenti finalità: a) anticipare, mediante la predisposizione di un vasto ed organico apparato di misure premiali, il ricorso alle procedure concorsuali da parte del debitore in crisi; b) eliminare il carattere afflittivo delle procedure concorsuali, dovendo queste ultime essere viste da un lato come esito sfortunato ma in una certa misura fisiologico dell'agire sul mercato, dall'altro lato come strumenti di gestione dell'insolvenza e della sua risoluzione nell'interesse dei creditori, contemporaneamente realizzando la repressione di comportamenti scorretti ed abusivi; c) consentire l'accesso alle procedure, su sua domanda, anche a colui che non sia imprenditore, proprio per avvalersi dei benefìci che le procedure concorsuali attribuiscono; d) migliorare le tecniche di liquidazione, anche sulla scorta di esperienze già maturate nella prassi giurisprudenziale; e) aumentare la trasparenza della gestione delle procedure; f) accelerare le cadenze delle procedure, correlando ai risultati ottenuti, anche in termini di celerità, il compenso di commissari giudiziali e curatori, che deve essere adeguato in relazione ai complessi compiti da svolgere; g) ridurre il contenzioso mediante una normativa chiara e consapevole dell'impatto economico delle scelte di regolamentazione; h) neutralizzare l'incognita fiscale e previdenziale che attualmente grava sulle procedure concorsuali, mediante la previsione di un obbligo degli uffici di attivarsi per determinare il quantum dovuto dal debitore assoggettato alla procedura; i) coordinare la normativa fiscale con quella delle procedure concorsuali, eliminando le incertezze che attualmente rallentano e rendono più difficile l'operato degli organi delle procedure. Caratteristiche generali dell'intervento. La presente proposta di legge delega prevede due procedure concorsuali: ristrutturazione delle passività e insolvenza. Accanto a queste, come importantissimo complemento, si colloca la disciplina degli accordi stragiudiziali che abbiano lo scopo e l'effetto di consentire all'imprenditore di superare lo stato di crisi. Completano il disegno la disciplina delle procedure concorsuali dei gruppi di imprese e la disciplina sanzionatoria. La procedura di ristrutturazione delle passività, che dovrà avere un campo di applicazione assai più vasto della attuale amministrazione controllata e del concordato preventivo, si limita a dettare una cornice normativa nella quale l'autorità giudiziaria svolge un ruolo di garante della corretta formazione ed esecuzione di un accordo tra il debitore e i suoi creditori. In questa cornice, qualsiasi accordo è ammissibile, purché sia vantaggioso per i creditori rispetto alla alternativa della liquidazione forzata. Il debitore mantiene l'amministrazione del proprio patrimonio, sotto la vigilanza degli organi della procedura, in ragione del fatto che egli possiede le informazioni più idonee a valorizzarlo nell'interesse dei creditori. La procedura di insolvenza si caratterizza rispetto alla precedente per un maggiore intervento dell'autorità giudiziaria. Salvo che intervenga un concordato, proponibile su iniziativa di qualunque interessato, essa conduce alla liquidazione del patrimonio del debitore (non necessariamente alla disgregazione dell'azienda), ossia alla sua riallocazione sul mercato in mano a soggetti più efficienti. Rispetto alla vigente disciplina fallimentare, la nuova procedura presenta rilevanti novità, con riferimento in particolare alla possibilità della conservazione dell'impresa in attività, per un breve periodo di osservazione ed anche successivamente qualora ciò risponda all'esigenza di un migliore realizzo dell'attivo. Si segnala inoltre il miglioramento delle tecniche di liquidazione del patrimonio, la possibilità di ricapitalizzazioni e di conferimenti in società su iniziativa del curatore, la riduzione della revocatoria alle fattispecie che abbiano arrecato un reale pregiudizio ai creditori. La disciplina degli effetti della composizione negoziale della crisi non configura un intervento autoritativo, ma si limita a dare certezza e convenienza ad accordi che abbiano lo scopo e la conseguenza della eliminazione dello stato di crisi. Imprese anche recuperabili, infatti, spesso non vengono salvate a causa dei timori delle revocatorie e delle sanzioni penali che potrebbero scattare nel caso di insuccesso del salvataggio. Una maggiore certezza deriva da una sorta di "sigillo" dell'autorità giudiziaria, concesso su certificazione di un esperto, ad accordi che perseguano il risanamento. La normativa sulle procedure concorsuali che investono imprese di gruppo si propone di adattare la disciplina ordinaria a situazioni di collegamento che esigono da un lato un coordinamento fra le procedure pur nella separatezza dei patrimoni, dall'altro lato una maggiore severità nei confronti di atti che potrebbero configurare depauperamenti e indebiti trasferimenti di ricchezza all'interno del gruppo, con danno dei creditori. Infine la disciplina sanzionatoria si propone di ridurre le caratteristiche di afflittività delle procedure concorsuali, pur nel rispetto dell'interesse alla corretta applicazione delle stesse. Si è così provveduto a escludere la punibilità a titolo di colpa, e si sono meglio precisate le fattispecie penalmente rilevanti. Con l'articolo 1 della proposta di legge si delega il Governo a emanare uno o più decreti legislativi per disciplinare le procedure di ristrutturazione delle passività e di insolvenza ed alcuni effetti della composizione negoziale delle crisi, coordinando le nuove norme con quelle della vigente legge fallimentare non toccate dai criteri di delega; ciò in quanto la legge delega detta specifici criteri solo laddove l'esigenza di riforma è più sentita. Dall'intervento dovrà comunque uscire un testo legislativo completamente nuovo, dotato di caratteristiche di organicità e di completezza. Il coordinamento dovrà realizzarsi anche con le connesse discipline delle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Per quanto concerne la liquidazione coatta amministrativa, se ne limita l'applicazione alle imprese bancarie ed assicurative, alle società di intermediazione mobiliare, alle società di gestione del risparmio, alle società di investimento a capitale variabile nonché alle imprese per le quali, a causa di collegamenti con altre imprese a loro volta soggette a liquidazione coatta, sia ritenuta necessaria la sottrazione alle procedure ordinarie. In questo modo subisce una riduzione l'area dei soggetti per i quali la situazione di crisi economica è assoggettata a discipline amministrative, manifestandosi la preferenza, alla luce del ripensamento complessivo dell'impianto delle norme sulla crisi d'impresa, per una più generale riconduzione di tutte le categorie di imprese alle procedure ordinarie, ferme restando le eventuali discipline speciali di prevenzione e di repressione delle situazioni di crisi, anche derivanti da irregolarità o da violazioni di legge, che possano essere risolte mediante interventi sugli organi societari e non con la liquidazione dell'ente. In questa prospettiva si sono salvaguardate soltanto quelle imprese la cui "specificità" e rilevanza degli interessi coinvolti (risparmiatori ed investitori) suggeriscono più penetranti interventi da parte delle autorità di vigilanza, per la individuazione delle soluzioni, spesso caratterizzate da elevato tecnicismo, in grado di rispondere con più rapidità ed efficienza a tali interessi. Peraltro anche per queste imprese si delinea con crescente evidenza la necessità di una maggiore coerenza, per quanto riguarda la fase della crisi, con la disciplina di diritto comune. Occorrerà pertanto avviare, anche in relazione all'emanazione e al recepimento delle iniziative comunitarie in tema di armonizzazione delle procedure di risanamento e liquidazione delle imprese bancarie, un'opera di complessivo ripensamento della disciplina in materia e di coordinamento con le norme emanate in attuazione dei presenti criteri di delega. Per quanto riguarda infine la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999, mentre sembra indispensabile intervenire sull'attuale configurazione del presupposto soggettivo - che dovrà essere piuttosto ricollegato in modo univoco alla nozione di "grande impresa" anche alla luce della relativa disciplina comunitaria -, non appare opportuno un intervento su una recente riforma (pur sempre limitata ad un'esigua percentuale delle imprese italiane) la cui applicazione pratica non ha ancora offerto risultati definitivi, e quindi non consente ancora una valutazione certa sulla sua efficienza economica. L'articolo 2 contiene i princìpi e criteri direttivi generali che ispirano l'impianto complessivo della riforma. Il comma 1 definisce i canoni di redazione delle nuove norme, facendo riferimento alla chiarezza, alla semplificazione e alla valutazione dell'impatto economico delle scelte di regolamentazione. Si noti che la chiarezza della normativa, quando si affrontano fenomeni complessi come l'insolvenza, la quale si svolge in assenza di qualunque previo "contratto" fra creditori, è un vincolo incompatibile con la brevità: non a caso le normative concorsuali di altri Paesi sviluppati sono dettagliate, proprio perché mirano a prevenire quei conflitti che inevitabilmente sorgono quando invece la normativa è carente. Il comma 2 definisce quale obiettivo fondamentale la migliore soddisfazione dei creditori in termini di importi e di rapidità dei tempi di soluzione delle crisi. Viene omesso il richiamo esplicito ad altri interessi che innegabilmente rilevano, quali ad esempio quelli dei lavoratori, poiché una pluralità di finalità introduce nelle procedure rischi di conflitto tra diversi obiettivi che finiscono con il pregiudicarne il successo. Peraltro (e al di là di retorici, quanto nella prassi inefficaci, richiami), lo spirito stesso di tutta la riforma, volta a salvaguardare nella misura più ampia possibile le possibilità di risanamento dell'impresa e a valorizzare comunque, anche nella ipotesi di liquidazione, il suo patrimonio, è preciso testimone di una reale coerenza della complessiva disciplina con le esigenze di salvaguardia dei livelli occupazionali nelle imprese in crisi, pur senza cedere a logiche meramente assistenzialistiche, del tutto prive di efficacia ed anzi dannose per gli stessi interessi dei lavoratori che vorrebbero tutelare. Alla luce di questo obiettivo di massima, sono elencati i princìpi generali ai quali la riforma si ispira. In base alla lettera a) del citato comma 2 si assoggettano alle procedure concorsuali tutte le categorie di imprenditori, ritenendo che nella logica della riforma non vi sia ragione per conservare le aree di esenzione previste dalla vigente legge fallimentare, che del resto si riferiscono ad imprenditori, quali gli artigiani o gli imprenditori agricoli, le cui caratteristiche sono oggi del tutto diverse da quelle dei loro omologhi del 1942. E' poi la stessa filosofia delle procedure concorsuali che muta completamente: esse intendono oggi porsi come procedure "amiche" dell'imprenditore, che viene aiutato a trovare un accordo con i creditori e quindi a risollevarsi, o ad uscire dal mercato se questo non è possibile, proteggendolo da azioni esecutive multiple certamente non meno gravose. Proprio in questa prospettiva si consente (ma non si impone) anche a chi non è imprenditore di chiedere l'intervento delle procedure: non di rado, ad esempio, in conseguenza di fideiussioni personali a favore di imprese, anche soggetti privati si trovano oberati di una massa debitoria largamente eccedente il loro patrimonio, ed è ragionevole offrire anche ad essi la possibilità di saldare il passivo offrendo quanto è in loro possesso, consentendo loro di rientrare nel ciclo produttivo. L'ampliamento del presupposto soggettivo deve essere letto in coordinamento con la previsione di cui alla successiva lettera h), che consente di semplificare le procedure in ragione della entità del passivo e del limitato numero dei creditori, richiedendo però criteri certi per individuare i parametri che legittimano tale semplificazione. Questa previsione mira a rafforzare la nuova impostazione della riforma, rendendo massimo il beneficio delle procedure concorsuali a fronte di costi ragionevoli, effettivamente commisurati alle funzioni, in ipotesi modeste, da svolgere nel caso concreto. L'ampliamento della platea dei soggetti sottoponibili alle procedure concorsuali produrrà, è vero, un aumento del numero delle procedure stesse, ma ciò a fronte di un attuale massiccio carico per esecuzioni individuali multiple contro soggetti non fallibili, spesso prive di qualsiasi coordinamento e fonte di costi per i creditori e per lo Stato. E' dunque ipotizzabile che l'estensione del presupposto soggettivo avvenga a saldo zero, se non addirittura negativo, per il carico gravante sulla macchina giudiziaria. Alle lettere b) e c) si delega il legislatore ad introdurre criteri che diano maggiori certezze in ordine sia al momento nel quale si acquista o si perde la qualità soggettiva per essere sottoposti alle procedure, sia all'individuazione della competenza territoriale dell'autorità giudiziaria. Se per quanto riguarda il primo profilo si tratta di chiarire la vigente disciplina e di adeguarla alle recenti pronunzie della Corte costituzionale, in rapporto al secondo aspetto occorre riconsiderare il vigente criterio della competenza inderogabile del tribunale nella cui circoscrizione l'imprenditore ha la "sede principale". Poiché non è sempre chiaro quale sia la sede principale (e la giurisprudenza ritiene che, in caso di società, questa non coincida necessariamente con la sede sociale) spesso si creano gravissimi ritardi e conflitti tra tribunali nell'apertura delle procedure concorsuali, con conseguente dispersione del patrimonio del debitore o perdita di azioni revocatorie. Con il criterio di delega si intendono pertanto definire canoni facilmente accertabili per stabilire la competenza territoriale, con riferimento al luogo dove il debitore è stato iscritto nel registro delle imprese più a lungo nel biennio anteriore al deposito della domanda di apertura della procedura. Infine si prevede la attenuazione della rilevanza, pregiudizievole per i creditori, di eventuali conflitti di competenza territoriale, ad esempio attraverso la previsione che le questioni inerenti alla competenza non provochino la nullità del provvedimento che apre la procedura concorsuale. Alla lettera d) si conferma l'attribuzione alla autorità giudiziaria delle funzioni di vigilanza sul debitore e sugli organi della procedura, rivedendo le competenze del giudice delegato secondo criteri che rafforzino la sua posizione di terzietà nell'ambito della procedura stessa. Alla lettera e) si individua il criterio della massima valorizzazione degli organismi produttivi e del patrimonio del debitore attraverso ogni possibile soluzione nell'interesse dei creditori. Di fronte alla rigidità della attuale disciplina, sostanzialmente incentrata sulla liquidazione del patrimonio mediante vendita all'incanto, si configura un più ampio spettro di possibilità (continuazione dell'impresa, ristrutturazione - eventualmente anche mediante ricapitalizzazioni o conversioni di crediti in capitale -, liquidazione anche parziale) che vanno ad inserirsi in una diversa logica di conservazione e di valorizzazione del patrimonio dell' impresa. Alla lettera f) si intende salvaguardare la definitività delle operazioni effettuate nell'ambito dei sistemi di pagamento e la pronta realizzabilità delle garanzie in armonia con i princìpi comunitari, attribuendo inoltre piena efficacia alle clausole di compensazione e di riduzione al saldo netto dei contratti di natura finanziaria. La disposizione trova origine nella esigenza, non trascurabile nel contesto di una sempre più intensa competitività tra ordinamenti, di isolare i mercati finanziari, nella misura più ampia possibile, dagli effetti dell'insolvenza; ciò al fine di offrire ad operatori ed investitori un luogo di contrattazione in cui ogni negoziazione, una volta immessa nel sistema, sia definitivamente efficace, anche in caso di insolvenza. La lettera g) fa riferimento all'importante coordinamento, la cui esigenza è giustamente e fortemente avvertita, con la disciplina societaria, con particolare riguardo alla estensione ai soci illimitatamente responsabili, al funzionamento ed alle competenze degli organi, anche di società di capitali, in pendenza di una procedura concorsuale e alle modalità di funzionamento della organizzazione societaria. Essa si propone altresì di risolvere, in relazione alle diverse possibilità di chiusura delle procedure concorsuali, il problema della sorte della società dopo la fine della procedura, da tempo oggetto di dispute e di soluzioni divergenti e con non lievi problemi operativi. Della lettera h) già si è detto. La lettera i) prevede il coordinamento della normativa fiscale con le disposizioni da emanare in attuazione della presente delega. Il comma 3 dell'articolo 2 indica gli specifici obiettivi ai quali la disciplina dovrà ispirarsi; in particolare: a) aumento della trasparenza nella gestione e nella liquidazione del patrimonio del debitore, utilizzando anche i mezzi telematici per pubblicizzare gli atti e gli organi delle procedure; analoga trasparenza dovrà investire anche gli incarichi connessi all'espletamento delle procedure e i relativi compensi; b) aumento della efficacia della liquidazione, migliorando l'informazione e gli incentivi per gli eventuali interessati all'acquisto, anche attraverso una riduzione degli adempimenti, se del caso prevedendo procedure diverse dalla vendita all'incanto, che è notoriamente distruttiva di ricchezza, se funzionali ad una rapida ed efficiente realizzazione delle finalità della liquidazione. In questo settore alcuni tribunali dell'Italia del nord hanno dimostrato che tecniche di vendita forzata più "amichevoli", accompagnate da una serie di accorgimenti diretti ad incoraggiare la partecipazione di potenziali acquirenti, possono dare risultati inaspettati in termini di tempi e di risultati. La riforma si propone di dare stabilità e certezza a queste (peraltro ancora rare) prassi, incoraggiandole nel critico settore della liquidazione all'interno delle procedure concorsuali; c) riduzione dei tempi per l'esecuzione degli adempimenti connessi alle procedure, con correlazione dei compensi ai risultati ottenuti e previsione di ipotesi di responsabilità per gli organi in caso di danni arrecati dal ritardo; adozione di riti semplificati per la soluzione delle controversie nascenti dallo svolgimento delle procedure concorsuali, rivedendo anche il sistema delle opposizioni e delle impugnazioni per garantire una più rapida e certa tutela dei diritti; riduzione dei termini di prescrizione delle azioni revocatorie ad un anno dal momento in cui esse divengono esperibili ad opera degli organi delle procedure, con applicazione dello stesso termine di prescrizione all'azione revocatoria ordinaria esperita all'interno della procedura (salvo comunque per l'azione revocatoria ordinaria il termine massimo quinquennale a decorrere dalla data dell'atto, se anteriore). Si è infatti ritenuto che, quando sia presente un organo istituzionalmente deputato a tutelare gli interessi dei creditori, la possibilità di un ritardo fino a cinque anni dall'apertura della procedura per la proposizione dell'azione revocatoria (oggi ammesso dalla giurisprudenza) non abbia alcuna giustificazione, e possa essere fonte degli attuali rallentamenti che si intendono eliminare; rafforzamento della autonomia gestionale degli organi della procedura, al fine di realizzare gestioni ispirate a criteri di rapidità ed efficienza, limitando l'obbligo del ricorso alla autorità giudiziaria soltanto agli atti di straordinaria amministrazione. Ciò nell'ottica della massima responsabilizzazione del commissario giudiziale e del curatore, da un lato, e della ottimizzazione delle risorse giudiziarie rispetto alle questioni che effettivamente richiedono l'intervento del giudice, dall'altro lato; previsione del diritto del debitore e degli organi della procedura di ottenere dagli uffici tributari e dagli enti previdenziali, entro il periodo di un anno dalla comunicazione dell'apertura della procedura, la determinazione definitiva dell'ammontare dovuto per capitale, sanzioni ed interessi in relazione ai tributi e contributi i cui presupposti si sono verificati anteriormente all'apertura della procedura concorsuale. La norma vuole favorire una rapida determinazione dei debiti tributari e previdenziali della procedura, al fine di consentire la formazione di un chiaro quadro della esposizione complessiva dell'imprenditore della quale tenere conto nel prefigurare le soluzioni (di risanamento o di liquidazione) ritenute più efficienti; d) anticipazione del momento di apertura delle procedure, al fine di una loro maggiore efficacia, mediante la previsione a favore del debitore di misure premiali consistenti nella dilazione del pagamento di tutti i tributi e contributi previdenziali e nella diminuzione di sanzioni per il mancato pagamento di debiti tributari e contributivi, nonché nella diminuzione della pena per i delitti commessi dal debitore che, dopo la commissione del fatto, volontariamente richieda l'apertura di una procedura concorsuale e si adoperi seriamente per eliminare o ridurre il pregiudizio per i creditori . Attraverso misure che incentivano la tempestività del ricorso alle procedure, si mira a prevenire il ritardo nella denunzia dello stato di crisi, che rende più difficile la soluzione della crisi medesima (il patrimonio rischia infatti di essere disperso in tentativi di soluzione che naufragano per incapacità dell'imprenditore o per la mancanza di coordinamento fra i creditori); e) riconoscimento e valorizzazione dell'autonomia privata nella soluzione delle crisi, agevolando soluzioni adottate con il consenso delle categorie interessate e rimuovendo eventuali ostacoli di carattere legislativo, regolamentare e fiscale a tali soluzioni. La previsione si muove nell'ottica di incentivare soluzioni che trovino fondamento in accordi fra debitore e creditori che spesso si rivelano maggiormente capaci di cogliere la specificità delle singole situazioni e di definire strumenti di intervento su queste modulati. Tali accordi devono dunque ricevere adeguata tutela soprattutto per quanto concerne la certezza degli effetti degli atti compiuti. Fra gli ostacoli che si intendono eliminare spicca il divieto codicistico alla partecipazione a fusioni o scissioni per le società sottoposte a procedure concorsuali ed eventualmente di quelle in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo: l'articolo 1, comma 3, della direttiva 78/855/CEE del Consiglio, del 9 ottobre 1978, in materia di fusioni (essendo applicabile anche alla direttiva 82/891/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1982, in materia di scissioni) consente di non applicare la direttiva medesima "se una o più società in via di incorporazione o di estinzione sono oggetto di una procedura di fallimento, di concordato o di altre procedure affini". Il legislatore nazionale si è avvalso della facoltà concessa dalla normativa comunitaria, ma questa posizione sembra meritevole di ripensamento nel quadro di una radicale riforma delle procedure concorsuali; f) incentivazione dei comportamenti cooperativi del debitore, sia mediante eventuali misure premiali, sia sanzionando (civilmente, mediante la perdita di benefìci, e nei casi più gravi anche penalmente) la violazione dei doveri di buona fede, correttezza e trasparenza. Uno degli elementi su cui l'intero disegno riformatore maggiormente punta è rappresentato dalla collaborazione dell'apparato dello Stato alla soluzione delle crisi. Ciò è da ottenere non mediante un improponibile intervento nel pagamento delle passività delle imprese, bensì mediante l'utilizzo da parte del creditore pubblico, nell'esazione dei propri spesso ingenti crediti, della stessa flessibilità di cui dispone il creditore privato, il quale già conosce per esperienza che talvolta una dilazione o una rinunzia parziale può portare ad un recupero maggiore di quanto possa consentire un'azione di forza. Né questa flessibilità costituisce un aiuto di Stato vietato dall'articolo 87 del Trattato di Roma, istitutivo della Comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam di cui alla legge 16 giugno 1998, n. 209, come chiarito dalle recenti pronunzie della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di procedure concorsuali, dato che essa viene applicata a tutte le imprese in modo non discriminatorio, a prescindere dalla dimensione o dall'attività esercitata. In relazione all'articolo 3 (procedura di ristrutturazione delle passività), rileviamo che è naturale e corretto che l'imprenditore cerchi di affrontare le situazioni di crisi ricercando un accordo con i propri creditori e ricorrendo quindi a soluzioni alternative alla liquidazione forzata del proprio patrimonio. I vantaggi delle soluzioni "contrattate" sono la tendenziale conservazione dei valori, la adattabilità dei contenuti alle caratteristiche dei singoli casi, la flessibilità delle modalità operative attraverso le quali perseguire gli obiettivi individuati. Il ricorso a soluzioni extragiudiziali delle situazioni di crisi appare tuttavia impraticabile in fattispecie caratterizzate, per esempio, dalla frammentazione delle categorie di creditori e di controparti interessate al tentativo di risanamento, in cui l'affidamento del tentativo alla sola iniziativa del debitore espone al rischio di iniziative individuali comportanti l'alterazione della condizione dei creditori, al di fuori di qualsiasi regola idonea a giustificare in qualche misura la previsione di eccezioni al principio della par condicio creditorum. Si è pertanto proposto di disciplinare una procedura, che si sostituisce agli attuali procedimenti di amministrazione controllata e di concordato preventivo, la quale consenta di inserire i tentativi di superamento delle situazioni di crisi di impresa in un contesto caratterizzato da alcuni elementi fondamentali di controllo giudiziale, fissando i requisiti essenziali in presenza dei quali: mettere al riparo l'imprenditore da azioni esecutive individuali, capaci di fare naufragare sul nascere il tentativo di soluzione della crisi anche quando quest'ultimo vada a vantaggio di tutti i creditori; favorire la formazione di un consenso informato dei creditori, valorizzando il principio di maggioranza (qualificata); giustificare l'esonero da "persecuzione" penale e da revocatoria di quei comportamenti ed atti posti in essere coerentemente con un programma di soluzione della crisi condiviso dai titolari degli interessi coinvolti e positivamente valutato dall'autorità giudiziaria; favorire l'afflusso di finanziamenti, se ed in quanto necessari secondo il programma approvato dalle parti interessate, mediante l'attribuzione di una prededucibilità analoga a quella assicurata alle obbligazioni contratte per l'esercizio dell'impresa nel contesto di una gestione che avviene sotto il controllo dell'autorità giudiziaria; consentire l'ideazione di soluzioni modellate sulle specifiche caratteristiche della singola situazione di crisi, sia dal punto di vista tecnico (relativo ai profili di ingegneria giuridica e finanziaria del programma di ristrutturazione), sia dal punto di vista gestionale (relativo alla individuazione dei protagonisti del tentativo di superamento della crisi). Per ciò che concerne quest'ultimo aspetto, la procedura di ristrutturazione delle passività parte dal presupposto che il soggetto al quale affidare il tentativo di superamento della crisi nel corso della procedura di ristrutturazione delle passività debba essere lo stesso debitore, sia pure sotto la vigilanza degli organi della procedura, proprio perché è lui quello che possiede le informazioni più idonee a valorizzare la propria impresa e il proprio patrimonio: ciò senza impedire che lo stesso debitore possa valutare caso per caso se, in quali termini e con riguardo a quali risorse manageriali offrire ai creditori, come motivo di garanzia supplementare della credibilità del programma di ristrutturazione, anche la sostituzione o l'integrazione del management precedente, oppure che a ciò possa provvedere, quando lo giudichi assolutamente necessario, la stessa autorità giudiziaria. In sintesi, la procedura di ristrutturazione delle passività: a) lascia il debitore nel controllo del proprio patrimonio, poiché egli è l'unico che ha informazioni idonee a valorizzarlo; lo assoggetta tuttavia al controllo del commissario giudiziale e dell'autorità giudiziaria; b) mira alla massima soddisfazione per i creditori, comunque conseguita, e dunque alla massimizzazione del valore attuale del patrimonio, senza dettare vincoli sulle modalità del raggiungimento dell'obbiettivo, rendendo quindi lecite sia la continuazione dell'attività sia la sua cessazione, come pure la dismissione parziale o totale dell'azienda; c) fornisce un forte incentivo al debitore, il quale con questa procedura non ha concorrenza in quanto i creditori possono accettare o rigettare il piano (provocando l'apertura della procedura di insolvenza), ma non modificarlo; d) suddivide i creditori per classi, con possibilità di soddisfacimento differenziato (ad esempio mediante l'attribuzione di obbligazioni o azioni, mediante dilazioni maggiori, o minori somme, ai creditori finanziari, eccetera); e) prevede l'approvazione del piano per classi, con approvazione forzata (sul modello del cosiddetto "cram down" statunitense o dell'Obstruktionsverbot tedesco) in caso di ostruzionismo di una classe; f) consente di sciogliere i contratti pendenti se la loro prosecuzione sia contraria all'interesse dei creditori. E' importante segnalare prima di tutto uno strumento di flessibilità consistente nella possibilità del debitore di portare davanti all'autorità giudiziaria un accordo "preconfezionato" con i propri creditori. L'articolo 3, comma 1, lettera l), prevede un iter semplificato per le ipotesi nelle quali la ristrutturazione delle passività interessi solamente una parte circoscritta, in senso soggettivo, delle obbligazioni (per esempio le sole obbligazioni verso le banche), ed il consenso della maggioranza della classe dei creditori relativi sia già stato formalmente conseguito con modalità atte a garantire la completezza e la trasparenza informativa nei confronti di ogni interessato. Si tratta di previsione di grandissima rilevanza, modellata sulla cosiddetta "pre-packaged bankruptcy" conosciuta dalla prassi statunitense, che consente di disporre di uno strumento a metà strada fra la ristrutturazione delle passività e l'accordo di composizione negoziale delle crisi di cui all'articolo 5 della presente proposta di legge. Il debitore può infatti privatamente negoziare una ristrutturazione con una classe soltanto dei creditori, e l'accordo raggiunto con la maggioranza di questi viene reso efficace per tutti i creditori della classe mediante un ricorso all'autorità giudiziaria; ciò in tempi che possono anche essere brevissimi, trattandosi di consultare un numero ridotto di creditori sulla base di elementi che sono stati già forniti prima dell'apertura della procedura. Circa i presupposti soggettivi, alla procedura di ristrutturazione delle passività può accedere qualsiasi impresa, a prescindere dalla tipologia dell'attività esercitata e dalle dimensioni. In questa prospettiva, anche le imprese soggette alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999 possono essere ammesse a presentare piani di ristrutturazione del loro indebitamento. E' parso peraltro opportuno non estendere l'ambito di applicazione alle imprese dei settori assicurativo, bancario e finanziario. La ragione risiede essenzialmente nella circostanza che per tali imprese i rispettivi ordinamenti di settore prevedono già una disciplina organica delle situazioni di "crisi", sulle quali non è pertanto necessario intervenire. Per le società fiduciarie disciplinate dalla legge n. 1966 del 1939 e dalle disposizioni integrative successive sussiste in parte la stessa ragione, in parte la ragione connessa al progetto di riforma in corso di esame, nell'ambito del quale potrà più opportunamente essere affrontato anche questo tema. Alla procedura possono infine accedere i debitori non imprenditori, allorché intendano conseguire il beneficio della liberazione dai debiti che consegue all'accordo con i creditori. Infatti, benché ideata con lo sguardo principalmente rivolto alla soluzione di crisi di impresa, la procedura di ristrutturazione delle passività si presenta come una soluzione praticabile per qualsiasi situazione di sovraindebitamento, purché ovviamente di una qualche minima consistenza: ciò sia perché l'esigenza di una sistemazione, dai contenuti adattabili ai singoli casi di specie, può concernere soggetti anche diversi dall'imprenditore; sia perché la sistemazione delle situazioni di sovraindebitamento di singole persone fisiche può rappresentare un presupposto indispensabile per la sistemazione della corrispondente situazione di crisi di imprese variamente collegate, come accade nelle ipotesi di presenza di fideiussori o di soci illimitatamente responsabili. Il presupposto oggettivo della procedura di ristrutturazione delle passività è costituito sia dalla temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, sia dallo stato d'insolvenza attuale o imminente. Si tratta di una scelta che volutamente amplifica al massimo le possibilità di ricorso del debitore alla procedura. Infatti, se da un lato ciò deve essere consentito in situazioni di semplice difficoltà di adempiere (cosa che sarebbe auspicabile nell'ottica dell'anticipazione che tutta la presente proposta di legge persegue), dall'altro lato si è ritenuto di non precluderlo anche all'imprenditore che si trovi in stato di vera e propria insolvenza. Infatti: a) l'esistenza dello stato di insolvenza nulla dice di definitivo circa il valore dell'impresa, la quale può essere sovraindebitata ma comunque produttiva di ricchezza o in ogni caso risanabile; in sintesi: essa può avere necessità di una nuova struttura finanziaria, e dunque, appunto di una "ristrutturazione delle passività"; b) la collaborazione del debitore, grazie al patrimonio informativo di cui è in possesso, è comunque utile alla massima soddisfazione dei creditori anche quando la soluzione sia meramente liquidativa; c) l'ammissione anche dell'imprenditore insolvente alla procedura di ristrutturazione delle passività consente di demandare alla procedura di insolvenza una funzione prevalentemente liquidativa, conseguendo così una netta distinzione di funzioni, che implica anche maggiore celerità, fra le due procedure, evitando così di dover esperire, nella procedura di insolvenza, tentativi di risanamento che sono del tutto velleitari se effettuati in condizione di spossessamento del debitore; d) è inevitabile prendere atto del fatto che l'imprenditore si rende conto delle difficoltà in ritardo, quando spesso la situazione è già di insolvenza; chiudere le porte alla sua collaborazione sarebbe inutilmente afflittivo e, soprattutto, dannoso per i creditori. Nella procedura di ristrutturazione delle passività l'autorità giudiziaria si limita a svolgere il ruolo di garante della corretta formazione ed esecuzione di un accordo fra il debitore e i creditori. Qualsiasi accordo è dunque ammissibile, purché sia vantaggioso per i creditori rispetto all'alternativa della liquidazione forzata del patrimonio. E' così prevista la possibilità di attribuzione di azioni, quote, obbligazioni ed altri strumenti finanziari ai creditori, nonché la possibilità di pagamenti integrali o in percentuale, di riorganizzazioni aziendali e dismissioni. E' prevista la libertà nella determinazione dei tassi d'interesse sulle passività ristrutturate (importante anche in considerazione del fatto che la sospensione degli interessi non è automatica) e delle scadenze di pagamento del piano. Un fondamentale ruolo a questo riguardo saranno chiamati a svolgere i professionisti esperti di consulenza alle imprese. Ai fini della procedura: a) i creditori che hanno iscritto ipoteca giudiziale sui beni del debitore nei sei mesi precedenti la domanda vengono equiparati ai creditori chirografari: ciò da un lato perché è noto che l'esistenza di ipoteche giudiziali ostacola, per una serie di ragioni, i tentativi di composizione delle crisi su base (anche) negoziale, e dall'altro lato perché in una situazione di concorsualità l'iscrizione di un'ipoteca giudiziale, se pure giustifica un diritto di seguito del bene nei confronti dei successivi acquirenti, non giustifica il sacrificio degli altri creditori nell'ottica di una soluzione che deve mirare all'interesse collettivo; b) le cause legittime di prelazione, anche in caso di mancata liquidazione dei beni sui quali insistono, operano nei limiti entro i quali le pretese relative avrebbero ricevuto collocazione preferenziale sul ricavato in caso di vendita. L'obiettivo è di escludere la necessità di considerare "privilegiati" crediti che si presentino tali solo sotto un profilo nominale, senza risultare effettivamente capienti in prospettiva liquidatoria, favorendo l'adozione di soluzioni che, pur non contemplando la vendita dei beni, vadano a vantaggio di tutti i creditori. La legittimazione a chiedere l'apertura della procedura è attribuita al solo debitore interessato. Per le imprese organizzate in forma societaria si è ritenuto opportuno prevedere la competenza dell'organo amministrativo, in luogo della più complessa competenza dell'organo assembleare, ma con salvezza delle eventuali previsioni in senso contrario dello statuto. Si è altresì ritenuto di consentire all'organo di controllo di provocare una determinazione dell'organo amministrativo circa l'opportunità di richiedere l'ammissione all'apertura, nell'ottica di una valorizzazione del ruolo dell'organo di controllo, pur nel rispetto della separazione dei ruoli. Gli effetti della procedura si producono dal momento del deposito della domanda relativa. Essi ricalcano gli attuali effetti dell'apertura delle procedure concorsuali, per ciò che concerne l'inefficacia degli atti variamente diretti ad alterare la situazione dei creditori anteriori. In particolare sono previsti: a) la conservazione della gestione del patrimonio, ivi incluso l'eventuale esercizio dell'impresa, in capo al debitore, in coerenza con i criteri di realizzazione del piano e sotto la vigilanza del commissario giudiziale e del giudice delegato, salva la possibilità che l'autorità giudiziaria sostituisca anche parzialmente il debitore quando sussistano gravi motivi, o ne limiti in modo specifico i poteri; b) il divieto di azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore; c) l'inefficacia degli atti diretti a conseguire o fare conseguire diritti di prelazione sullo stesso patrimonio, salva espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria; d) l'inefficacia delle formalità necessarie a rendere opponibili gli atti ai terzi, salva sempre espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria; e) la continuazione in linea di principio dei rapporti giuridici in corso, ma in un contesto nel quale viene affermata la facoltà degli organi della procedura di provocarne lo scioglimento, ove ciò si riveli conveniente per i creditori; f) l'inapplicabilità delle disposizioni sugli effetti della riduzione del capitale sociale. Non è prevista la sospensione automatica degli interessi, che, in ossequio alla natura non interventista della proposta di legge sul contenuto dell'accordo, è rimessa alla trattativa fra debitore e creditori, rientrando a pieno titolo nel piano di ristrutturazione delle passività. L'ammissione alla procedura di ristrutturazione delle passività dovrà avvenire sulla base di una valutazione che ne escluda il carattere manifestamente inattuabile o lo scopo esclusivamente dilatorio. Ai fini di garantire la serietà del piano e l'attendibilità dei dati e delle valutazioni sui quali sono impostate le soluzioni di volta in volta proposte ai creditori, si richiede che la domanda del debitore sia accompagnata dalla relazione di un esperto, scelto all'interno di categorie caratterizzate da una professionalità specifica, che potrà essere chiamato a rendere conto del suo operato, oltre che nell'ambito della generale responsabilità professionale, in particolare nelle ipotesi in cui si pervenga all'annullamento dell'accordo nei casi di comportamento fraudolento del debitore. La procedura si svolgerà sotto il controllo di un giudice delegato e di un commissario giudiziale professionalmente qualificato, il quale dovrà predisporre una relazione articolata in merito alla realizzabilità del piano. Il voto dei creditori sarà manifestato nel corso di una apposita adunanza davanti all'autorità giudiziaria. Si è ritenuto che il commissario giudiziale debba essere scelto fra gli iscritti agli albi professionali degli avvocati, dei dottori commercialisti o dei ragionieri, a garanzia della serietà e della tendenziale indipendenza nell'esecuzione dell'incarico. Non è esclusa in linea di principio la nomina di società professionali, a condizione che la normativa in vigore ne consenta l'iscrizione ai relativi albi professionali. Tenuto conto del carattere non pienamente soddisfacente dell'attuale disciplina dell'accertamento dei crediti e delle altre pretese dei creditori nell'ambito delle procedure concorsuali minori, si è previsto che l'accertamento del passivo avvenga ad opera degli organi della procedura e d'ufficio, con effetti e forme di impugnativa analoghi a quelli previsti per la corrispondente attività nell'ambito della procedura di insolvenza. La formazione del consenso dei creditori è agevolata dalla loro suddivisione in classi caratterizzate da interessi omogenei, all'interno di ciascuna delle quali il consenso sarà perseguito attraverso i generali princìpi di maggioranza, e per le quali potranno essere previsti trattamenti anche diversi. Se è vero che la necessità di raccogliere il consenso di più classi può apparentemente rendere più difficile il raggiungimento dell'accordo, è altresì vero che l'accordo è più agevole laddove ad ogni tipologia di creditore venga offerto ciò che più risponde ai suoi specifici interessi (si pensi alla differenza fra creditori commerciali e creditori finanziari). Al fine di favorire la ordinata ed efficiente formazione della volontà dei creditori si prevede inoltre l'introduzione di una presunzione di assenso per chi non esprime dissenso (oggi prevista per il voto sulla proposta di concordato fallimentare dall'articolo 128 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di seguito denominato "legge fallimentare"), nonché una legittimazione speciale dei titolari degli uffici finanziari e previdenziali ad esprimere il voto sul piano di ristrutturazione, con l'eventuale conseguente effetto dilatorio o remissorio sui debiti per tributi, contributi, sanzioni ed interessi. Eventuali comportamenti di free-riding di una classe di creditori, la quale si astenga dall'approvare il piano pur non essendo pregiudicata dall'alternativa della liquidazione forzata del patrimonio, non devono impedire una soluzione che vada a beneficio di tutti i creditori. E' infatti prevista la possibilità per il giudice di superare la mancata approvazione del piano da parte di una o più classi di creditori, allorquando la maggioranza delle classi di creditori lo abbia approvato e la classe o le classi dissenzienti non ne ricevano pregiudizio. L'omologazione del piano di ristrutturazione postula esclusivamente la verifica della regolarità del procedimento e l'accertamento del raggiungimento dell'accordo con i creditori nei modi prefigurati dal piano. E' invece esclusa qualsiasi valutazione di convenienza della procedura, lasciata al giudizio delle controparti del debitore. Viene espressamente precisata l'esecutorietà della sentenza di omologa, al fine di circoscrivere al solo risarcimento del danno gli effetti della eventuale riforma della sentenza. Per prevenire l'utilizzo strumentale e dilatorio della procedura, si è previsto che per l'approvazione del piano di ristrutturazione e per l'adempimento degli impegni da parte del debitore siano previsti dei termini massimi fissati a priori, la cui scadenza comporta l'apertura della procedura di insolvenza. Si noti che l'esecuzione degli impegni assunti con il piano non coincide necessariamente con l'adempimento delle obbligazioni ristrutturate: mentre per i primi infatti è necessaria una rigidità a garanzia dei creditori (si pensi alla prestazione di garanzie reali o personali, alla costituzione di depositi vincolati, all'emissione di azioni o di obbligazioni a favore di particolari categorie di creditori), per l'adempimento delle obbligazioni non è opportuno prevedere termini massimi, che i creditori devono essere liberi di negoziare con il debitore. Ad esempio, per i creditori finanziari, a differenza dei creditori commerciali, possono essere del tutto accettabili tempi lunghi di pagamento delle obbligazioni ristrutturate (anche di alcuni anni), nella misura in cui vi siano sufficienti garanzie dell'adempimento. In ossequio al rispetto dell'autonomia privata nella soluzione delle crisi, si è dunque ritenuto di rimettere anche questo aspetto all'accordo fra debitore e creditori. L'esecuzione del piano è affidata, in linea di principio, allo stesso debitore. Ciò non esclude che il debitore conferisca incarichi specifici a terzi, anche come ulteriore forma di tutela dei creditori; mentre all'autorità giudiziaria rimane comunque sempre riservata la possibilità di designare un sostituto degli organi amministrativi. Le modalità di esecuzione sono vincolanti per tutti i creditori anteriori all'apertura della procedura, mentre le obbligazioni originarie non vincolano più il debitore. Rimangono invece vincolati i coobbligati ed i fideiussori, salva la possibilità che il piano di ristrutturazione preveda la liberazione anche di costoro, nel qual caso di ciò dovrà essere tenuto conto nella fase di suddivisione dei creditori in classi omogenee. Oltre che per l'effetto, fisiologico, dell'esecuzione del piano, la procedura può cessare per una serie di cause, quali la mancata ammissione da parte dell'autorità giudiziaria, la scadenza del termine per l'approvazione del piano o la sua mancata approvazione, la mancata omologazione dell'accordo tra debitore e creditori, la mancata esecuzione degli impegni assunti dal debitore. In tutte queste ipotesi gli effetti o non si producono o vengono meno, con salvezza comunque degli atti posti in essere coerentemente con la disciplina della procedura, in relazione alla fase nella quale è intervenuta la cessazione; ciò in quanto l'avvio e la trattativa relativa al programma di ristrutturazione devono essere seri, ed è dunque conseguente che l'eventuale insuccesso del tentativo non possa rimettere in discussione gli effetti che medio tempore si sono prodotti. La cessazione anticipata della procedura, dimostrando da un lato l'incapacità di adempiere del debitore e dall'altro lato la sua incapacità di trovare un accordo con i propri creditori, dovrà comportare di regola la dichiarazione di insolvenza e l'apertura del relativo procedimento disciplinato dal successivo articolo 4, salvo il caso in cui la procedura sia stata iniziata da un privato non imprenditore, il quale può essere assoggettato ad insolvenza solo su sua domanda. E' invece escluso un nuovo accertamento della sussistenza del presupposto oggettivo, ritenuto superfluo per il fatto stesso che il debitore non è riuscito a portare a buon fine la ristrutturazione delle passività. E' vero che questo automatismo fra cessazione della procedura di ristrutturazione ed apertura della procedura di insolvenza potrebbe costituire un disincentivo per il debitore ad adire l'autorità giudiziaria, ma si è d'altra parte ritenuto che esso costituisca anche una irrinunciabile garanzia della serietà del tentativo e del massimo impegno a negoziare correttamente con i creditori l'accordo di ristrutturazione. La risoluzione dell'accordo è prevista per la sola ipotesi di inadempimento da parte del debitore agli obblighi assunti con lo stesso (ad esempio, mancata prestazione di garanzie o costituzione di depositi), e l'annullamento è condizionato alla scoperta di comportamenti fraudolenti del debitore, per la migliore valutazione dei quali è richiesta la predisposizione di una specifica relazione da parte dell'esperto che ha provvisto a certificare i dati e le informazioni posti alla base del piano. Viene previsto che i relativi procedimenti debbano essere avviati entro termini brevi di decadenza rispetto alla verificazione od alla scoperta della causa di risoluzione o di annullamento, e che dell'apertura della relativa istruttoria debba essere disposta adeguata pubblicità. Ciò al fine di consentire ai terzi interessati di valutare opportunamente se continuare ad intrattenere relazioni con il debitore, essendosi ritenuto necessario limitare la salvezza degli atti legittimamente compiuti nel corso della procedura al momento in cui sia resa nota l'assunzione di iniziative tese a provocarne la risoluzione o l'annullamento. Per le ipotesi di apertura della procedura di insolvenza in conseguenza della cessazione della procedura di ristrutturazione, il periodo rilevante al fine di assoggettare ad azione revocatoria fallimentare gli atti di disposizione del debitore o posti in essere nei confronti dei suoi beni deve essere individuato con riguardo all'apertura della prima procedura, con esclusione del caso di cessazione della stessa per risoluzione. In tale modo si è preso atto dell'attuale orientamento giurisprudenziale in materia di proponibilità dell'azione revocatoria nelle ipotesi di "consecuzione" di procedure concorsuali, che priva di effetti, ai fini del "consolidamento" degli atti potenzialmente revocabili, il periodo di durata dei tentativi di superamento o di sistemazione della crisi affidati alle procedure concorsuali minori, con l'eccezione peraltro delle situazioni nelle quali la cessazione della procedura di ristrutturazione non sia dipesa dalla inadeguatezza originale del piano o dalla mancata approvazione da parte dei creditori o dall'accertamento della mancanza di requisiti necessari per la sua omologabilità, bensì dalla sopravvenienza di cause imprevedibili che hanno impedito di portare ad esecuzione la ristrutturazione prospettata ed originariamente approvata. Tale soluzione pare opportuna al fine di conferire certezza giuridica agli effetti dei rapporti giuridici posti in essere dal debitore nel periodo anteriore all'apertura della procedura di ristrutturazione e già suscettibili di essere considerati dai terzi come temporalmente estranei all'ambito di applicazione di eventuali azioni revocatorie fallimentari. Sempre per le ipotesi di apertura della procedura di insolvenza in conseguenza della cessazione della procedura di ristrutturazione, si disciplinano taluni degli altri effetti che la giurisprudenza riconnette al fenomeno cosiddetto della "consecuzione" di procedure concorsuali, disponendo che le obbligazioni sorte per atti legittimamente posti in essere durante la prima procedura ricevano, nell'ambito della seconda, una collocazione analoga a quella attribuita alle obbligazioni assunte per l'amministrazione della procedura di insolvenza, e che i crediti fruttiferi producano interessi sino alla data di apertura di quest'ultima. Allorquando il debitore non abbia ritenuto di ricorrere alla procedura di ristrutturazione delle passività o quando il tentativo di ristrutturare le passività non abbia avuto buon esito, si apre la procedura di insolvenza. La procedura di insolvenza di cui all'articolo 4 si caratterizza per una finalità essenzialmente liquidativa, nel senso che - salvo eccezioni e salva la possibilità di un concordato - il patrimonio dell'insolvente viene riallocato sul mercato, destinando il ricavato alla soddisfazione dei creditori. Ciò non implica la necessaria distruzione dei valori dell'impresa, che invece deve essere recuperata quando ciò risponda all'interesse dei creditori: implica soltanto la tendenziale separazione delle sorti del debitore da quelle del suo patrimonio, che è pienamente giustificata dall'ampiezza degli strumenti a disposizione del debitore per trovare preventivamente un accordo mediante la procedura di ristrutturazione delle passività. Dato che, con tale procedura "amica", il debitore è ammesso a proporre un accordo avente qualsiasi contenuto, se non gli è riuscito di trovare un accordo o non ha voluto esperire questo tentativo quando aveva la titolarità dell'iniziativa, è chiaro che la parola deve passare ai creditori, i quali hanno diritto ad essere soddisfatti sul ricavato dalla vendita del patrimonio. Si è così ritenuto, pur evitando qualunque carattere sanzionatorio della procedura di insolvenza, di conseguire un giusto equilibrio fra incentivi al debitore e rigore nella tutela dei creditori. Le differenze fra la proposta procedura di insolvenza e quella attuale di fallimento, pur aprendosi entrambe in mancanza di diverse iniziative del debitore, sono invero notevoli. La nuova procedura mira infatti a salvaguardare i valori del patrimonio, e in primo luogo - quando ciò sia possibile e vantaggioso per i creditori - il valore d'avviamento. E' infatti vista come automatica, salva diversa determinazione del tribunale, la continuazione dell'attività d'impresa per un breve periodo d'osservazione, a meno che tale attività fosse già cessata alla data dell'apertura, nel quale caso non può essere chiesto ai creditori di pagare il costo della ripresa. Decorso tale periodo, durante il quale verranno acquisite le necessarie informazioni, l'impresa continua se ciò sia funzionale al migliore realizzo dell'attivo, in vista della cessione del complesso aziendale. Importante novità è che il curatore, che raramente è provvisto della necessaria competenza tecnica, può avvalersi di ausiliari con capacità manageriali. Altre significative innovazioni sono le seguenti: a) la liquidazione viene notevolmente potenziata sia nei tempi, dato che si ammettono vendite o comunque dismissioni anche immediatamente dopo l'apertura della procedura, sia negli strumenti, dato che si consentono operazioni di finanza straordinaria quali conferimenti in società di nuova costituzione (previa valutazione che ciò sia conveniente per i creditori), fusioni, scissioni, eccetera; sono ammissibili anche offerte di acquisto dell'attivo e del passivo in blocco; b) la riduzione delle revocatorie ai soli atti anormali, con periodo sospetto ridotto; il potenziamento delle revocatorie per atti "preferenziali" e per atti che si configurino in generale come appropriazione dei valori dell'azienda; c) la possibilità di chiusura con un concordato fallimentare potenziato, che può essere proposto, oltre che dal debitore, anche dal curatore e da singoli creditori o terzi; d) la liberazione dai debiti non soddisfatti concessa al debitore-persona fisica che onestamente coopera al migliore soddisfacimento dei creditori. Il presupposto oggettivo è costituito dallo stato di insolvenza, così come attualmente individuato dall'articolo 5 della legge fallimentare. Allorché l'apertura della procedura sia, come auspicabile, richiesta dal debitore, è ammessa anche una valutazione prospettica di "insolvenza imminente" che solo questi può avere, non essendo ammissibile che terzi presentino istanze, di per sé pericolose per l'imprenditore, basate su mere congetture. Poiché una disciplina organica e conforme ai princìpi costituzionali è già contenuta nel decreto legislativo n. 270 del 1999 sull'amministrazione straordinaria, si è ritenuto di indicarla al legislatore delegato come modello da seguire, sia pure con opportuni adattamenti. Il giudizio d'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento si svolge attualmente nelle forme del giudizio ordinario. Questo, se dà in astratto maggiori garanzie, fa sì che l'eventuale revoca giunga a molti anni di distanza dalla sentenza dichiarativa di fallimento, che tuttavia necessariamente deve essere provvisoriamente esecutiva Si è dunque reputato opportuno che il legislatore delegato preveda per il giudizio d'opposizione alla sentenza che dichiara lo stato di insolvenza un rito per quanto possibile celere, nel rispetto delle garanzie costituzionali. Inoltre è previsto che il legislatore delegato affronti e risolva il delicato problema delle spese della procedura in caso di accoglimento dell'opposizione, la cui disciplina è oggi affidata ad una norma già in origine carente, e successivamente amputata da una sentenza della Corte costituzionale, con l'effetto di dare luogo a prassi di dubbia correttezza ed a gravi problemi per il debitore che risulti essere stato ingiustamente assoggettato a procedura concorsuale. Rispetto all'attuale impostazione della legge fallimentare, la disciplina degli organi della procedura diviene più funzionale ad esigenze di celerità. Le novità sono costituite dalla costante attenzione alle effettive possibilità di realizzo derivanti dalle azioni giudiziarie da intraprendere, così che la procedura concorsuale cessi di essere, come talvolta oggi, il luogo del trionfo del diritto astratto, per divenire una tecnica di massima soddisfazione dei creditori. E' così previsto che il giudice delegato, nell'autorizzare le azioni relative al recupero dei crediti e le azioni revocatorie, valuti espressamente la convenienza per la procedura anche in relazione alle possibilità di soddisfacimento sul patrimonio del presunto debitore ed al ritardo che la pendenza del giudizio comporta per la chiusura della procedura di insolvenza, avuto riguardo all'interesse dei creditori e del debitore. Viene inoltre accentuata l'autonomia del curatore, il quale ha la capacità di compiere autonomamente, senza previa autorizzazione del giudice delegato o del tribunale, le operazioni di prelievo e le alienazioni di valore non superiore a 10.000 euro, fatta salva la possibilità per il tribunale, con la sentenza che apre la procedura ovvero con successivo provvedimento, di stabilire un diverso valore. Importante è anche l'attribuzione al curatore del potere di compiere operazioni societarie di carattere straordinario, con l'autorizzazione degli organi della procedura in luogo di quella dei soci. L'obiettivo è quello di consentire al curatore di essere il motore, non di avventurosi salvataggi, ma di efficaci soluzioni della crisi nell'interesse dei creditori. Gli effetti per le parti si caratterizzano per un'eliminazione degli ormai antiquati residui afflittivi a carico del debitore e per una generalizzazione del divieto di azioni esecutive individuali anche speciali, giustificata dalla rinnovata impostazione mirante ad una soddisfazione rapida e per quanto possibile generale dei creditori. Completano il disegno una disciplina organica della sospensione e della limitazione degli interessi e dell'estensione della prelazione agli interessi, oggi risultante da un coacervo di non sempre coerenti sentenze della Cassazione e di pronunzie della Corte costituzionale, e una disciplina della compensazione, che si intende estendere secondo i recenti indirizzi giurisprudenziali (con l'aggiunta della compensabilità del credito di rivalsa del fideiussore e di quello eventuale del coobbligato in solido, che divengono compensabili anche se l'escussione avviene dopo l'apertura della procedura), pur con la previsione di limiti contro i frequentissimi abusi a danno dei creditori oggi non impediti dall'articolo 56, secondo comma, della legge fallimentare. E' noto che l'azione revocatoria, come attualmente concepita dalla legge fallimentare e come applicata dalla costante giurisprudenza, si caratterizza per la notevole lunghezza del periodo in cui atti del tutto normali come il pagamento di debiti scaduti possono essere revocati in caso di successivo fallimento e per la scarsa chiarezza circa i presupposti di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo. Ciò produce gravi incertezze. Obiettivo della riforma è quello di ridurre tali margini di incertezza, chiarendo inoltre i presupposti oggettivi e soggettivi per la revoca. L'opzione prescelta è quella di una riconduzione della revocatoria, anche quando sia svolta all'interno di procedure concorsuali, alla sua originaria funzione di mezzo di eliminazione di un danno subìto dai creditori. Ciò avviene in consapevole difformità rispetto a diverse e pur affascinanti tesi, che hanno esercitato grande influenza sulla prassi applicativa. Se infatti è innegabile che una vasta applicazione dello strumento revocatorio anche a prescindere dall'estremo del pregiudizio arrecato ai creditori può spingere il debitore, incapace di reperire controparti con le quali continuare ad operare, verso le procedure concorsuali, è altresì vero che ciò avviene a prezzo di gravi incertezze e di costi derivanti da azioni con le quali si mira a rimettere in discussione atti del tutto normali, sul solo evanescente presupposto, quasi sempre meramente indiziario e ricostruito ex post, che la controparte conosceva lo stato di insolvenza del debitore. E' così che, negli anni più recenti, l'istituto della revocatoria degli atti normali ha vissuto un fenomeno di ipertrofia, senza - occorre dirlo - reali benefìci in termini di risultati per i creditori, come testimoniato dalle statistiche giudiziarie. Ciò vale anche per la revoca delle garanzie per debiti contestualmente creati (che costituiscono il "corrispettivo" del finanziamento concesso) e dei pagamenti liquidi ed esigibili eseguiti dal debitore insolvente, oggi revocabili ai sensi dell'articolo 67, secondo comma, della legge fallimentare. Se infatti lo scopo dell'istituto è quello nobile del ripristino della par condicio creditorum, l'effetto concreto è stato quello di creare una vischiosità attorno al debitore, i cui creditori - soprattutto bancari - si astengono dall'esigere i crediti per timore della revocatoria dei pagamenti ricevuti e ancora da ricevere. E' così che a vantaggio del debitore insolvente, con effetto diametralmente opposto allo scopo che si intendeva perseguire, si crea un "credito artificiale" che gli consente di sopravvivere, aggravando il dissesto. Appare invece corretto, proprio nell'ottica dell'indurre un'anticipata e tempestiva apertura delle procedure concorsuali, consentire ai creditori di esigere e trattenere il pagamento, ed obbligare il debitore a chiedere la protezione della procedura concorsuale contro i creditori più aggressivi. Né può dirsi che così facendo si favoriscono i creditori finanziari, ed in particolare le banche, e si preclude il loro coinvolgimento nella soluzione della crisi: tale coinvolgimento deve avvenire nella sede opportuna di un'azione coordinata, e non agitando la minaccia di revocatorie strumentali. L'esenzione da revocatoria cessa allorché il creditore ed il debitore si accordino per violare la par condicio, in quanto è sottinteso che in tale caso entrambi hanno informazioni sufficienti per comprendere la necessità di attivare una procedura concorsuale, ma si astengono dal farlo per trarre un beneficio personale e sottrarsi alla legge del concorso. Completano il disegno un chiarimento dell'ambito della revocatoria contro atti "anormali", l'inefficacia ex lege delle ipoteche giudiziali iscritte nei sei mesi anteriori all'apertura della procedura (in coerenza con la scelta effettuata per la procedura di ristrutturazione delle passività) ed un aggravamento della revocatoria nei confronti di atti che si configurino come appropriazione dei valori dell'azienda, quali l'affitto dell'azienda stessa o di un ramo di essa, la licenza di brevetto o di altri beni immateriali, la cessione di beni aziendali dissimulata al fine di eludere l'applicabilità del secondo comma dell'articolo 2560 del codice civile. Si tratta di immeritevoli quanto purtroppo frequenti manovre in danno dei creditori, contro le quali il curatore ha spesso le armi spuntate. La riforma mira ad introdurre una facoltà generale degli organi della procedura di sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione, nonché discipline più organiche, oggi desumibili solo da "frammenti" della legge fallimentare, dello scioglimento dei contratti in corso d'esecuzione, della sospensione e della prosecuzione della loro esecuzione, con possibilità di interventi differenziati per l'ipotesi in cui sia disposta la continuazione dell'attività d'impresa. E' infine possibile una generalizzazione del privilegio di cui all'articolo 72, quinto comma, della legge fallimentare, in materia di contratto preliminare di compravendita, a tutte le ipotesi di scioglimento di contratti preliminari che presentino identità di ragioni; ciò per evitare disparità di trattamento che, ancorché consentite dalla disciplina vigente (quale lo scioglimento del contratto motivato unicamente dalla considerazione che il contraente in bonis ha interamente eseguito la prestazione), creano allarme sociale e inducono talvolta soluzioni di dubbia legittimità. La disciplina dell'accertamento del passivo gravante su un debitore assoggettato a procedura concorsuale riveste un rilevante interesse sistematico, giacché, pur essendo oggi dettata nell'ambito del procedimento di fallimento, viene poi resa applicabile, attraverso sistematici rinvii, in misura maggiore o minore, anche alle corrispondenti fasi delle procedure concorsuali liquidative diverse. Trattasi di una disciplina molto articolata e tendenzialmente conchiusa in sé. La presente proposta di legge implica il mantenimento della sua struttura, con l'introduzione di una serie di integrazioni e correttivi rivolti per lo più a recepire gli effetti dei numerosi interventi succedutisi negli anni ad opera della Corte costituzionale o a superare i più gravi contrasti dottrinali e giurisprudenziali radicatisi sulla soluzione di singoli problemi interpretativi, adottando le soluzioni che sono sembrate di volta in volta più coerenti con gli obiettivi di economicità e di semplificazione. In questa prospettiva: a) si precisa che l'accertamento del passivo fallimentare ha per oggetto anche i diritti gravanti comunque su beni del fallito, quantunque non connessi a crediti vantati direttamente nei suoi confronti (come accade nella fattispecie, oggi controversa, di costituzione da parte del fallito di pegni o di ipoteche a garanzia di debiti altrui); si riafferma inoltre il principio, già espresso dall'articolo 103 della legge fallimentare, che l'accertamento dei diritti reali mobiliari dei terzi su beni in possesso (non del fallito, ma) del curatore si esegue secondo le stesse forme; b) si precisa che il procedimento di accertamento del passivo ha altresì per oggetto i crediti aspiranti ad una collocazione "in prededuzione", sia quando essi siano per qualsiasi ragione contestati, sia quando abbiano origine in una procedura concorsuale diversa da quella nella quale interviene l'accertamento del passivo (con particolare riguardo ai crediti prededucibili sorti in procedure precedenti), per la conseguente necessità di un esame approfondito della ricorrenza delle condizioni della collocazione. Per i crediti della specie sorti invece in conseguenza di atti posti in essere dagli organi della procedura pendente, potrà disporre direttamente il giudice delegato con disposizione di prelievo dall'attivo disponibile; c) si circoscrive e si razionalizza la disciplina dell'istituto della "ammissione con riserva", precisandone l'applicabilità anche alle domande tardive, ed escludendone la fattispecie della mancata produzione dei "documenti giustificativi", per la quale sembra più appropriato un provvedimento di esclusione dal passivo. Si indica poi il procedimento concernente le osservazioni e le impugnazioni dei piani di ripartizione dell'attivo come quello più idoneo all'accertamento della verificazione o della impossibilità di verificazione della condizione posta alla base della "riserva"; ciò in funzione della liberazione delle quote accantonate in favore del creditore interessato o dei restanti creditori; d) si precisa che l'accoglimento delle domande di insinuazione al passivo rientra sempre nei poteri del giudice, indipendentemente dal parere favorevole del curatore fallimentare (o dell'organo corrispondente), e ciò anche per le domande proposte in via tardiva; e) si circoscrive l'efficacia dei provvedimenti resi in materia di accertamento del passivo alla procedura nell'ambito della quale essi sono stati adottati (oltre alle eventuali procedure consecutive o riaperte), precisando peraltro che le somme percepite dai creditori in esecuzione delle ripartizioni dell'attivo effettuate dagli organi della procedura sono comunque irripetibili; f) si prevede l'obbligo di comunicazione, anche con i mezzi informatici di cui all'articolo 2, comma 3, lettera c), e con comunicazioni cumulative ai creditori che abbiano presentato domanda di insinuazione, dell'intervenuto deposito dello stato passivo e di ogni sua successiva variazione, al fine di rendere effettivo il diritto di impugnazione; g) si prevede la omogeneizzazione dei giudizi di impugnazione delle sentenze rese sulle domande di ammissione al passivo, sia in via tempestiva sia in via tardiva; h) si consente l'ammissione del credito insinuato in via tardiva anche a seguito di riduzioni o di rinunzie parziali da parte del creditore. Allo scopo di alleggerire e semplificare per quanto possibile i relativi giudizi, si prevede altresì che il giudice procedente possa disporre con decreto l'ammissione al passivo del credito insinuato in via tardiva senza necessità di acquisire il parere favorevole delle altre parti, salva ovviamente la legittimazione degli altri creditori a proporre l'impugnazione dello stato passivo; i) si prevede la partecipazione alle ripartizioni dell'attivo dei crediti insinuati in via tardiva a decorrere dalla data della relativa domanda, al fine di evitare che il creditore tardivo vittorioso sia pregiudicato dalle eventuali ripartizioni effettuate durante il tempo, a lui non imputabile, necessario per ottenere il riconoscimento del proprio diritto; l) si prevede che i giudizi di accertamento del passivo siano definiti con sentenza del tribunale in forma monocratica, non sussistendo speciali esigenze per giustificare la scelta della composizione collegiale e rappresentando garanzia sufficiente la previsione che il giudice monocratico che istruisce e definisce il giudizio sia un magistrato diverso dal giudice delegato. Elementi che informano la nuova disciplina della gestione del patrimonio e della liquidazione sono la snellezza operativa e la riduzione dei costi. In questo senso si segnalano: a) la previsione che la liquidazione possa iniziare immediatamente dopo l'apertura della procedura di insolvenza. La portata innovativa di questa singola disposizione è notevole, in quanto consente di alienare immediatamente l'azienda a chi intenda perseguirne il risanamento, così come è oggi possibile nella liquidazione coatta delle imprese bancarie. Il vero risanamento è infatti quello operato dal mercato, da imprenditori mossi da legittime aspettative di profitto, e non quello tentato, spesso a spese dei creditori, in pendenza della procedura concorsuale; b) la previsione della possibilità, anche immediatamente dopo l'apertura della procedura di insolvenza, di conferire in una o più società di nuova costituzione beni, crediti o complessi aziendali insieme a rapporti contrattuali in corso singolarmente individuati. Questa previsione mira a consentire al curatore, soprattutto quando sia evidente la natura finanziaria o comunque circoscrivibile delle cause della crisi, di "isolare" il complesso aziendale sano e permetterne la prosecuzione dell'attività, al fine della vendita (non di beni o complessi aziendali, ma) di una partecipazione sociale, più appetibile sul mercato; c) la previsione della possibilità di non far luogo a liquidazione ove l'attivo ragionevolmente realizzabile non consenta di coprire le spese della procedura; ciò al fine di evitare la distruzione di ulteriore ricchezza, salvi gli effetti della pronunzia di insolvenza a tutti gli effetti di legge; d) il rafforzamento della concorrenza nella valorizzazione del patrimonio del debitore, mediante la previsione della possibilità per i creditori e per qualunque interessato di presentare proposte di assunzione di tutto o parte del passivo, anche in percentuale, contro rilievo dell'intero patrimonio o di parte di esso; ciò al fine di consentire la creazione di "pacchetti" di beni e di rapporti giuridici attivi e passivi appetibili sul mercato a particolari categorie di acquirenti, con beneficio per tutti i creditori. Il problema è quello della salvaguardia della par condicio fra i creditori "ceduti" e quelli residui, che deve essere risolto nel senso della necessaria rispondenza della cessione in blocco all'interesse della generalità dei creditori, considerando che, anche se taluni creditori possono avere benefìci maggiori (si pensi ai fornitori del ramo d'azienda ceduto), tutti i creditori devono comunque ricevere un vantaggio (anche mediante una riduzione del numero dei creditori residui) rispetto all'alternativa della vendita. Riguardo alla disciplina della ripartizione dell'attivo e della chiusura della procedura si segnalano soprattutto due novità. Innanzitutto, viene inserito il principio secondo cui le cause legittime di prelazione giovano al creditore solo nei limiti del valore effettivo del bene. Questa previsione, dettata anche per la procedura di ristrutturazione delle passività, mira ad evitare che il fatto contingente della mancata alienazione del cespite oggetto della prelazione (ad esempio perché la procedura si chiude con un concordato o perché il bene è conferito in società) dia al creditore più di quanto egli otterrebbe in caso di vendita. Il diverso orientamento, attualmente accolto dalla giurisprudenza prevalente, introduce una distorsione nella scelta della soluzione della crisi, che, anziché divenire quella più efficiente per tutti i creditori, è quella concretamente possibile stante le limitazioni imposte dall'esistenza di (pur incapienti) garanzie. In secondo luogo, viene prevista la liberazione del debitore dai debiti non soddisfatti nel corso della procedura, se si tratta di una persona fisica e non sussistono cause di impedimento indicate dalla legge in relazione alla condotta tenuta prima dell'apertura della procedura o durante il suo svolgimento. Si tratta di una scelta innovativa, che anche ordinamenti tradizionalmente vicini al nostro ed orientati alla tutela dei creditori, come quello tedesco, hanno recentemente effettuato. La ispira la considerazione, coerente con la filosofia che anima l'intera riforma, che le procedure sono innanzitutto tecniche, quanto più possibili amichevoli, di sistemazione dell'insolvenza, che non hanno ragione di lasciare strascichi dopo che il debitore abbia cooperato, nei limiti delle sue effettive possibilità, alla migliore soddisfazione dei creditori. Nella scelta fra una ripresa - per lo più del tutto teorica - delle azioni dei creditori per la parte dei crediti non soddisfatta, e un recupero del debitore alla produttività, si è dunque scelto di privilegiare quest'ultimo interesse, concreto ed importante al fine di eliminare una volta per tutte lo stigma delle procedure concorsuali e di incentivare il debitore a ricorrere tempestivamente alle procedure concorsuali. La possibilità della esdebitazione è ovviamente concessa solo alle persone fisiche, in quanto le società, essendo veicoli per l'esercizio di un'attività economica, non hanno una "vita" ulteriore che meriti di essere tutelata se i creditori non siano stati soddisfatti. Ne possono quindi beneficiare gli imprenditori individuali, i soci illimitatamente responsabili (a condizione che siano persone fisiche, come oggi la giurisprudenza richiede), e persino le persone fisiche che non esercitino un'attività d'impresa, motivo per il quale si è ritenuto di consentire anche a queste ultime, sia pure solo su loro domanda, l'accesso alla procedura di insolvenza. Anche la parte della proposta di legge relativa alla chiusura della procedura di insolvenza con metodi alternativi alla liquidazione si segnala per il carattere innovativo rispetto alla situazione attuale. In primo luogo si è ritenuto di estendere la legittimazione a proporre un concordato anche a soggetti diversi dal debitore; ciò perché il monopolio di quest'ultimo nella proposta di concordato, attualmente legittimato dall'articolo 124 della legge fallimentare, limita soluzioni che sarebbero convenienti per i creditori e favorisce la violazione delle regole sulla priorità dei rimborsi fra creditori e fornitori di capitale di rischio. In secondo luogo si è ritenuto di proporre la possibilità di una ricapitalizzazione della società ad opera del curatore, che costituisce una variante del sistema delle "opzioni nell'insolvenza", noto alla dottrina giuridica ed economica internazionale. Quest'ultimo costituisce una difficile ma non impossibile tecnica di eliminazione a basso costo dell'insolvenza, o comunque di riduzione del passivo, che rispetta l'ordine di priorità di rimborso. Tale innovativa tecnica di chiusura della procedura è ammessa solo per la società a responsabilità limitata (ed eventualmente alla società per azioni semplificata, prevista dalla proposta di legge atto Camera n. 969 in materia societaria), a causa di un discutibile vincolo imposto dalla seconda direttiva comunitaria in materia di società per azioni (direttiva 77/91/CEE del Consiglio, del 13 dicembre 1977). Vi sono infatti situazioni in cui il valore delle attività della società, anche con l'impresa in attività, è inferiore a quello dei suoi debiti, e dunque i soci non sono incentivati a deliberare un aumento di capitale, pur se ciò ripristinerebbe condizioni di equilibrio, poiché i vantaggi dell'operazione andrebbero non a loro ma ai creditori. Si producono così condizioni di sotto-investimento, che distruggono una ricchezza che ormai è di competenza dei creditori. D'altro lato i creditori, che sono a questo punto i veri fornitori di capitale di rischio, non hanno la possibilità di intervenire sulla struttura finanziaria dell'impresa, poiché l'aumento di capitale richiede il consenso dei soci, che questi ultimi, per le ragioni sopraesposte, non sono incentivati a dare. Di qui l'attribuzione al curatore della competenza, normalmente assembleare, di lanciare un aumento di capitale che può consentire ai creditori, mediante la compensazione dei loro crediti, di far tornare la società in bonis. D'altro lato, anche in questo contesto ai soci spetta il diritto d'opzione: essi hanno infatti la precedenza rispetto a terzi nelle decisioni di reinvestimento nell'impresa (anche se hanno deciso di non avvalersene prima dell'apertura della procedura, proprio perché a differenza dei creditori essi devono liberare l'aumento di capitale con "denaro fresco"). La previsione esplicita della compensabilità del debito di sottoscrizione con il credito verso la società è necessaria, perché il debito sorge dopo l'apertura della procedura e dunque non sarebbe compensabile ai sensi dei princìpi generali. Il sovrapprezzo, infine, può essere necessario perché anche (ma non solo) a seguito delle necessarie svalutazioni e appostazioni può esservi un patrimonio netto negativo, che non può essere coperto mediante il solo aumento di capitale. In relazione all'articolo 5, si premette che la sola revisione della disciplina delle procedure concorsuali non è sembrata un intervento sufficiente a soddisfare tutte le esigenze che l'esperienza in materia di superamento o sistemazione delle situazioni di crisi ha fatto emergere. La soluzione del ricorso a procedimenti giudiziari strutturati presenta di per sé alcuni inconvenienti difficilmente eliminabili, quali: l'effetto negativo in termini di immagine, inevitabile qualunque sia il grado di efficienza delle procedure concorsuali; la tendenziale inattitudine ad affrontare situazioni di crisi circoscritte, cioè di carattere parziale, o con riguardo all'entità del dissesto o con riguardo alle categorie dei soggetti coinvolti; la rigidità connessa alla necessaria previsione di presupposti di ammissibilità necessariamente piuttosto precisi - in relazione agli effetti poi connessi all'apertura della procedura -, ai quali possono non attagliarsi tutti i casi concreti di situazioni di crisi; l'impossibilità di tenere conto di tutte le specificità delle situazioni di crisi, che possono richiedere l'ideazione e l'attuazione di soluzioni ciascuna diversa dall'altra, all'insegna di una flessibilità ottenibile solamente con una forte deregolamentazione. Gli orientamenti giurisprudenziali che si sono venuti formando sulle conseguenze dell'eventuale insuccesso dei tentativi di carattere stragiudiziale di superamento delle situazioni di crisi esprimono peraltro una grande severità, sia sotto il profilo della valutazione della possibile rilevanza penale dei comportamenti posti in essere, sia sotto il profilo della precarietà degli effetti giuridici connessi agli atti compiuti dal debitore e dai creditori, sempre soggetti alla "spada di Damocle" della revocatoria, sostanzialmente certa in caso di insuccesso anche quando il tentativo sia stato effettuato in buona fede. Il ricorso alle soluzioni alternative di carattere extragiudiziario è dunque, nel panorama attuale, fortemente scoraggiato. Si è dunque prevista l'introduzione di alcune disposizioni che consentano la sottoposizione al controllo dell'autorità giudiziaria di accordi di carattere negoziale tra debitore e creditori, che si propongano di superare o prevenire una situazione di crisi nel rispetto della legge e dei diritti di tutte le parti interessate. L'accertamento da parte dell'autorità giudiziaria della serietà dell'accordo e della conformità delle misure che si intendono adottare a canoni di correttezza e di buona fede, consente di prevedere la stabilità degli effetti dei comportamenti e degli atti posti in essere in esecuzione del progetto di composizione negoziale. La necessità di una situazione patrimoniale di riferimento, posta alla base dell'accordo stragiudiziale, e la possibilità che l'autorità giudiziaria disponga una consulenza tecnica d'ufficio a spese del debitore, rappresentano una garanzia adeguata nei confronti di comportamenti esclusivamente dilatori. Ciò tanto più per la circostanza che, con l'avvio della procedura, la situazione di crisi è resa palese, con la conseguenza che l'eventuale accertamento dell'inadeguatezza dell'accordo a raggiungere gli obiettivi perseguiti potrebbe costituire l'occasione per l'assunzione, da parte dei creditori o della stessa autorità giudiziaria, delle iniziative che l'ordinamento di volta in volta prevede e consente - secondo la qualità soggettiva del debitore e le caratteristiche concrete della sua situazione economico-finanziaria-patrimoniale - allorché il dissesto sia divenuto pubblico. La pendenza del giudizio di omologazione dell'accordo di composizione negoziale della crisi non ostacola, né potrebbe farlo trattandosi di una procedura che non prevede la consultazione di tutti i creditori, l'avvio di procedure esecutive, anche di carattere concorsuale, nei confronti del debitore. Qualora quest'ultimo, essendo già in possesso del consenso di una parte del ceto creditorio interessato, intenda beneficiare dell'arresto delle azioni esecutive individuali o precludere la dichiarazione di insolvenza, potrà ricorrere allo strumento della procedura di ristrutturazione delle passività, nella variante dell'"accordo preconfezionato" di cui all'articolo 3, comma 1, lettera l). Le disposizioni sulla omologazione giudiziale degli accordi di composizione dovrebbero applicarsi a qualunque soggetto, in relazione a qualsiasi accordo posto in essere con uno o più creditori, allo scopo di superare o anche di prevenire ogni tipo di difficoltà economica, patrimoniale o finanziaria. Si è voluta consentire la stipulazione di un accordo anche fra il debitore ed un solo creditore, nel caso - non infrequente - in cui mediante tale accordo si consenta al debitore di superare definitivamente la crisi (ad esempio, mediante l'erogazione di nuova finanza assistita da idonee garanzie). Pur essendo destinato a produrre effetti diretti esclusivamente nei confronti dei creditori che hanno preventivamente raggiunto un determinato accordo, è possibile - anzi è normale - che la realizzazione dell'accordo comporti effetti indiretti anche nei confronti di altri controinteressati. L'aspirazione ad acquisire una garanzia di stabilità degli effetti prodotti dall'esecuzione dell'accordo, che costituisce la ragione della sua sottoposizione all'omologazione, impone di considerarne il contenuto nel contesto della più generale situazione economico-patrimoniale-finanziaria del debitore. Per tale ragione è richiesta la presentazione di una situazione patrimoniale di riferimento e la sua certificazione ad opera di un esperto professionalmente qualificato, che dovrà attestarne la congruità ed esprimere una valutazione sulla attendibilità degli obiettivi perseguiti con la conclusione dell'accordo, con particolare riguardo all'attitudine dello stesso a rimuovere o prevenire la situazione di crisi in modo durevole. Si prevede che l'autorità giudiziaria possa esercitare un controllo sulla congruità della situazione economico-patrimoniale-finanziaria prospettata dal debitore, attraverso la disposizione di una consulenza tecnica d'ufficio a spese del debitore stesso. Si prevede altresì che un controllo sulla conformità dell'esecuzione dell'accordo a quanto prospettato in sede di omologazione venga effettuato da parte dell'esperto che ha originariamente certificato la situazione patrimoniale di riferimento, attraverso relazioni periodiche, nonché l'introduzione di ipotesi di revocabilità dell'omologazione allorquando venga scoperto che i dati e le informazioni forniti dal debitore sono inattendibili e che le finalità dell'accordo risultano gravemente compromesse. Si prevede che gli effetti degli atti posti in essere in esecuzione di un accordo stragiudiziale omologato acquistino quel grado di stabilità giuridica che può convincere le controparti del debitore a consentire il tentativo di superamento o di prevenzione della situazione di crisi. In tale prospettiva, se ne prevede la sottrazione alle azioni revocatorie, con l'eccezione dell'ipotesi di intervenuta revoca dell'omologazione. L'accordo di composizione negoziale della crisi, rimuovendo la situazione di crisi, dovrebbe inoltre evitare la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza ad opera di terzi. Ciò, tuttavia, rappresenta l'effetto del successo dell'accordo, e non di un limite posto dalla legge a soggetti che potrebbero non avere partecipato alla formazione e all'omologazione dell'accordo medesimo. Si prevede infine che la disciplina fiscale degli accordi non ostacoli, anzi se possibile agevoli, il perfezionamento delle operazioni, con particolare riguardo al regime di deducibilità fiscale delle perdite su crediti derivanti dalle riduzioni e dalle ristrutturazioni dei debiti dedotti nell'accordo. Il nostro disegno organico di riforma deve ovviamente prendere in considerazione il problema dell'applicazione delle procedure concorsuali alle imprese facenti parte di un gruppo. I princìpi di delega formulati nell'articolo 6 assumono come fattispecie i rapporti di collegamento fra imprese individuati nella disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (articoli 80 e seguenti del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270), così da evitare la proliferazione di nozioni e definizioni di gruppo rilevanti nel medesimo settore dell'ordinamento giuridico. Il criterio generale a cui si ispira la disciplina dell'impresa di gruppo in crisi è di rispetto della distinta soggettività delle diverse imprese, e perciò della separatezza delle rispettive masse attive e passive e della distinzione fra le diverse serie di creditori. Tale criterio è tuttavia temperato dalla previsione di regole che tengono conto comunque delle connessioni e dei legami fra le diverse imprese del gruppo, la cui rilevanza non si reputa possa rimanere circoscritta soltanto agli aspetti e ai profili economici del fenomeno. Così, pur riaffermandosi il principio secondo cui l'accertamento dell'insolvenza va compiuto con riferimento alla singola società (e non con riferimento al gruppo nel suo insieme), non si esclude che a tale riguardo possano assumere rilievo (per escludere o per confermare l'esistenza di una condizione di insolvenza) i collegamenti di natura economico-produttiva ovvero finanziaria fra le diverse società. Parimenti, si riafferma il principio di separatezza nella gestione della procedura (tanto nella fase eventuale di esercizio dell'impresa, quanto in quella della liquidazione), senza tuttavia escludere la legittimità di un coordinamento funzionale fra le singole imprese e le rispettive procedure concorsuali, se ed in quanto un siffatto coordinamento arrechi un vantaggio ai creditori (sotto forma di decremento dei costi ovvero di incremento dei ricavi della procedura). Ulteriori regole concernono in particolare: a) la possibilità del contestuale assoggettamento di tutte le imprese del gruppo che presentino i presupposti oggettivi stabiliti dalla legge alla medesima procedura concorsuale; dato che, in questo contesto, è opportuna la gestione unitaria delle partecipazioni del gruppo, si chiarisce che la holding è sempre assoggettata alla procedura quando ne sussista il presupposto oggettivo, a prescindere dallo svolgimento di un'attività produttiva di beni o di servizi; b) la possibile unicità degli organi preposti all'attuazione della procedura o alla vigilanza su di essa - salva la nomina di curatori speciali nell'ipotesi di conflitto di interessi - e la ripartizione delle spese di procedura fra le diverse imprese secondo criteri predefiniti; c) l'applicazione rafforzata della disciplina, dettata in generale per gli atti pregiudizievoli ai creditori, agli atti e negozi intercorsi fra società dello stesso gruppo, nel presupposto che essi non siano stati conclusi secondo regole di mercato o siano stati comunque conclusi allo scopo di favorire una o più società del gruppo a scapito di altre e a danno del (restante) ceto creditorio; d) la responsabilità della società controllante e dei suoi amministratori, in solido con l'organo amministrativo della controllata insolvente, per i danni da questo cagionati alla controllata e riconducibili all'abuso della direzione unitaria di gruppo. Il principio tende a chiarire che la responsabilità degli amministratori della controllante coinvolge la responsabilità della controllante stessa. L'articolo 7 contiene i princìpi e criteri ispiratori della riforma della disciplina penale delle procedure concorsuali. Tanto fra gli studiosi, quanto fra gli operatori pratici del diritto si riscontra un consenso diffuso sulla necessità di un "alleggerimento" dell'intervento penale, anche come condizione preliminare per un recupero di efficienza. L'attuale disciplina repressiva dei reati fallimentari è infatti nettamente sproporzionata per eccesso, sia dal punto di vista degli equilibri interni del sistema penale (in raffronto a tutte le altre categorie di delitti economici e patrimoniali), sia da un punto di vista comparatistico: le pene previste per la bancarotta fraudolenta, in particolare (da tre a dieci anni di reclusione), rasentano il doppio di quanto previsto nella media degli altri Paesi europei. Se pure non è il caso di distaccarsi dalla linea seguita dalla proposta di legge delega per la riforma del diritto societario (atto Camera n. 969) - e quindi di andare oltre la generica previsione della pena della reclusione - riteniamo tuttavia opportuno che fra i criteri di delega compaia anche un'indicazione nel senso di una significativa riduzione degli attuali margini edittali di pena , nell'attesa della più complessiva riforma del sistema sanzionatorio, quale quella prefigurata dal progetto preliminare di riforma del codice penale elaborato dalla commissione Grosso (articolo 51 e seguenti). Non è solo, peraltro, un problema di livelli sanzionatori: si tratta altresì (e prima di tutto) di colmare il divario attualmente esistente fra la realtà normativa e la realizzazione dei fondamentali princìpi di colpevolezza e di offensività dell'illecito; ciò che impone un ripensamento dell'intera struttura della fattispecie di bancarotta. Sulla base di una tale ispirazione di fondo, i punti di forza della presente riforma possono sintetizzarsi nei seguenti termini: a) riduzione, semplificazione e razionalizzazione della fattispecie di bancarotta nelle sue diverse articolazioni, con eliminazione delle ipotesi colpose e tendenziale circoscrizione dell'intervento penale ai soli comportamenti fraudolenti dell'imprenditore privi di qualunque giustificazione economica e lesivi della garanzia dei creditori, in quanto posti in essere in stato di insolvenza ovvero dotati rispetto ad essa di efficacia causale (o di aggravamento delle relative conseguenze); b) eliminazione dell'efficacia condizionante della dichiarazione dello stato di insolvenza da parte della giurisdizione civile; c) previsione di adeguati meccanismi premiali, volti ad incentivare il debitore a ricorrere agli strumenti giudiziari o extragiudiziari di prevenzione o risoluzione delle crisi d'impresa; d) introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, volte a garantire l'affidabilità dei predetti strumenti e la trasparenza del debitore che a questi fa ricorso; e) tendenziale assimilazione, sotto il profilo della responsabilità penale, della figura del curatore della procedura concorsuale a quella dell'amministratore di società; f) armonizzazione del raccordo fra la nuova disciplina penale concorsuale ed i princìpi e criteri direttivi, attualmente all'esame del Parlamento, per la riforma delle disposizioni penali in materia societaria (atto Camera n. 969). Dal punto di vista della tecnica di tipizzazione del delitto di bancarotta, si riscontra una contrapposizione storica fondamentale - ancor oggi ben visibile nel diritto positivo dei diversi Paesi - fra un modello di fattispecie di bancarotta causalmente orientata, costruita su un evento rappresentato dal fallimento o dall'insolvenza del debitore - il cui esempio più significativo è fornito oggi senz'altro dal codice penale spagnolo del 1995 (articolo 260) - ed un modello di incriminazione di stampo accentuatamente casistico, tendenzialmente emancipato dal riscontro di un nesso di causalità con il fallimento o l'insolvenza, articolato invece sulla descrizione, variamente formulata, di ipotesi di manipolazioni patrimoniali, di alterazioni contabili e documentali e di indebito favoreggiamento di alcuni creditori a discapito di altri (Germania, Francia, Austria, Svizzera, Portogallo, eccetera). Anche qui, tuttavia, si riscontrano molteplici soluzioni intermedie o miste, in cui il modello analitico si intreccia con quello sintetico, dando vita a fattispecie nelle quali, da un lato, la previsione di specifiche condotte di bancarotta è arricchita e completata da vere e proprie clausole generali; e, dall'altro lato, "l'emancipazione" dall'accertamento del nesso di causalità fra le condotte tipiche ed il dissesto del debitore è compensata dalla necessaria inclusione di tali condotte in un contesto preliminare di rischio qualificato (la crisi economica). La disciplina penale prevista dalla vigente legge fallimentare italiana è ispirata ad una tecnica di incriminazione fortemente casistica, volta in linea di principio ad escludere la rilevanza del nesso di causalità fra le singole condotte di bancarotta ed il dissesto dell'impresa. Uno dei punti qualificanti della riforma che proponiamo è rappresentato invece dal recupero della centralità del momento del cagionare (o aggravare) con dolo l'insolvenza. E' questo il nucleo fondamentale ed originario - alla base di tutte le istanze punitive in materia fallimentare - che va opportunamente riportato in primo piano nella ricostruzione della fattispecie di bancarotta ed a questo criterio si ispira la previsione di apertura del presente progetto, che delinea la fondamentale fattispecie di "bancarotta fraudolenta patrimoniale" . In senso analogo si era orientato a suo tempo anche lo schema di legge delega per la riforma del codice penale elaborato dalla commissione Pagliaro (Documenti Giustizia, 1992, n. 3, c. 446), che aveva proposto di ridefinire la bancarotta fraudolenta patrimoniale come il fatto di "causare o aggravare (...) il dissesto volontà di sottrarre attività alla garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori". Una repressione penale attestata esclusivamente sulla soglia della causazione dell'insolvenza andrebbe incontro tuttavia a gravi problemi applicativi, che rischierebbero o di rendere la fattispecie pressoché inapplicabile, o di indurre la giurisprudenza ad eludere il rigore dell'accertamento del nesso di causalità attraverso un ricorso surrettizio a meccanismi presuntivi. Da qui, dunque, l'opportunità di prevedere un secondo livello di intervento penale, che dovrebbe essere caratterizzato - come è nella tradizione della maggior parte delle legislazioni europee - dalla tipizzazione di una serie di comportamenti di gestione d'impresa gravemente anti-economici e caratterizzati da una generale idoneità a cagionare o aggravare il dissesto. Dall'elaborazione normativa dei diversi ordinamenti si possono comunque trarre utili indicazioni circa la necessità di intervenire in senso modificativo: la previsione di fattispecie di bancarotta svincolate da un nesso di causalità con l'insolvenza reca infatti pur sempre con sé il rischio di un'estensione a dismisura della zona di "rischio penale" dell'imprenditore, che potrebbe essere chiamato a rispondere a titolo di bancarotta di condotte di mala gestione lontanissime nel tempo dal momento della verificazione dell'insolvenza, che potrebbe poi essersi prodotta per cause completamente diverse ed autonome. Da qui, dunque, la frequente e opportuna ricerca di ulteriori elementi correttivi, tali da valorizzare il legame fra le condotte di bancarotta ed il dissesto dell'impresa: correttivi da apportarsi o sul versante dei presupposti di tali condotte - definendo ad esempio, in termini generali, i contorni di una situazione di crisi economica nel cui contesto devono necessariamente inserirsi i comportamenti vietati (come nelle fattispecie di bancarotta del codice penale tedesco) - o sul versante dell'elemento soggettivo, tipizzando ipotesi particolari di delitti a dolo specifico, caratterizzati sia da un intento di arrecare frode o di ritardare l'incombente procedura concorsuale (come in alcune ipotesi di bancarotta del diritto francese), sia da uno scopo di indebito profitto o di pregiudizio per le ragioni dei creditori o di taluni di questi (come ad esempio in talune ipotesi della nostra vigente legge fallimentare); o, ancora, prevedendo una determinata soglia temporale, a partire dalla quale possono essere prese in considerazione condotte anteriori o, naturalmente, posteriori alla dichiarazione di insolvenza. Il modello di incriminazione che si è inteso seguire fa leva sulla tipizzazione di un presupposto delle condotte di bancarotta capace di illuminare sotto il profilo oggettivo e soggettivo il contenuto di disvalore di queste condotte: a tale fine non è parso tuttavia sufficiente - in quanto concetto difficilmente traducibile in termini di sufficiente determinatezza - un riferimento, come quello operato dal legislatore tedesco, allo "stato d'insolvenza attuale o imminente"; e lo stesso vale per concetti come "stato di crisi" o altri analoghi. L'unico elemento utile dotato di sufficiente pregnanza semantica, e che gode di una solida identità sul piano dell'elaborazione interpretativa extrapenale, sembra dunque essere il concetto di "stato d'insolvenza", inteso come impossibilità del debitore di adempiere le proprie obbligazioni: concetto che, proprio in virtù di tali considerazioni, può essere affidato anche all'accertamento del giudice penale, come una sorta di filtro preliminare del giudizio volto all'individuazione delle condotte di bancarotta. Questo secondo livello di intervento penale - che postula quindi la compresenza, ma non un legame causale fra insolvenza e condotta tipica - deve essere accompagnato da un abbassamento delle pene edittali: sia per riflettere correttamente, sul piano sanzionatorio, quella che è comunque una anticipazione della tutela, sia per valorizzare, di riflesso, l'ipotesi principale del cagionare o aggravare l'insolvenza, evitando fra l'altro - grazie all'"incentivo" rappresentato dal più alto rango sanzionatorio della fattispecie - una rassegnata rinuncia della giurisprudenza ad una ricerca effettiva del rapporto di causalità fra le condotte imputate come bancarotta ed il dissesto dell'impresa. Accanto a tipologie di condotta ricavate dalla tradizionale articolazione del delitto di bancarotta fraudolenta (articolo 216 della legge fallimentare) - che nella proposta di legge vengono individuate come bancarotta fraudolenta "per distrazione", "documentale" e "preferenziale" - trova in questo contesto adeguata collocazione anche l'ipotesi del ricorso abusivo al credito , ugualmente ancorata al presupposto dello stato di insolvenza. A chiusura del sistema di repressione penale dei fatti di bancarotta è prevista infine l'introduzione di una fattispecie, meno gravemente sanzionata, di omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili , previa opportuna fissazione di un limite cronologico di rilevanza (tre anni, da calcolare a ritroso dalla data della dichiarazione di insolvenza, come già disposto nell'articolo 217, secondo comma, della legge fallimentare). Il mantenimento di tale fattispecie anche nella futura disciplina si giustifica realisticamente per le difficoltà di prova dell'elemento soggettivo, destinate a gravare sulla applicazione della fattispecie di bancarotta documentale limitandone di fatto la praticabilità; ma il carattere di tutela anticipata che caratterizza in ogni caso la fattispecie dovrà trovare necessariamente riconoscimento in una pena edittale adeguatamente inferiore a quella da stabilire per l'ipotesi di bancarotta documentale. Problema centrale della riforma è quello del mantenimento o meno della condizione di punibilità (elemento costitutivo del reato, secondo la giurisprudenza) rappresentata dalla dichiarazione formale di insolvenza. Sulla base dei dati offerti dall'indagine comparatistica, nella grande maggioranza degli ordinamenti la punibilità delle condotte di bancarotta è ancor oggi condizionata oggettivamente dall'esistenza di uno stato di insolvenza del debitore; ma le strade seguite dai vari legislatori nazionali si divaricano nel momento in cui alcuni (come è tradizione, in generale, degli ordinamenti dell'area romanistica) radicano la condizione di punibilità sulla pronuncia formale di un provvedimento di apertura di una procedura concorsuale, di competenza della giurisdizione civile (Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera), mentre altri guardano piuttosto all'esistenza di una situazione sostanziale (l'insolvenza) che può essere anche autonomamente accertata dal giudice penale: è il caso quest'ultimo, in particolare, dell'ordinamento tedesco, che equipara, ai fini della condizione di punibilità, l'apertura formale di un "Insolvenzverfahren" (ovvero il rigetto della relativa domanda per carenza di massa) al fatto dell'avvenuta cessazione dei pagamenti (S 283 comma 6 StGB). Più radicale, infine, l'esempio offerto dal legislatore austriaco, che prescinde da qualsiasi condizione obiettiva di punibilità e punisce come "betrugerische Krida" le condotte di bancarotta che impediscano o limitino il soddisfacimento anche di uno soltanto dei creditori (S 156 StGB). Nei termini in cui è attualmente prevista nell'ordinamento italiano, il mantenimento della condizione di punibilità finirebbe con il contraddire gli obiettivi perseguiti dalla riforma: se è proprio e soltanto il momento formale dell'apertura di una procedura concorsuale ciò che spalanca le porte alla repressione penale di una serie di illeciti fino ad allora non punibili, verrebbe inevitabilmente vanificato l'intento di indurre il debitore ad una tempestiva denuncia dello stato di crisi o di insolvenza. La condizione di punibilità, nei suoi termini attuali, è figlia piuttosto di (ed appare ancor oggi coerente con) una concezione "sanzionatoria" del fallimento, in cui il debitore subisce passivamente l'apertura della procedura concorsuale. Se viceversa - come è nello spirito della presente riforma - la procedura concorsuale deve perdere il tradizionale carattere stigmatizzante, per diventare soltanto una tecnica di prevenzione o gestione dell'insolvenza, accompagnata da adeguati benefìci nel caso di accesso spontaneo e tempestivo, la soluzione più coerente e lineare è senz'altro quella che conduce all'eliminazione della condizione di punibilità. Si tratta del resto di una soluzione che anche sotto il profilo strettamente penalistico non può non essere salutata con favore da chi auspichi una piena realizzazione dei princìpi di offensività, di colpevolezza e di uguaglianza. Le obiezioni che tradizionalmente sono state rivolte nei confronti di una possibile abolizione della condizione di punibilità, fondate sul timore di una incontrollata dilatazione dell'intervento penale, possono essere ragionevolmente superate considerando: a) il forte legame che la riforma instaura fra le condotte di bancarotta e lo stato di insolvenza (alternativamente previsto come presupposto o come evento del reato); b) la precisa identità normativa del concetto (lo stato di insolvenza), tale da non consentire derive arbitrarie all'interpretazione del giudice penale; c) infine, la necessaria sensibile riduzione dei limiti edittali di pena. E' questo un punto fra i più delicati, sia perché quello delle misure premiali - dovunque vengano sperimentate - è sempre un terreno particolarmente scottante della moderna politica criminale, sia perché su questo punto si gioca una fetta consistente della "appetibilità" delle nuove procedure concorsuali nei confronti del debitore. L'indicazione di fondo - che non può non trovare adeguata ricaduta anche in sede penale - è quella di premiare il debitore che ricorra tempestivamente all'autorità giudiziaria, promuovendo l'apertura delle procedure di ristrutturazione delle passività o di insolvenza: il problema, tuttavia, è quello di individuare una formulazione tecnica ed un punto di equilibrio politicamente accettabili. La soluzione, astrattamente prospettabile, di una non punibilità per tutti gli illeciti commessi prima del ricorso all'autorità giudiziaria, ogniqualvolta sia stato eliminato il pregiudizio per i creditori, lascerebbe aperta la porta a diversi interrogativi e perplessità: la prospettiva della non punibilità accordata a favore del responsabile di gravi fatti di bancarotta fraudolenta, alla sola condizione che questi si adoperi per riparare il danno ai creditori e ricorra tempestivamente all'autorità giudiziaria, porrebbe fra l'altro seri problemi di legittimazione della disciplina penale societaria, laddove questa fosse destinata ad essere applicata ad imprese non in stato di crisi. Una così forte "patrimonializzazione" dell'intervento penale in sede concorsuale sarebbe cioè alquanto stridente con il carattere nettamente "istituzionale" della disciplina penale societaria: difficilmente potrebbe conciliarsi, ad esempio, la prospettata premialità con la pretesa dell'ordinamento di punire un falso in bilancio anche nell'ambito di una società in floride condizioni economiche e senza alcun pregiudizio per gli interessi patrimoniali dei soci e dei terzi. Salvo che, addirittura - ma si tratterebbe di una soluzione palesemente inaccettabile - si decidesse di estendere la non punibilità anche ai reati societari (od altri illeciti relativi alla gestione d'impresa) totalmente slegati (cronologicamente e causalmente) dalla successiva crisi o dissesto dell'impresa, trasformando così paradossalmente lo stato di crisi, in atto o incombente, in una comoda via di fuga dalla responsabilità penale per i reati pregressi. Per tutte queste ragioni, dunque, riteniamo che la soluzione più equilibrata - che trova espressione nel criterio di delega di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 7 - sia quella di una riduzione di pena per il debitore che, dopo la commissione del fatto di reato, abbia volontariamente richiesto l'apertura di una procedura concorsuale e si sia seriamente adoperato per eliminare o ridurre il pregiudizio per i creditori; solo per la più lieve ipotesi dell'omessa o irregolare tenuta della contabilità abbiamo previsto invece, alle medesime condizioni, il beneficio della non punibilità. Per quanto attiene ai potenziali destinatari dell'intervento penale, la generalità degli ordinamenti giuridici fa coincidere la sfera dei soggetti attivi del delitto di bancarotta con quella dei soggetti delle procedure concorsuali: a seconda dei casi, qualunque tipologia di debitore (come ad esempio, in linea di principio, nell'ordinamento tedesco), ovvero il solo debitore imprenditore (come ad esempio nel sistema francese), o, infine, particolari categorie di imprenditori (come nella vigente legge fallimentare italiana). Sotto questo profilo la scelta operata dalla presente proposta di legge si muove nel segno di una moderata estensione dell'ambito soggettivo di operatività delle fattispecie incriminatrici, con il venire meno del privilegio finora accordato a piccoli imprenditori ed imprenditori agricoli, cui divengono applicabili le nuove procedure di insolvenza e di ristrutturazione delle passività. L'espansione soggettiva dell'intervento penale non giunge tuttavia a coinvolgere, in linea generale - e fatte salve le eccezioni alle quali si farà cenno in seguito (i nuovi delitti di falso e l'ipotesi del mercato di voto) - il debitore "comune" non imprenditore, al quale pure la proposta di legge concede l'opportunità di accedere alle nuove procedure concorsuali. A questo riguardo rivendichiamo una consapevole originalità nel contesto europeo, rifuggendo da un'automatica sovrapposizione delle due sfere soggettive (soggetti delle procedure e soggetti attivi dei reati), in omaggio, da un lato, ad una visione maggiormente selettiva dell'intervento penale, ed in coerenza, dall'altro lato, con una impostazione generale che mira a sottrarre alle procedure concorsuali il loro tradizionale crisma di sanzionatorietà e di anticamera della responsabilità penale. Per il debitore "comune" (non imprenditore) è prevista soltanto una possibile responsabilità penale al di fuori della sfera propria del delitto di bancarotta, circoscritta alle ipotesi di falsità nella situazione patrimoniale allegata al piano di ristrutturazione delle passività o alla domanda di omologazione dell'accordo di composizione negoziale delle crisi , nonché all'ipotesi del mercato di voto . Per quest'ultima ipotesi, poi - che delinea una fattispecie di reato a concorso necessario - è coinvolta a pari titolo la responsabilità penale del creditore (come già nell'articolo 233 della legge fallimentare), il quale ultimo figura infine come destinatario esclusivo dell'intervento penale nell'ipotesi di insinuazione fraudolenta di crediti . Con il criterio di delega fissato dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo 7, che stabilisce un aumento della pena nel caso di commissione di una pluralità di fatti di bancarotta, si ribadisce - quantomeno agli effetti della pena, e sulla falsariga di quanto già oggi prevede l'articolo 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare - il tradizionale principio dell'unitarietà del delitto di bancarotta, a prescindere dal carattere reale o fittizio che a tale unificazione si voglia riconoscere sul piano interpretativo. Non sono state riprodotte invece, per non dilatare eccessivamente i margini edittali di pena, le attuali circostanze oggettive ad effetto speciale relative all'entità del danno patrimoniale (in coerenza con la proposta di riforma della disciplina penale delle società commerciali, dalla quale dovrebbe scomparire l'analoga circostanza ad effetto speciale relativa al danno di gravità rilevante all'impresa): nelle ipotesi di apprezzabile gravità o tenuità del danno patrimoniale troveranno dunque applicazione le circostanze comuni di cui agli articoli 61, numero 7), e 62, numero 4), del codice penale (corrispondenti agli articoli 66, lettera c), e 68, lettera c), del progetto preliminare di riforma del codice penale), con l'ordinario aumento (o, rispettivamente, diminuzione) fino ad un terzo della pena base (articoli 64 e 65 del codice penale). Non è stata nemmeno conservata infine, stante anche la sua scarsa rilevanza pratica, la circostanza aggravante relativa alla violazione di un divieto legale di esercizio di un'impresa commerciale (articolo 219, secondo comma, numero 2), della legge fallimentare). Data la necessaria natura imprenditoriale del soggetto attivo, riteniamo non possa mancare una previsione espressa dell'ipotesi della bancarotta societaria , destinata a figurare, nella prassi, come la normale forma di realizzazione del delitto di bancarotta. La cerchia dei soggetti attivi viene descritta, in questo caso, come quella di "coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione, controllo e liquidazione", con una definizione in termini funzionali che ricalca quella che compare nella più recente normativa riguardante soggetti societari (si confrontino le fattispecie incriminatrici contenute nel testo unico bancario e nel testo unico sull'intermediazione finanziaria, di cui, rispettivamente ai testi unici di cui ai decreti legislativi 1^ settembre 1993, n. 385, e 24 febbraio 1998, n. 58) e dovrebbe avviare a soluzione il tradizionale problema dell'amministratore di fatto, indipendentemente dall'adozione o meno del criterio affermato dall'articolo 10, comma 1, lettera e), della proposta di legge delega per la riforma del diritto societario, atto Camera n. 969, che prevede espressamente l'estensione della responsabilità penale a carico di "chi, in assenza di formale investitura, esercita in modo continuativo e in modo significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione". Accanto alla figura della bancarotta societaria compare anche un richiamo di ordine generale alle fattispecie dei reati societari: le esigenze di tutela del patrimonio, di salvaguardia dell'integrità del capitale e di trasparenza dell'informazione che in tali fattispecie trovano affermazione - e che sono soprattutto alla base del citato progetto di riforma - si pongono infatti in una linea di ideale anticipazione, durante la fase vitale della gestione dell'impresa societaria, di quelle stesse istanze che trovano più rigorosa e definitiva conferma con la repressione del delitto concorsuale. Il meccanismo tecnico più idoneo per dare vita a tale raccordo fra i due momenti - rifuggendo dagli incongrui automatismi repressivi che contrassegnano l'attuale disciplina della cosiddetta "bancarotta impropria" (articolo 223, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare) - è stato individuato nella previsione dell'insolvenza dell'impresa sociale come circostanza aggravante dei reati societari , in sostituzione dell'altra circostanza, già esistente ma raramente applicata, del danno di gravità rilevante all'impresa (articolo 2640 del codice civile): circostanza che, come già ricordato, sarebbe comunque destinata a non trovare spazio nel progetto di riforma dei reati societari. Quest'ultima soluzione consentirebbe di stabilire una più salda connessione, in termini oggettivi e soggettivi, fra il reato societario e lo stato di insolvenza, che - alla stregua delle regole ordinarie di imputazione delle circostanze aggravanti (articolo 59, secondo comma, del codice penale, ribadito dall'articolo 33 del progetto preliminare di riforma del codice penale, che afferma la regola dell'"imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti") - comporterebbe l'aumento della pena solo in quanto rappresenti una conseguenza prevista o prevedibile del reato al momento della realizzazione della condotta tipica. Il legislatore delegato dovrà inoltre preoccuparsi di realizzare un adeguato coordinamento dei livelli sanzionatori, in maniera tale da evitare che, per effetto del meccanismo circostanziale, la commissione di un reato societario, che abbia cagionato o aggravato l'insolvenza della società, possa condurre all'applicazione di una pena più grave di quella prevista per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale (senza escludere, peraltro, che possa condurre all'applicazione della medesima pena). La peculiare importanza che la "visibilità" della situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore è destinata ad assumere, tanto nell'economia della nuova procedura concorsuale di ristrutturazione delle passività (articolo 3) quanto nell'ambito dei meccanismi di soluzione stragiudiziale delle crisi (articolo 5), deve trovare adeguato riflesso anche sotto il profilo penale; ciò a tutela dei creditori, che potrebbero essere indotti a concessioni, anche gravose, sulla base di elementi strumentalmente falsificati. Si introducono pertanto due nuove figure di reato, relative rispettivamente alla falsità nella situazione patrimoniale o nella relazione allegata al piano di ristrutturazione delle passività ed alla falsità nella situazione patrimoniale allegata alla domanda di omologazione dell'accordo di composizione negoziale delle crisi . Soggetto attivo sarebbe il debitore (in questo caso, non necessariamente imprenditore), come unico legittimato ad attivare la nuova procedura, ed il fatto tipico dovrebbe essere definito come esposizione di dati o informazioni non rispondenti al vero e tali da impedire ai creditori e agli interessati un fondato giudizio sulla convenienza del piano. E' vero che, in molti casi, una simile ipotesi potrebbe essere già oggi riconducibile alla fattispecie delle false comunicazioni sociali (articolo 2621, numero 1), del codice civile; articolo 10, comma 1, lettera a), numero 1), della proposta di legge di riforma del diritto societario): ma l'opportunità di un'incriminazione autonoma - destinata ad escludere, ovviamente, l'applicabilità del reato societario (sarebbe raccomandabile, sul punto, la previsione di una espressa clausola di sussidiarietà) - deriva sia dal diverso ambito soggettivo dei destinatari, sia dalla specialità della funzione di garanzia di tali piani. I reati del curatore e dei suoi coadiutori, come attualmente previsti dagli articoli da 228 a 231 della legge fallimentare (interesse privato negli atti del fallimento, accettazione di retribuzione non dovuta, omessa consegna o deposito di cose del fallimento), rappresentano (analogamente ai reati degli amministratori giudiziari e dei commissari governativi, di cui agli articoli da 2637 a 2639 del codice civile) una sorta di relitto storico del vecchio statuto penale della pubblica amministrazione, non sfiorato dalla riforma del 1990. Vi compaiono infatti modelli di incriminazione, quale l'interesse privato, ormai scomparsi dalla disciplina penale "comune" dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio. La complessiva riforma della disciplina civile e penale delle procedure concorsuali può rappresentare pertanto l'occasione più propizia per ripensare anche sotto il profilo penale la figura ed il ruolo del curatore fallimentare, decidendo se accostarne funzioni e responsabilità a quelle dei pubblici ufficiali ovvero a quelle degli amministratori di società. La soluzione privatistica appare a questo riguardo come quella più coerente con lo spirito della riforma e con gli equilibri complessivi del sistema, tanto più che la nuova disciplina penale societaria prefigurata dalla citata proposta di legge di riforma del diritto societario (atto Camera n. 969), presenta nuove figure di reato, quali in particolare l'infedeltà patrimoniale e la corruzione, che sembrano attagliarsi idealmente (con alcuni adattamenti) alla peculiare posizione del curatore della procedura di insolvenza. Il criterio di delega stabilito dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 prevede pertanto di rendere applicabili al curatore, in quanto compatibili con la natura delle relative funzioni, le norme sui reati societari. Circa il mercato di voto e l'insinuazione fraudolenta di crediti, siamo in presenza di due previsioni che sostanzialmente riproducono fattispecie incriminatrici già presenti nella legge fallimentare (articoli 232, primo comma, e 233). Rispetto alla vigente figura del mercato di voto, la novità più significativa è rappresentata dal riferimento al carattere "occulto" dei vantaggi pattuiti, mentre, con riferimento all'insinuazione fraudolenta di crediti, segnaliamo la sostituzione dell'avverbio "fraudolentemente" con la previsione dello scopo di conseguire un ingiusto profitto.






 


 

 

 












 

 

 


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