RELAZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO

PRESIEDUTO DAL

DOTT. DOMENICO MAZZOCCA

PRESIDENTE DELLA CORTE DI APPELLO DI SALERNO

Il gruppo, dopo ampio esame del tema, è pervenuto all’unanimità alle seguenti conclusioni preliminari:

1) in linea generale va precisato che è estranea ai compiti del gruppo la predisposizione di un articolato schema normativo sulle linee delle opportune misure di rilevamento e di terapia della crisi dell’impresa, fenomeno che, tra l’altro, ha implicazioni, prima che giuridiche, di preminente carattere politico­economico, che rimangono nella competenza progettuale dell’intera Commissione di riforma e, soprattutto, delle forze politiche che, istituzionalmente, nell’alveo legislativo, condividono ogni intervento;

2) consegue che il mandato conferito al gruppo è quello di conseguire una convergenza di orientamenti la più ampia possibile sull’identificazione della finalità guida di una nuova ed urgente sistemazione legislativa del grave fenomeno della crisi di impresa e dei mezzi utili alla prevenzione e cura dello stesso, anche sulla scorta delle esperienze acquisite e tenendo conto della mutata realtà socio-economica;

3) bisogna, in merito, sottolineare anche che la partecipazione dell’Italia all’Unione Europea e, nei fatti, ad un’economia globale impone, pur nella specifica attenzione alla realtà nazionale con specifiche caratteristiche, di mantenere un collegamento armonico con le altre legislazioni.

Passando ad identificare le linee guida della progettazione di uno schema legislativo che regoli la crisi di impresa commerciale, si esprime la meditata convinzione che la maggiore attenzione debba essere rivolta, considerando i pregnanti interessi pubblici, sotto il profilo economico e sociale, soprattutto a prevenire il fenomeno patologico ed ad apprestare i mezzi che evitino, per quanto possibile, la disintegrazione dell’impresa.

Tale finalità comporta una sostanziale inversione di indirizzo normativo, che, in primo luogo, imponga, anche nel caso di crisi avanzata e non di mera illiquidità finanziaria, di indirizzare la valutazione e, quindi, gli sforzi dell’Ufficio Giudiziario, ad evitare, per quanto possibile, il dissolvimento dell’unità aziendale nel suo momento dinamico e, solo quando ne risultasse con certezza l’impossibilità, consenta la liquidazione.

Come si dirà in seguito, tale schema, al quale deve corrispondere una mutata sensibilità di tutti gli operatori ed il massimo impegno dell’ufficio Giudiziario, non postula un’inammissibile ritorno a quell’indirizzo assistenziale che ha prodotto più


danno che benefici alle singole imprese, all’occupazione ed all’economia in generale, ma solo una maggiore considerazione delle concrete probabilità delle alternative prima di procedere ad una vendita liquidatoria che, troppo spesso, per le difficoltà del mercato ed i meccanismi speculativi che pesano sulle procedure espropriative in genere, risultano poco utili per le ragioni stesse dei creditori.

A tal proposito, viene precisato che la tutela di tali legittime ragioni deve rimanere una finalità concorrente ma essenziale, non potendosi contestare il carattere espropriativo della procedura (almeno in una seconda fase) la quale, dove attuabile, dovrebbe, anzi, coinvolgere utilmente le due finalità identificate.

Trattasi, certo, di compito delicato che, come sottolinea il Dott. Domenico Mazzocca (con piena adesione di tutti gli altri componenti ) potrebbe più adeguatamente svolgersi con l’istituzione, nell’ambito ovviamente della giurisdizione ordinaria, di quel Giudice dell’Impresa che si invoca inutilmente da tempo, che si agevolerebbe di una particolare specializzazione (favorita anche da iniziative di studio statali).

E’ emerso, così, dagli interventi dei componenti Dott. Franchi, Dott. Greco, Avv. Di Lauro (con adesione degli altri ) nonché da una comunicazione scritta e inviata dall’Avv. Sgroi Santagati, la necessità di prevedere due fasi della procedura concorsuale, la prima di studio e la seconda di risanamento oppure di liquidazione.

Il Dott. Greco sottolinea la necessità ( condivisa dagli altri componenti ) di una “prognosi precoce” della crisi dell’impresa e consegna un suo contributo scritto che viene allegato a questa relazione. Osserva che, per un miglior risultato, è opportuno allargare la legittimazione all’iniziativa giudiziaria e sdrammatizzare il concetto di crisi, eliminando anche il termine lessicale di fallimento.

Viene da più parti (Dott. Vaglio, Dott. Greco) invocata una migliore utilizzazione dei bollettini dei protesti cambiari. Il Dott. Vaglio sottolinea la necessità che il Collegio sindacale riferisca sollecitamente l’esistenza di elementi di crisi.

L’Avv. Di Lauro, rilevando l’insuccesso delle finalità liquidatorie del fallimento nonché la difficoltà di cogliere la crisi al suo insorgere, propone di allargare l’utilizzazione dell’istituto dell’esercizio provvisorio ex art. 90 L.F. per favorire la continuazione dell’impresa e di utilizzare più largamente in sede fallimentare 1’istituto dell’affitto dell’ azienda.

Il Dott. Greco, concordando, propone di “rimodellare l’art. 90 L.F. e di dare maggiore attuazione all’art. 191 con la gestione del Commissario Giudiziario”.

Il Dott. Mazzocca, pur riconoscendo l’utilità dell’invocato esercizio provvisorio, esprime preoccupazioni per un uso troppo diffuso dell’art. 90, non solo per le concrete e note difficoltà operative che coinvolgono pesantemente il Giudice Delegato ma, soprattutto, il Curatore, ma ancor più per la possibilità rilevante che, nell’attuazione -come spesso è avvenuto - invece che un beneficio, si verifica un maggior danno per l’impresa e creditori (problematici, del resto, appaiono i necessari finanziamenti).

Ritiene che meglio risponda l’istituto dell’affitto.

Conclusivamente, lo schema proposto dal Gruppo si articola:

a) un primo momento processuale destinato ad un approfondimento dell’esame della situazione aziendale, anche in relazione alle cause della crisi ( ed in tal opera appare importante anche l’utilizzazione maggiore, sia pure a livello ausiliario, di tecnici quali i Dottori commercialisti);

b) un secondo momento in cui si stabilisce la possibilità di attuazione di uno schema di risanamento o, invece, la necessità di un’immediata liquidazione;

c) nel caso di tentativo di risanamento, nel momento in cui si riconoscesse l’esito infruttuoso, si passerebbe, inevitabilmente, alla liquidazione;

d) la liquidazione collettiva dovrebbe essere, comunque, subordinata ad una concreta previsione di distribuzione di una percentuale ( da identificarsi ) ai creditori, ad evitare inutili procedure che sottraggano per anni tempi all’ufficio fallimentare ( a scapito delle atre procedure più importanti ) e non risultino, in definitiva, di alcun interesse per i creditori.

Ciò impone che, all’esito dell’indicato primo esame, il Giudice emetta solo una dichiarazione di insolvenza, che produrrà effetti operativi diversi a seconda dei casi.

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Quanto al mantenimento delle attuali procedure concorsuali minori, il Gruppo ritiene necessario un approfondimento da parte della Commissione, anche alla luce della recente riforma della amministrazione straordinaria che, allargando l’ambito di applicazione, sembra aver già inciso sul quadro generale in danno di altra.

In ordine a tale innovazione, il Gruppo esprime forti perplessità particolarmente per la rilevante Sottrazione della stessa all’intervento più continuo dell’autorità giudiziaria, con una accentuata prevalenza della competenza del potere esecutivo.

Il Dott. Mazzocca, comunque, opina in generale (e l’osservazione - allo stato – è particolarmente riferita all’Amministrazione controllata, ma può estendersi) che vada allargata la legittimazione a chiedere la procedura ( o almeno, a segnalarne l’opportunità al Giudice) ad evitare che il solo debitore legittimato vi ricorra troppo tardi. Osserva, però, che dovrebbero prevedersi misure più idonee per agevolare, in tale fase di iniziativa, l’imprenditore in un certo grado di dissesto aziendale concedendo una maggiore mobilità del personale, agevolazioni fiscali ecc.

Nel corso della procedura, poi, si palesa l’inevitabilità di finanziamenti da favorirsi, nell’ovvia difficoltà per l’imprenditore, a causa delle sue condizioni economiche, di reperirli sul mercato finanziario.

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Passando, poi, ad alcuni aspetti essenziali della procedura attuale di fallimento, il Gruppo ritiene che vada molto allargata la competenza del Giudice delegato sì da renderlo ancor meglio un soggetto attivo della procedura.

Per quanto attiene alle autorizzazioni ( art. 25 e segg. L.F.), appare opportuno non far dipendere il Giudice delegato continuamente dalle decisioni del Tribunale ( già oberato di lavoro ritardante); così potrà aversi una procedura più agile ed efficace.

Il Dott. Mazzocca ritiene da semplificarsi le vendite fallimentari allo stato ritardanti tutta la procedura, anche per insufficienza del personale.

Il Dott. Staiano ritiene che l’istituto della revocatoria fallimentare vada mantenuto ma evitando le distorsioni ed eccessi di oggi.


Il Dott. Mazzocca ritiene che vada accentuata (quindi, limitando alquanto le ipotesi) il carattere illecito della revocatoria da lui stesso allo stato già riconosciuto, ma ancora controverso in Dottrina.

Il Dott. Greco, anche nel suo allegato, concorda sul fatto che la revocatoria, da limitarsi ad un anno, vada considerata come strumento di repressione di frodi.

Concordano sull’opportunità di rivisitazione dell’istituto della revocatoria gli altri componenti del Gruppo.

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Si dà atto che, nel primo incontro del 12/11/1999 (nell’assenza, per impedimento, del Prof. Alfonso Castello D’Antonio, dell’Avv. Renato Sgroi Santagati e dell’Avv. Giovanni Tortorici ) si è proceduto alla discussione del tema e che in quello successivo del 29/11/99 si procede all’approvazione della relazione redatta dal Presidente.

Addì 29/11/1999 IL PRESIDENTE

Dott. Domenico Mazzocca


PROPOSTA Dl RIFORMA

del gruppo di Napoli

Organi del fallimento.

L’ufficio fallimentare, definizione che conserva Ia sua utilità, rendendo meglio lo stretto collegamento come unità operativa del distinto organo, conserva Ia sua attuale articolazione con l’aggiunta di un organo commissariale operante nella fase preliminare che precede Ia dichiarazione di fallimento vera e propria o meglio Ia fase di liquidazione, ove sia ritenuta dovuta dopo il precedente periodo di accertamento delle reali condizioni dell’impresa, ipotizzato nello schema del gruppo di lavoro diretto dal dottor Mazzocca.

Quindi l’ufficio è così composto:

1. II Tribunale

2. II Giudice delegato

3. II Commissario

4. II Curatore fallimentare

5. Il Comitato dei creditori

II Tribunale fallimentare resta l’organo sovrano e direttivo della procedura con possibilità di intervento nei vari momenti ed al quale compete l’apertura e Ia chiusura della procedura in camera di consiglio, come attualmente. Le sue competenze trovano un limite nel riconoscimento di una competenza esclusiva in materia molto limitata devoluta alla discrezionalità del giudice delegato (vedi appresso).

Per accelerare i tempi della procedura, ritardata spesso anche dalla necessità attuale di coinvolgimento nelle decisioni, particolarmente di autorizzazione sollecitate dai vari giudici tenuti a farlo, si propone di modificare il sistema fissato dagli artt. 23ss. L.F. La riforma, peraltro, si pone in armonia anche con Ia recente modifica processuale con l’istituzione del giudice unico e monocratico.

Le funzioni da confermare: valutazione della domanda relativa all’imprenditore insolvente o in crisi (secondo le scelte che saranno fatte), dichiarazione dello stato di insolvenza (o di crisi), nomina del giudice delegato e Commissario, nuova valutazione e decisione all’esito del primo periodo,


nomina del giudice delegato (confermandolo) e del curatore (sembra opportuna Ia conferma del commissario) e le altre disposizioni già previste dall’art. 23.

La competenza a conoscere di tutte le azioni che derivano dal fallimento (art.24) e quella relativa agli altri momenti fondamentali della procedura come l’approvazione del rendiconto del curatore, del progetto di ripartizione dell’attivo, nonché il provvedimento di chiusura e di riapertura del fallimento.

E’ opportuno conservare anche Ia sua competenza relativamente all’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio provvisorio dell’impresa.

Conservare il dettato dell’art.26 relativo al reclamo contro i decreti del giudice delegato, con lieve aumento del termine per proporlo (con Ia riserva per alcuni tipi di provvedimenti indicati di seguito).

Il Giudice delegato

Sembra opportuno, per le considerazioni già indicate e particolarmente in armonia con la riforma processuale civile, ampliare le funzioni del giudice delegato con Ia contemporanea riduzione di quelle del tribunale, accertando così il dinamismo della procedura.

Non modificata Ia sua competenza in materia di accertamento del passivo fallimentare.

Sostanzialmente immutato potrebbe rimanere II disposto dell’art.25, salvo una modifica del n.4 potendosi lasciare al curatore il potere di nominare “le persone Ia cui opera è richiesta nell’interesse del fallimento”, salvo che non si tratti di notevole attività continuativa e particolarmente di natura professionale intellettuale, sempre informandone il giudice nelle sue periodiche relazioni.

Risolvendo annosa questione prevedere Ia possibilità di autorizzazioni verbali del giudice, in coerenza con l’evoluzione dei mezzi di trasmissione e considerando i casi di urgenza.

Pur dopo l’esecuzione se urgente deve essere dato atto nella forma scritta dell’autorizzazione.

In adesione a non poche sollecitazioni dottrinali sembra però congruo riservare all’esclusiva competenza del giudice delegato, nell’ambito della sua funzione direttiva della procedura (che rende prevalente talvolta anche ragioni di opportunità manageriale) alcuni atti come tali non soggetti a reclamo.


In particolare, le specifiche competenze in materia di vendita immobiliare, specie se si conserva l’attuale sistema di rinvio delle norme sull’espropriazione contenute nel codice di rito (ma sembra opportuno prevedere maggiore possibilità di vendita meno processualizzata, riducendo così anche i tempi della procedura), già limitano le possibilità del reclamo.

Si ritiene applicabile il principio particolarmente per l’autorizzazione a stare in giudizio (art.25 n.5) per Ia quale Ia valutazione dell’utilità di proporre Ia domanda ed ancora più il gravame deve essere fatta, pur con senso di responsabilità, più nella considerazione della posizione di parte che assume la procedura (e, quindi, i creditori) a mezzo del curatore.

Varie ragioni di opportunità (che chi ha gestito le procedure conosce bene) inducono talvolta il giudice a proporre impugnazione avverso Ia decisione alla quale collegialmente ha partecipato ed eventualmente contraria al fallimento (massa del creditore). In tale situazione appare incongruo condizionare di fatto Ia proponibilità alla decisione del tribunale che in sede di reclamo non potrebbe che confermare Ia bontà della propria precedente decisione (come gli studiosi sanno essere già avvenuto)!

Con Ia detta limitazione l’art.26 potrebbe essere conservato, anzi con Ia precisazione che il reclamo può essere proposto anche in materia di diritti soggettivi, impregiudicata naturalmente Ia successiva ordinaria azione giudiziaria.

La precisazione risolverebbe Ia questione che ha suscitato gravoso dibattito ed inconvenienti assicurando nel contempo un mezzo rapido di risoluzione della questione, spesso appagante.

In generale per le autorizzazioni potrebbe utilmente prevedersi Ia facoltà del giudice di richiedere Ia decisione collegiale per particolari autorizzazioni o valutazioni particolarmente importanti e complesse.

II Commissario

Qualora si dia spazio ad una prima fase esplorativa della situazione

economica e finanziaria dell’impresa al fine di conservarne il valore economico aziendale, andrebbe costituta Ia figura del commissario da scegliersi preferibilmente tra professionisti tecnici.

Il Commissario dovrebbe procedere all’inventario dei beni ed informare i creditori anche al fine di stimolarne proposte di conservazione dell’impresa.


Tale coinvolgimento dei creditori, specie i maggiori, potrebbe stimolarsi anche con incontro di esame delle prospettive concrete che potrebbero indurre gli interessati a iniziative di sostegno.

La relazione del commissario dovrebbe poi orientare i provvedimenti del tribunale.

I concreti poteri del commissario dipendono dall’orientamento del riformatore in ordine alla situazione che avrebbe l’impresa (anche essenzialmente sotto il profilo dello spossessamento) in tale periodo di approfondimento.

Ad effetti sostanziali dovrebbero corrispondere specifiche funzioni del commissario più o meno analoghe a quelle del curatore.

II Curatore

In gran parte immutata dovrebbe rimanere Ia normativa sul curatore, quale organo prevalentemente esecutivo della procedura.

Con Ia finalità di adeguare i suoi compiti anche a quel carattere più dinamico della procedura, che soffre di continue interferenze e passaggi di carte, considerando anche Ia mutata realtà economica globale, sembra preferibile concedergli maggiore spazio, specie in relazione ad atti di ridotto valore giuridico ed economico.

Si potrebbe liberarlo della necessità di autorizzazione del giudice delegato, oltre che per Ia già indicata nomina di soggetti utili a modeste necessità della procedura, per atti di valore non eccedenti i 5 oppure 10 milioni, ferma Ia necessità di tempestiva notizia al giudice e rimanendo pur sempre anche il controllo successivo in sede di rendiconto.

II Comitato dei creditori.

Non sembrano emergere dall’esperienza particolari necessità di innovazione.

L’organo, purtroppo, funziona male sia per ragioni di disinteresse dei creditori, sia per ragioni di distanze, che rendono anche problematiche le riunioni che sembrano suggerite dall’art.41.

Si potrebbe istituzionalizzare la prassi (almeno a discrezione del giudice secondo valutazioni concrete) dei pareri a mezzo posta per ovviare all’inconveniente.


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II gruppo, in relazioni a tendenze che tendono a consentire un duro sacrificio dei creditori o di parte di esse in considerazione di finalità di recupero dell’impresa, pur riconoscendo la necessità di perseguire tale finalità, ritiene inammissibile che il costo sia rappresentato dal sacrificio del diritti soggettivi di una categoria, come è stato osservato nel recente convegno di Salerno.

Hanno collaborato a questo studio, purtroppo alquanto affrettato per i tempi stretti concessi, i giudici dott. Luigi Abete, dott. Enrico Caria e prof. avv. Guglielmo Landolfi di Napoli.

Napoli, lì 4 luglio 2000

IL PRESIDENTE

S.E. DOTT. DOMENICO MAZZOCCA

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