Difetto di legittimazione attiva del creditore del fallito in merito all'azione surrogatoria svolta successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Avv. Carla Mariani
con studio in Via Po, 24 00198 - ROMA

L'argomento che ci si accinge a trattare, può essere illustrato con l'introduzione di un caso concreto presentatosi davanti un'aula di Tribunale. La vicenda trae origine dalla stipula di alcuni contratti di mutuo fondiario edilizio conclusi tra un Istituto di credito (mutuante) e una Società (mutuataria) che intendeva utilizzare i finanziamenti per la costruzione di un complesso residenziale ed alberghiero su terreni recentemente acquistati. Ad un notaio fu affidato l'incarico di redigere i contratti di mutuo e di porre in essere tutte quelle attività preparatorie, necessarie alla stipula dei contratti e all'iscrizione delle ipoteche, tra cui le visure ipotecarie e le relazioni notarili. Dagli accertamenti compiuti dal professionista non risultò alcuna trascrizione contro la mutuataria né tanto meno alcun vincolo edificatorio e pertanto le parti conclusero l'operazione di finanziamento. La Società procedette alla costruzione degli immobili a cui seguì inaspettatamente un provvedimento amministrativo di demolizione degli edifici realizzati in quanto sui terreni vi era posto un vincolo archeologico ex L. 1089/39 artt. 1,3 e 21 non rilevato dal notaio incaricato. Successivamente, la mutuataria falliva e il mutuante veniva ammesso al passivo del fallimento in base ai crediti derivanti dai contratti di mutuo. L'Istituto di credito, però, non contento, agiva in giudizio nei confronti del notaio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subìti a seguito delle inesatte relazioni notarili relative ai contratti di mutuo e agiva inoltre in via surrogatoria anche per i danni subìti dalla Società mutuataria chiedendo oltretutto che la condanna al risarcimento dovesse avvenire direttamente in proprio favore. Si costituiva in giudizio il Fallimento della Società, rilevando in via preliminare il difetto di legittimazione attiva dell'Istituto di credito relativamente all'azione surrogatoria e al contempo agiva anche nei confronti del notaio per il risarcimento dei danni subìti. Per valutare la fondatezza dell'eccezione preliminare sollevata, sarà opportuno soffermarsi, prima, su alcuni effetti del fallimento relativi ai creditori quali :


1. Il divieto di azioni esecutive individuali nel fallimento. A seguito dell'apertura del fallimento, le ragioni dei creditori del fallito devono essere fatte valere secondo una speciale procedura - concorsuale - la cui finalità è quella di assicurare un uguale trattamento dei creditori sul patrimonio del fallito. La procedura concorsuale prevede in sintesi : la proposizione da parte dei creditori della domanda di insinuazione al passivo per l'accertamento del credito vantato, la formazione dello stato passivo e la attribuzione a questo della esecutività ed infine il conseguimento da parte del creditore del diritto a partecipare, in ragione delle cause legittime di prelazione, alla ripartizione dell'attivo. In questo contesto si inserisce il divieto posto dall'art. 51 l.f. in base al quale" salva diversa applicazione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento". L'azione esecutiva individuale(1) si trasforma in azione esecutiva concorsuale le cui regole sono volte ad assicurare la parità di soddisfazione dei creditori impedendo che i più solleciti nell'esercizio delle azioni esecutive sui beni del fallito, possano avvantaggiarsi rispetto alla massa dei creditori;


2. Legittimazione esclusiva del curatore. Un ulteriore effetto del fallimento sui creditori del fallito consiste nel fatto che se, come è noto, è loro preclusa la possibilità di intraprendere azioni esecutive individuali, le iniziative relative alla gestione e alla conservazione del patrimonio del fallito spettano esclusivamente al curatore. Ne consegue che in pendenza di fallimento non è consentito ai singoli creditori ricorrere nei confronti di terzi con azioni che normalmente gli sono riconosciute dall'ordinamento quali ad esempio la revocatoria ordinaria, le azioni di simulazione, le azioni di nullità e di annullamento le azioni di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci e tutte quelle azioni di ricostruzione del patrimonio del fallito tra cui l'azione surrogatoria (Cass.civ., 28.4.1981, n.2564, in Foro it. 1981, I, 2199 e in Giur. It. 1982, I,352). Con specifico riguardo poi all'azione surrogatoria, la Cassazione (Cass. civ., sez. I, 12.4.1994, n.3413; Cass. civ., sez. I, 6.3.1991, n.2339) ha affermato che "la legittimazione del creditore,ai sensi dell'art. 2900 c.c., a far valere in giudizio i diritti patrimoniali del debitore verso il terzo cessa a seguito della dichiarazione di fallimento del debitore stesso, perché l'apertura della procedura concorsuale, a norma degli artt. 31 e 42 del R.D., priva il fallito della disponibilità e dell'amministrazione dei suoi beni, devolvendola al curatore, sicchè determina il venir meno della configurabilità di un'inattività colpevole dell'obbligato ed al contempo segna il passaggio in via esclusiva al curatore del potere dovere di compiere atti a tutela e conservazione del patrimonio del fallito" e pertanto" il creditore concorrente non può sostituirsi al curatore del fallimento, adducendo l'inerzia dello stesso, per far valer diritti facenti capo al fallito ma può ricorrere solo al giudice delegato ed eventualmente al Tribunale fallimentare perché venga opportunamente controllato l'operato del curatore medesimo e le iniziative da lui assunte " ( Cass. Civ. 9 .12 1966, n.2884, in Dir. Fall. 1967, II, 35) (Cass. civ., sez. I, 6.3.1991, n.2339). Da ultimo si evidenzia un aspetto interessante, specialmente sotto il profilo pratico, e cioè quello relativo alla rilevabilità d'ufficio o da parte di terzi dell'inefficacia dell'azione esecutiva individuale là dove l'espressione "azioni esecutive individuali" deve ritenersi comprensiva anche delle cosiddette azioni di condanna(2) .
La natura pubblicistica del divieto di azioni esecutive sembrerebbe far propendere per la rilevabilità ex officio dell'inopponibilità di eventuali esecuzioni individuali successive alla dichiarazione di fallimento in quanto rivolto a tutelare l'interesse superiore della collettività. In tal senso è orientata la sentenza della Cassazione sopra richiamata (Cass. civ., sez. I, 12.4.1994, n.3413) che considera l'inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio, dell'appello proposto successivamente alla dichiarazione di fallimento "perché proveniente da soggetto ormai privo della titolarità di sostituirsi al creditore nell'esercizio dei suoi diritti verso il debitore" (3). Ritornando al caso in esame, si può ritenere che l'eccezione preliminare, sollevata in giudizio dal Fallimento, sia fondata in quanto il creditore del fallito (Istituto di credito) non poteva surrogarsi ai diritti spettanti alla Società fallita e chiedere oltretutto che l'eventuale risarcimento dovuto dal notaio fosse attribuito direttamente in proprio favore e ciò sia perché a seguito del fallimento è venuta meno la legittimazione all'azione del creditore e sia perché l'azione esercitata costituisce una violazione del principio della par condicio creditorum espresso dall'art. 51 l.f.. L'azione dell'istituto di credito si è, quindi, risolta in un "suggerimento" per il curatore, unico soggetto legittimato a far valere le ragioni del fallito nell'interesse, però, non del singolo creditore ma della massa dei creditori.

NOTE

1)Il divieto di azioni esecutive individuali di cui all'art 51 l.f. non è assoluto, perché restano salve le diverse disposizioni di legge: la riserva è riferita ora al solo credito fondiario; il d.leg.vo 26.2.1999, n.46 ha abrogato l'art 51 del d.p.r. 29.9.2973, n.602 sulla disciplina della riscossione delle imposte sul reddito che stabiliva che il concessionario (già esattore) poteva procedere alla espropriazione anche quando il debitore fosse stato dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione coatta amministrativa.generalmente riservata alla procedura fiscale e al credito fondiario.

2)Cfr. SATTA, Diritto fallimentare, III ediz. Padava, Cedam 1996, pag. 176 il quale sostiene che deve essere respinta la distinzione tra azione di condanna e azione esecutiva perché rappresentano due momenti di un'unica azione che è appunto quella esecutiva.

3)Parte della dottrina e giurisprudenza ritiene però che l'inefficacia delle azioni esecutive possa essere fatta valere solo dal curatore Cfr. G. Lo Cascio, Il Fallimento e le procedure concorsuali, II ediz. IPSOA, pag 170 e Cass. civ. 23.1.1984, n.546, Il Fall. 1984, 712.

 

 

 













 

 

 


2000 (c) ilFallimento.it - Ideato e diretto dal Dott. Raimondo Olmo
Torre Annunziata (Napoli) - Corso Umberto I, n.242