RAPPORTI
TRA GIUDIZIO DI OPPOSIZONE ALLO STATO PASSIVO E PROCEDIMENTO
DI VERIFICAZIONE DEI CREDITI INSINUATI (ORDINANZE CORTE COST.
N. 167/2001 - 304/1998).
L'ISTRUZIONE PROBATORIA NEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE ALLO STATO
PASSIVO.
* * *
1.= Per la corretta disamina della rubricata questione, occorre
anzitutto delineare i rapporti tra il giudizio di opposizione
allo stato passivo e quello precedente di verificazione dei
crediti insinuati.
E' possibile, al riguardo, delineare un duplice livello di
contrapposizione.
Il primo livello rispecchia la nota antitesi tra teoria cognitiva
e teoria non cognitiva del procedimento sommario di verificazione.
In ordine ai tratti essenziali delle accennate teorie, si
osserva che mentre, per i fautori della prima, il giudizio
di opposizione si atteggia come sviluppo od articolazione
ulteriore della vicenda cognitiva aperta dalla domanda d'insinuazione,
per i fautori della seconda, esso rappresenta una parentesi
destinata ad inserirsi nella trama di un procedimento (quello
di verificazione) di differente natura volontaria od esecutiva;
per la precisione, esso costituisce un autonomo incidente
cognitivo, con effetti costitutivi, promosso dal creditore
escluso o ammesso con riserva in funzione dell'annullamento,
per motivi di legittimità, del decreto di esecutività
dello stato passivo (CAVALAGLIO, Fallimento e giudizi pendenti,
Padova 1975, pag. 165 e s.s.).
Il secondo livello, che si colloca all'interno dell'illustrato
filone cognitivo, registra il tradizionale dissidio tra chi,
nell'opposizione allo stato passivo, individua un vero e proprio
giudizio di impugnazione (opzione, invero, prevalente, tanto
nella dottrina che in giurisprudenza) e chi, all'opposto,
semplicemente vi ravvisa, con il non trascurabile avallo della
Corte Costituzionale, gli estremi di una distinta e successiva
fase del giudizio di primo grado, volta al riesame, in sede
di cognizione piena ed esauriente, dei risultati cui sia approdata
la precedente fase sulla scorta della delibazione sommaria
assunta dal g.d.
Per gli accennati interventi chiarificatori della Consulta,
è preferibile aderire all'ultima delle opzioni interpretative,
pur con i correttivi in prosieguo specificati e giustificati
dal perdurante orientamento giurisprudenziale favorevole alla
natura impugnatoria.
Ed invero, anche la Corte costituzionale (ordinanze 28.05.2001
n. 167; 18.07.1998 n. 304; 29.04.1975 n. 94; 18.11.1970 n.
158), investita in più occasioni della q.l.f. degli
artt. 98 e 99 L.F., in relazione agli articoli 3, 24, 101,
104 e 111 Cost. (per asserite: disparità di trattamento
tra opponenti allo stato passivo, costretti a coltivare le
proprie pretese dinanzi ad un giudice che tali pretese ha
già disatteso in altro provvedimento giurisdizionale
di natura decisoria, e tutti gli altri attori di ordinari
giudizi di cognizione; violazione delle garanzie di imparzialità
e terzietà del giudice delegato), nel dichiarare la
manifesta infondatezza delle prospettate q.l.f., ha avuto
modo di affrontare la questione della natura giuridica del
procedimento di opposizione allo stato passivo, svolgendo
ineccepibili ed argomentate considerazioni de iure condito,
che ne escluderebbero categoricamente la natura impugnatoria.
In particolare, la Consulta ha anzitutto riconosciuto che
la verifica dello stato passivo si alterna da una prima fase
sommaria, "fondata su materiale probatorio di carattere
esclusivamente cartolare", ad una successiva eventuale
fase dalla cognizione piena (l'opposizione ex art. 98 L.F.),
"finalizzata a raccogliere elementi utili alla decisione
del collegio sulla base dei motivi dell'opposizione stessa,
suscettibili d'introdurre nuovo materiale probatorio"
(ord. n. 304/1998).
Ma, ad avviso della Consulta, la natura non impugnatoria si
giustifica soprattutto in ragione della circostanza che la
diversa intensità della cognizione (sommaria nella
prima fase e piena nella seconda) non ricade sulla medesima
res iudicata.
Difatti, con l'opposizione allo stato passivo si apre un ordinario
giudizio di cognizione, all'esito del quale il provvedimento
interno ed a rilievo esclusivamente endoconcorsuale (il decreto
di esecutività dello stato passivo) diviene sentenza
idonea al passaggio in giudicato ed a produrre effetti anche
al di fuori della procedura concorsuale.
Quindi, la capacità dell'opposizione di generare effetti
ulteriori ed in qualche modo diversi rispetto a quelli prodotti
dal provvedimento sindacato mal si concilia con i caratteri
propri del mezzo di impugnazione.
In effetti, se l'opposizione avesse funzione di solo controllo
del decreto di esecutività, il provvedimento che dell'opposizione
decide non potrebbe che riformarlo (o confermarlo), mai avere
rispetto ad esso un'efficacia ulteriore e diversa.
Ciò, invece, è quanto ritiene la Consulta nelle
pronunzie in commento, laddove afferma che "alla stregua
del diritto vivente, l'efficacia preclusiva dello stato passivo
non opposto è di natura meramente endoprocessuale e
solo la sentenza resa sull'opposizione è suscettibile
di assumere effetti di giudicato" (ordinanza n. 167/2001).
E' possibile, pertanto, concludere che il giudizio di opposizione
ex art. 98 L.F., quand'anche finalizzato a contestare il contenuto
del decreto di esecutività, rappresenti più
propriamente il completamento dell'iter processuale avviato
dalla domanda di insinuazione e realizzi, dunque, e semplicemente,
la conversione della cognizione da sommaria in ordinaria.
In tale ottica, il giudizio di opposizione può essere
assimilato all'opposizione a decreto ingiuntivo (SATTA, Diritto
fallimentare, 2° edizione, pag. 311), nonché all'opposizione
avverso il decreto di cui all'art. 25 Statuto dei lavoratori
(LANFRANCHI, La verificazione del passivo nel fallimento,
Milano 1979, pag. 426).
Ed ancora in tale ottica va interpretato il consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo cui "L'opposizione allo stato
passivo proposta dal creditore escluso dal concorso fallimentare
costituisce una vera e propria impugnazione del provvedimento
del g.d., con la conseguenza che il tribunale, cui è
devoluta la cognizione di essa, non può pronunciarsi
su questioni non dedotte dall'opponente, dal curatore e dagli
altri creditori eventualmente intervenuti in causa, salvo
che si tratti di questioni rilevabili d'ufficio, né
possono essere proposte domande nuove o più ampie rispetto
a quelle fatte valere in sede di insinuazione al passivo"
(Cass. civ., Sez. I, 25.01.1993, n. 845): la natura di mezzo
di impugnazione, tutt'ora affermata -si ribadisce- dalla prevalente
giurisprudenza, va circoscritta all'inammissibilità
di domande nuove o più ampie rispetto a quelle dedotte
nell'istanza di insinuazione (ad esempio, non è possibile,
in sede di opposizione, modificare la causa di prelazione
oppure il titolo del credito insinuato).
2.=
Dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, possono trarsi
gli ulteriori due corollari, peraltro costantemente affermati
dalla giurisprudenza di merito e legittimità:
= che il giudizio di opposizione investa l'intero rapporto
controverso, con la possibilità per il g.d. di prendere
in considerazione tutte le ragioni ed eccezioni atte a dimostrare
o contrastare il fondamento della domanda di insinuazione;
= che il menzionato giudizio sia soggetto alle regole che
governano l'istruzione probatoria nel procedimento ordinario
(l'unico profilo inquisitorio è, difatti, rappresentato
dalla facoltà di acquisire ex officio il fascicolo
fallimentare), con conseguente diritto del creditore opponente
di avvalersi di tutti i possibili mezzi di prova, anche presuntivi,
e con l'unico limite dell'inopponibilità delle scritture
private prive di data certa anteriore alla dichiarazione di
fallimento, in applicazione, peraltro, del generale principio
sancito dall'art. 2704 c.c., valido ogni qual volta tali scritture
siano opposte ad un soggetto estraneo al rapporto giuridico
del quale esse costituiscono prova scritta.
Sul punto da ultimo accennato, giova precisare che l'inopponibilità
di tali scritture, per costante giurisprudenza (ex multis:
Cass. 1.03.2002 n. 3024; Cass. 23.03.2001 n. 4226; Cass. 9.05.1997
n. 4058), non va intesa in senso assoluto, "
poiché
la disposizione dettata dall'art. 2704 c.c. opera soltanto
quando dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua
data, conseguire effetti negoziali propri della convenzione
contenuta nell'atto e non nel caso in cui la scrittura privata
sia invocata come un mero fatto storico, del quale è
consentita la prova con qualsiasi mezzo, anche con presunzioni"
(così Cass. n. 3024/2002).
In buona sostanza, il creditore che insinui al passivo un
credito fondato su scrittura priva di data certa oppure, addirittura,
accordo verbale sul quantum (e l'ipotesi -si sottolinea- non
è affatto peregrina, attesa la esclusività del
procedimento di verifica), consapevole ab initio di dover
necessariamente ricorrere, all'esito dello scontato rigetto,
al giudizio di opposizione ex art. 98 L.F., può poi
in tale sede ordinaria fornire la prova, con qualsiasi mezzo
istruttorio, anche presuntivo, del fatto storico (stipulazione
della scrittura o dell'accordo verbale), pur non potendone
conseguire, in relazione alla dimostrata anteriorità
alla dichiarazione di fallimento, gli effetti negoziali propri
e cioè quelli che si ricollegano automaticamente alla
regolamentazione convenzionale del rapporto controverso.
Si cita, per tutte, l'ipotesi del lavoratore già alle
dipendenze del fallito, che chieda l'ammissione al passivo
del credito risarcitorio che assume conseguente al licenziamento
illegittimo, allegando un accordo verbale transattivo sul
quantum, convenuto nella misura di n. x mensilità.
In sede di opposizione, non potrà limitarsi alla prova
dell'asserito accordo, ma dovrà dimostrare, in applicazione
degli ordinari criteri di ripartizione dell'onere della prova
ed avvalendosi di tutti i possibili mezzi istruttori, anche
presuntivi, la sussistenza dell'invocato rapporto di lavoro,
la qualifica e le mansioni, l'assenza di giusta causa o giustificato
motivo dell'impugnato licenziamento, nonché allegare
il C.C.N.L. applicabile ed i dati occorrenti alla concreta
liquidazione del credito risarcitorio.
3.=
Fissate le coordinate d'ordine generale, è possibile
a questo punto procedere alla disamina del campionario dei
mezzi di prova destinati a trovare ingresso nel procedimento
di opposizione allo stato passivo.
In merito alle prove c.d. precostituite, il dato essenziale
da porre in rilievo è la radicale esclusione o, quantomeno,
la congrua degradazione -sul piano dell'efficacia probatoria-
di tutti quei documenti "atipici", poiché
di formazione unilaterale (ad esempio, gli estratti di saldaconto
bancari e le fatture commerciali), che invece trovano, o potrebbero
trovare, piena cittadinanza nella precedente fase di verificazione,
in puntuale corrispondenza alle tipiche connotazioni di sommarietà
che contrassegnano la cognizione giudiziale ivi esplicabile.
Il regime della prova documentale vigente nel giudizio di
opposizione allo stato passivo non può, in effetti,
che ricalcare compiutamente quello, corrispondente, del processo
ordinario di cognizione, con l'ulteriore, importante conseguenza
del ritorno in scena dell'onere di disconoscimento delle scritture
private ex adverso prodotte.
Con riguardo, in particolare, alle scritture private del fallito,
in virtù della esclusione di tale soggetto dal novero
delle parti in senso formale del giudizio, l'onere del disconoscimento
verrà giocoforza a ricadere sul Curatore.
Giova inoltre rammentare che l'inopponibilità delle
scritture private prive di data certa anteriore al fallimento
si riferisce unicamente alla data, cioè al momento
di stipulazione del documento, e non già ai rapporti
tra le parti, che quelle scritture hanno pur sempre sottoscritto,
sicchè la prova di tali rapporti e della loro anteriorità
al fallimento può essere fornita con qualsiasi mezzo
istruttorio.
Parimenti può tranquillamente mutuarsi la disciplina
codicistica in materia di prove costituende, sia per quanto
attiene all'iter procedurale di assunzione del singolo mezzo
che, più a monte, per ciò che concerne il catalogo
dei mezzi disponibili.
Va tuttavia segnalata l'inammissibilità dell'interrogatorio
formale e giuramento decisorio del fallito, in quanto privo
della qualità di parte, sia in senso formale che sostanziale.
Altrettanto inammissibile è l'interrogatorio formale
del Curatore, specie allorquando involge vicende contrattuali
del fallito o le scritture contabili ad esse inerenti, non
avendo il nominato organo della procedura -parte imparziale
anche nel giudizio di opposizione (e che alcuni autori assimilano
al P.M.)- la disponibilità del diritto conteso e non
potendo, pertanto, rendere alcuna confessione (Cass. n. 629/1995).
Nessun dubbio può invece nutrirsi in ordine all'ammissibilità
della prova testimoniale: "Nei confronti del fallimento
anche le testimonianze sono ammissibili come prova del credito
(e della sua anteriorità rispetto alla dichiarazione
di fallimento) quando non sia richiesta la forma scritta ad
probationem, come nei mutui di somme di denaro non regolati
da leggi speciali." (Cass. civ. n. 3347/1994).
Occorre peraltro rimarcarne la specifica inammissibilità
allorché si tratti dell'escussione di creditori concorrenti
nel fallimento, quindi legittimati a spiegare intervento,
ai sensi dell'u.c. dell'art. 98 L.F., e pertanto soggetti
al generale divieto di cui all'art. 246 c.p.c.
Perfettamente ammissibile è anche l'istanza di esibizione
delle scritture contabili o documenti del fallito.
Il destinatario del relativo ordine non potrà che essere
il Curatore, parte in senso formale del giudizio di opposizione,
nonché detentore di tali scritture o documenti, di
cui, con il fallimento, ha difatti assunto la custodia ed
esclusiva disponibilità, ai sensi dell'art. 88 L.F.
(Il Curatore prende in consegna
insieme con le scritture
contabili e i documenti del fallito).
Da ultimo, occorre sottolineare come oggetto di concorde riconoscimento
sia la possibilità di fondare il giudizio sulla base
di mere presunzioni, purchè rispondenti ai requisiti
di cui all'art. 2729 c.c.
Come fonti indiziarie privilegiate, si è soliti indicare
le prove raccolte in altro procedimento, in particolare, quello
pendente in sede ordinaria sullo stesso diritto di credito
e, perciò, dichiarato improseguibile, per effetto della
dichiarazione di fallimento ("A seguito del fallimento
del debitore è improseguibile davanti al giudice di
cognizione ordinaria -e va, pertanto trasferita nella sede
prevista per formazione del passivo fallimentare- l'azione
di mero accertamento, quando la relativa pronuncia costituisce
la base concettuale di una pretesa creditoria deducibile in
sede concorsuale, salvo che il creditore non dichiari espressamente
di voler utilizzare il titolo così ottenuto contro
l'imprenditore solo dopo il suo ritorno in bonis": Cass.
n. 11038/1991).
Avv.
Romolo D'Argento
|