LA
COMPETENZA FUNZIONALE DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE (ART. 24
L.F.) ED IL DIVIETO DI AZIONI ESECUTIVE INDIVIDUALI (ART.
51 L.F.) CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI CREDITI PREDEDUCIBILI
(NOTA A SENTENZA CORTE APPELLO L'AQUILA N. 613/2003).
* * *
1.= PREMESSA SUI FATTI DI CAUSA.
Con sentenza n. 160/2000 in data 18.04.2000, il Giudice unico
del Tribunale di Teramo, in accoglimento dell'opposizione
ex. art. 615 c.p.c. proposta dalla Curatela del fallimento
"ALFA S.r.l.":
= ha ritenuto che la competenza funzionale del Tribunale fallimentare
prevalesse su quella ratione valoris del Giudice di Pace;
= ha dichiarato l'illegittimità del precetto intimato
alla nominata Curatela opponente dalla Società "BETA
S.r.l.", in forza di sentenza definitiva del Pretore
di Neretto n. 63/1997, per il pagamento della complessiva
somma di L. 3.615.738 a titolo di spese processuali poste
a carico della Curatela fallimentare, quale parte soccombente
nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo deciso con
la citata sentenza pretorile, nonché di spese e competenze
dell'atto di precetto.
Con sentenza n. 613/2003 in data 31.07.2003, la Corte di Appello
de' L'Aquila ha confermato integralmente e pedissequamente
la menzionata sentenza di primo grado.
Circostanza pacifica tra le parti, peraltro coperta dal giudicato
interno, era la classificazione del credito precettato nella
categoria dei c.d. "crediti verso la massa", tali
essendo nella prassi definiti i crediti cui corrispondono,
nel lato passivo del rapporto, i debiti assunti direttamente
dall'Ufficio fallimentare (c.d. "debiti di massa")
e contraddistinti, ex art. 111 L.F., dal regime giuridico
della prededuzione, che attribuisce ad essi il diritto di
essere soddisfatti integralmente ed alla scadenza, con priorità
rispetto ai crediti concorsuali (anche se assistiti da cause
di prelazione), in applicazione del principio prior in tempore,
potior in iure.
Il credito precettato era, difatti, consacrato nella sentenza
del V.P.O. di Nereto n. 63/1997, notificata in data 30.03.1998,
passata in giudicato alla data di notifica dell'opposto atto
di precetto, resa nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo
richiesto ed ottenuto dalla Curatela fallimentare per il pagamento
di un preteso credito del fallito, nelle more rivelatosi insussistente,
e si ricollegava, quindi, al rapporto processuale instaurato
dalla Curatela fallimentare con domanda monitoria al Giudice
competente ratione valoris (e non al Tribunale fallimentare,
trattandosi di azione relativa ad un rapporto già esistente
nel patrimonio del fallito), rapporto regolato dalla citata
sentenza pretorile con condanna della Curatela fallimentare
alla rifusione delle spese processuali.
Quindi, il credito precettato:
a) si annoverava nella categoria dei crediti verso la massa,
ed era in quanto tale sottratto alle regole della par condicio,
sia con riferimento al criterio c.d. cronologico (poichè
conseguente ad obbligazione sorta dopo l'apertura del concorso),
sia con riferimento al criterio c.d. soggettivo (poichè
il fatto genetico era riconducibile unicamente all'attività
processale della Curatela fallimentare, all'uopo debitamente
autorizzata dal G.d., ai sensi dell'art. 25 L.F.);
b) era contraddistinto dai requisiti della certezza, liquidità
ed esigibilità, poichè assistito da valido titolo
esecutivo giudiziale in danno della Curatela fallimentare.
2.= LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI CREDITI PREDEDUCIBILI (ART.
111 L.F.).
Delineati gli aspetti salienti della prededuzione, occorre
individuare i mezzi di tutela giurisdizionale concessi ai
creditori della massa, muovendo l'indagine dall'esame dell'unico
dato normativo in materia, costituito dall'art. 111 L.F.
A tal fine, vanno chiariti significato e portata dell'ultimo
comma del citato art. 111 L.F., secondo cui i prelevamenti
per il pagamento dei crediti prededucibili "sono determinati
con decreto dal G.d.", e stabilire se esso preveda un
diverso sistema di accertamento dei crediti suddetti, così
sottraendoli al procedimento di verifica di cui agli artt.
93 e segg. L.F.
All'enunciato quesito ha risposto esaustivamente la Suprema
Corte (ex multis: Cass. 8.05.91 n. 5124; Cass. 5.07.88 n.
4421), ritenendo che il decreto di cui all'ultimo comma dell'art.
111 L.F. non è uno strumento predisposto per la soluzione
di controversie, ma ha funzione meramente ricognitiva e satisfattiva,
poiché identifica i debiti di massa che già
risultano da titolo giustificativo -costituito dal decreto
emesso dal G.d. nell'esercizio dei suoi poteri di direzione,
ex art. 25 n. 4-6-7 L.F., o da provvedimento giurisdizionale-
e si concreta nella mera operazione contabile-amministrativa
di emissione del mandato di pagamento di cui all'art. 34 L.F.
In buona sostanza, il decreto de quo si sostanzia in un provvedimento
esecutivo, alternativo al riparto, con il quale il G.d. autorizza
il pagamento dei crediti prededucibili certi nell'an e nel
quantum (ed invero, non avrebbe senso imporre al creditore
della massa, già munito di idoneo titolo giustificativo,
il ricorso ad un'ulteriore forma di accertamento).
Consegue che solo in presenza di contestazioni in ordine alla
sussistenza, entità e rango, il titolare di credito
che si assume prededucibile dovrà ricorrere al procedimento
di verifica di cui agli artt. 93 e segg. L.F., non potendo
neppure avvalersi, in ipotesi di rigetto dell'istanza di pagamento
previamente proposta, del reclamo di cui all'art. 26 L.F.
(con l'eventuale successivo ricorso per cassazione, ex art.
111 Cost.).
L'illustrata connotazione dell'esenzione dal procedimento
di verifica riveste valenza decisiva, determinando anche differenti
modalità di pagamento: per i crediti verso la massa
certi nell'an e nel quantum, il Curatore -previa autorizzazione
del G.d., ex art. 111 L.F.- provvede prima della ripartizione
dell'attivo in favore dei creditori concorsuali, mediante
prelievo delle somme occorrenti dal libretto di deposito di
cui all' art. 34 L.F.
Pertanto, le somme de quibus, seppure esposte nel progetto
di ripartizione, non sono elencate nell'ordine di distribuzione
delle attività fallimentari disponibili, bensì
in premessa separata, quali somme già erogate o in
via di erogazione per il pagamento di crediti prededucibili.
Consegue che i crediti verso la massa certi nell'an e nel
quantum risultano altresì caratterizzati dall'attitudine
ad ottenere soddisfazione al di fuori dei meccanismi del riparto,
ergo con precedenza rispetto agli altri crediti.
Tale sottrazione al sistema del concorso sostanziale, accompagnandosi
alla dispensa dall'onere della previa verifica endofallimentare
di cui all'art. 52 comma 2 L.F., implica (e non può
che implicare) deroga al principio della par condicio creditorum.
L'ulteriore aspetto che caratterizza i crediti verso la massa
certi nell'an e nel quantum, peraltro affermato anche dalla
prevalente giurisprudenza di legittimità proprio con
riferimento agli interessi di mora (ex multis: Cass. 17.04.97
n. 3296; Cass. 6.03.92 n. 2716; Cass. 15.07.92 n. 8590; Cass.
1.08.92 n. 9161), attiene alla inapplicabilità dell'art.
55 L.F.: in relazione ad essi, sono, perciò, configurabili
sia la mora debendi che il maggior danno.
La ratio dell'inapplicabilità, ad avviso della Suprema
Corte, risiede nelle seguenti considerazioni:
1) l'art. 111, benché titolato "ordine di distribuzione
delle somme", individua -ed esso solo- i crediti di massa:
deve inferirsi che la disciplina di questi sia esaustiva,
specie considerando che detto articolo non rinvia al precedente
art. 55;
2) l'art. 55 disciplina i crediti già esistenti al
momento del fallimento, e, pertanto, non può riferirsi
a quelli di massa, i quali, per loro natura, sono ad essi
successivi;
3) l'art. 55 disciplina le diverse categorie di crediti, ma
non quelli di massa: tale omissione, correlata al rilievo
che questi ultimi sono dichiarati prededucibili, e quindi
sono stati considerati prioritari rispetto a tutti gli altri,
fa ritenere che la sospensione degli interessi sia stata esclusa
per i crediti di massa;
4) l'art. 55 riferisce espressamente la sua disciplina "agli
effetti del concorso": con ciò esclude che essa
possa applicarsi ai crediti di massa, i quali, in quanto prededucibili,
sono esclusi dallo stesso;
5) il debito di massa, che è tale perché è
stato contratto dagli organi fallimentari, proprio perciò
non può che esserlo nella sua interezza, e quindi comprensivo
dei suoi accessori, tanto più se -come gli interessi
convenzionali- espressamente pattuiti (così Cass. 1.08.92
n. 9161).
3.= LA COMPETENZA FUNZIONALE DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE (ART.
24 L.F.).
L'elaborazione giurisprudenziale ha ormai chiarito il significato
e la portata della locuzione "azioni derivanti dal fallimento",
utilizzata dall'art. 24 L.F. per individuare le controversie
soggette alla vis attractiva del Tribunale fallimentare, pervenendo
ad un'interpretazione a tal punto estensiva da ricomprendere
tra le azioni de quibus non soltanto quelle che incidono sul
patrimonio del fallito e sono, perciò, soggette alle
regole concorsuali, ma anche quelle, ancorché relative
a rapporti preesistenti, che per effetto del fallimento subiscono
deviazioni dallo schema legale tipico.
La Corte di Appello aquilana, con motivazione estremamente
concisa, dopo aver richiamato il citato consolidato orientamento
giurisprudenziale ed un precedente giurisprudenziale assolutamente
non pertinente (Cass. 8.10.1974 n. 2683, afferente ad opposizione
di terzo pendente alla data di fallimento del debitore esecutato,
quindi ad azione che, presupponendo la rivendicazione di un
bene già nel possesso del fallito e compreso, pertanto,
nell'intervenuto fallimento, avrebbe senz'altro inciso sul
patrimonio del medesimo fallito) ha ritenuto che "dichiarato
il fallimento, anche la competenza in materia di esecuzione
forzata, che è di carattere funzionale, cede a quella
del Tribunale fallimentare".
Appare di tutta evidenza come una motivazione siffatta, esaurendosi
nella mera enunciazione di pacifici principi giurisprudenziali
astrattamente validi per tutti gli usi, sia assolutamente
inidonea alla ricostruzione della ratio decidendi, atteso
che -nella sostanza- assimila i crediti prededucibili assistiti
da valido titolo esecutivo giudiziale in danno di Curatela
fallimentare ai crediti concorsuali, omettendo di considerare
che, per effetto della differente disciplina (nel precedente
paragrafo illustrata) cui i primi sono assoggettati sia nella
fase di verifica del passivo che in quella satisfattiva, il
ricorso all'azione esecutiva per conseguirne il pagamento
non avrebbe inciso sul patrimonio del fallito, né avrebbe
alterato la par condicio creditorum.
Ed invero, in relazione alle due proposizioni che precedono,
era fin troppo agevole osservare:
a) che il credito precettato, poiché consacrato in
un provvedimento giurisdizionale definitivo, previamente notificato
in forma esecutiva, già costituiva un'appostazione
debitoria dell'attivo fallimentare; quindi, il fatto genetico
che ha validamente ed irreversibilmente inciso sulle attività
fallimentari era precedente alla preannunciata azione esecutiva;
b) che il credito precettato, poiché prededucibile
e certo nell'an e nel quantum, era sottratto alle regole della
par condicio; quindi, doveva essere tacitato senza indugio,
prima dei riparti (parziali o finale), ricorrendo al decreto
di cui all'art. 111 ultimo comma L.F.
Alla stregua delle osservazioni appena esposte, risulta totalmente
destituita di giuridico fondamento la ritenuta competenza
funzionale del Tribunale fallimentare, altresì viziata
da errore di diritto macroscopico e grossolano laddove, tra
le righe della sentenza in rassegna, sembrerebbe affermarsi
che la competenza funzionale in materia di espropriazione
forzata, prevista dall'art. 16 c.p.c., si riferisce anche
all'eventuale ordinario giudizio di opposizione all'esecuzione.
Tale evidente infondatezza si evince viepiù ove si
consideri che il credito precettato:
a) traeva origine dal rapporto processuale (e non sostanziale)
tra la Curatela fallimentare (ingiungente-opposta) e la Società
appellante (ingiunta-opponente), rapporto instauratosi nelle
more della procedura concorsuale ed al quale la Società
fallita era totalmente estranea.
b) presupponeva la notifica di valido titolo esecutivo giudiziale,
rappresentato dalla sentenza del V.P.O. di Nereto che aveva
regolato il menzionato rapporto con condanna della soccombente
Curatela fallimentare alla rifusione delle spese processuali.
Quindi, l'azione de qua rappresentava la naturale conseguenza
dell'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria risultante
da titolo esecutivo giudiziale, posto che aveva ad oggetto
la realizzazione coattiva di un diritto soggettivo di credito
"perfetto", ovvero non sottoposto alle rigide regole
(previa verifica, ex art. 93 e segg. L.F.; pagamento in sede
di riparto) ed agli effetti (la falcidia) della procedura
concorsuale, né dalla stessa altrimenti influenzato
(non potendo neppure applicarsi l'art. 51 L.F., per le ragioni
di cui al successivo paragrafo).
Ed allora, melius re perpensa, nessun dubbio poteva nutrirsi
in ordine alla giuridica impossibilità di qualificarla
come "azione derivante dal fallimento" ed alla conseguente
inoperatività della vis attractiva di cui all'art.
24 L.F.
Poteva, dunque, affermarsi che non vi erano valide ragioni
ostative all'applicabilità degli ordinari criteri di
ripartizione della competenza, ponendosi la preannunciata
azione esecutiva in rapporto storico e di mera occasionalità
con il fallimento e non assumendo, per effetto di esso, alcuna
particolare connotazione che non fosse la natura pubblica
del debitore esecutato, quale organo di procedura concorsuale.
4.= IL DIVIETO DI AZIONI ESECUTIVE INDIVIDUALI (ART. 51 L.F.).
La Corte di Appello aquilana ha pure ritenuto -nella sostanza-
che il divieto di azioni esecutive individuali sul patrimonio
del fallito avrebbe carattere assoluto ed inderogabile, colpendo
indistintamente tutti i creditori, ancorchè titolari
di crediti prededucibili assistiti da valido titolo esecutivo
giudiziale, ed ha perentoriamente giustificato l'asserita
uniformità di disciplina affermando che "il divieto
posto dall'art. 51 L.F.
riguarda anche i debiti di
massa".
Tale apodittica affermazione, ancora una volta, denota l'omessa
considerazione della differente disciplina cui i crediti prededucibili
certi nell'an e nel quantum sono assoggettati sia nella fase
di verifica del passivo che in quella satisfattiva, differente
disciplina che, invece, li sottrae alle regole del concorso.
Senza ovviamente trascurare che anche in questa occasione
il Giudice di appello ha richiamato, a sostegno del decisum,
un precedente giurisprudenziale assolutamente non pertinente
(Cass. 13.12.86 n. 7492), poiché afferente alla diversa
ipotesi di sentenza di condanna al pagamento di differenze
retributive (e non di spese processuali, come si afferma in
maniera del tutto arbitraria ed erronea nella sentenza impugnata)
erroneamente emessa dal Tribunale di Napoli in danno di Curatela
fallimentare, anziché del fallito datore di lavoro,
all'esito di impugnazione dalla medesima Curatela proposta
in via incidentale, ex art. 95 comma 3 L.F., al fine di non
ammettere al passivo il credito di lavoro che già risultava
da sentenza pretorile in danno del datore, non passata in
giudicato alla data di dichiarazione del fallimento.
Con la citata pronunzia, la Suprema Corte, pur riconoscendo
che il Tribunale avrebbe dovuto emettere anche la sentenza
di appello in danno del fallito datore, ha ritenuto che l'irregolare
formulazione del dispositivo costituisse un mero errore di
carattere formale, che non incideva sulla natura e sugli effetti
della pronunzia, posto che, in virtù del divieto di
cui all'art. 51 L.F., essa aveva la portata decisoria di una
sentenza di accertamento e non era, pertanto, eseguibile nei
confronti del fallimento, bensì utilizzabile unicamente
per l'ammissione al passivo.
Per contro, nel caso deciso dalla sentenza in rassegna, la
sentenza pretorile di condanna era assolutamente immune da
vizi od errori di sorta ed era stata correttamente emessa
in danno della parte processuale soccombente, tale essendo
la Curatela fallimentare, ai sensi dell'art. 43 L.F.; essa,
pertanto, non rivestiva la portata decisoria di una sentenza
di accertamento.
In buona sostanza, la richiamata sentenza della Suprema Corte
si riferisce ad un credito concorsuale, in quanto tale assoggettato
alla necessaria verifica endofallimentare, ai sensi degli
artt. 93 e segg. L.F.; la sentenza pretorile in forza della
quale è stato intimato il precetto si riferisce, invece,
ad un credito verso la massa, in quanto tale sottratto alla
previa verifica endofallimentare (siccome risultante da provvedimento
giurisdizionale) e da pagarsi senza indugio, in regime di
prededuzione (così come avviene per il compenso professionale
maturato dal procuratore costituito della Curatela fallimentare),
ricorrendo al decreto di cui all'art. 111 L.F.
Parimenti non pertinenti si appalesano le sentenze della Suprema
Corte n. 16429/2002 e n. 7704/1998, pure richiamate, rispettivamente
pronunziate in relazione alle procedure di amministrazione
straordinaria e concordato preventivo ed entrambe afferenti
ad ordinarie azioni di cognizione proposte davanti all'A.G.
per crediti prededucibili sprovvisti di idoneo titolo giustificativo
ovvero contestati, pertanto assoggettati alla indefettibile
previa verifica da parte degli organi della procedura concorsuale.
Il precedente della Suprema Corte cui correttamente occorreva
riferirsi è costituito, invece, dalla sentenza n. 5345/1984,
che ha ritenuto doveroso distinguere tra crediti prededucibili
sorti nel corso della procedura fallimentare e crediti sorti
nel quadro di una procedura concorsuale anteriore (o, comunque,
prima del fallimento e nei limiti in cui possa riconoscersi
il regime della prededuzione): i primi, muniti di sufficiente
grado di certezza, in quanto assunti direttamente dal Curatore
sotto la direzione del G.d., e perciò dispensati dall'onere
della previa verifica endofallimentare, fatta eccezione per
l'ipotesi di promossa contestazione nei loro riguardi; i secondi,
incerti o controversi per definizione, siccome sorti senza
la partecipazione degli organi fallimentari, e perciò
necessariamente sottoposti al procedimento di verifica.
Come si evince de plano dalle censure appena esposte, la Corte
di Appello aquilana è incorsa in errori di diritto
evidenti, nonché nella mera apparenza della motivazione,
per l'assoluta carenza dell'iter logico ed argomentativo che
sorregge e giustifica la ratio decidendi.
Il Giudice di appello ha, difatti, obliterato l'incidenza
della differente disciplina dei crediti prededucibili certi
nell'an e nel quantum, poiché assistiti da valido titolo
esecutivo giudiziale, differente disciplina che, come già
evidenziato, si sostanzia:
a) nell'esenzione dal procedimento di verifica;
b) nel pagamento alla scadenza, previa adozione da parte del
G.d. di atto dovuto meramente esecutivo (il decreto ex art.
111 L.F.);
c) nella decorrenza degli interessi moratori e configurabilità
del maggior danno, in deroga all'art 55 L.F.
Orbene, tali aspetti di differenziazione, se correlati alla
ratio ed alla corretta esegesi dell'art. 51 L.F., escludevano
categoricamente l'applicabilità del divieto di azioni
esecutive individuali sul patrimonio del fallito.
Ed invero, quanto alla ratio, si osserva che il blocco totale
delle azioni esecutive individuali è giustificato dalla
necessità di garantire la par condicio creditorum,
evitando che la procedura esecutiva collettiva subisca interferenze
capaci di ridurre la consistenza patrimoniale del fallito,
ad esclusivo vantaggio di singoli creditori concorsuali; quindi,
la ratio non consente l'estensione del divieto ai creditori
della massa assistiti da valido titolo esecutivo, esclusi
per definizione dal concorso e da pagarsi in prededuzione,
tanto più ove si consideri che il successivo art. 52
L.F. esplicita la ragione del divieto con la concessa opportunità
di sostituire, mediante insinuazione al passivo, all'azione
esecutiva individuale quella concorsuale.
In buona sostanza, mentre per i creditori del fallito il sacrificio
del diritto di agire in executivis costituisce tipica espressione
del principio della par condicio, con conseguente possibilità
di realizzare comunque il credito partecipando alla procedura
concorsuale, per i creditori della massa assistiti da valido
titolo esecutivo, che -si ribadisce- sono esclusi per definizione
dal concorso e vanno pagati in prededuzione, tale sacrificio
risulterebbe privo di ragionevole e compatibile giustificazione.
Quanto all'esegesi, possono richiamarsi le considerazioni
della Suprema Corte in ordine all'inapplicabilità ai
crediti prededucibili dell'art. 55 L.F. (sentenza n. 9161/92
cit. sub. paragrafo n. 2), aggiungendo che la norma in esame,
riferendosi anche alle azioni esecutive pendenti alla data
di dichiarazione del fallimento ("
può essere
iniziata o proseguita
"), nelle quali il debitore
esecutato si identifica necessariamente con il fallito, e
non specificando, per quelle da iniziare, il debitore esecutando,
non può che interessare esclusivamente i creditori
concorsuali.
Quindi, sia il chiaro dato testuale che il criterio logico
escludono l'applicabilità del divieto ai creditori
che concorsuali non sono, neppure invocando l'accezione più
ampia della nozione, in quanto titolari di crediti con caratteri
analoghi a quello precettato.
In relazione al significato ed alla portata del principio
della par condicio, poteva, dunque, affermarsi che la notifica
di precetto per il pagamento di spese processuali, in forza
di sentenza passata in giudicato ed in danno di Curatela fallimentare,
non incontra preclusioni di sorta.
Non sembra siano necessarie ulteriori argomentazioni, solo
che si prenda atto:
a) della insanabile contraddittorietà ed irragionevolezza
di un meccanismo processuale che consentisse di conseguire
un valido titolo esecutivo giudiziale in danno di Curatela
fallimentare, senza poterlo poi utilizzare per l'espropriazione
forzata;
b) dei dubbi di legittimità costituzionale che una
diversa interpretazione dell'art. 51 L.F. inevitabilmente
prospetterebbe.
Ed invero, ove si accedesse alla tesi della sussistenza di
un divieto assoluto e generalizzato di azioni esecutive individuali
sul patrimonio del fallito, senza cioè differenziazioni
in ragione della natura e dei caratteri del credito azionato,
si prospetterebbe la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 51 L.F., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella
parte in cui estende tale divieto ai creditori della massa
assistiti da valido titolo esecutivo in danno di Curatela
fallimentare.
In relazione all'art. 3 Cost., in quanto il divieto de quo
introdurrebbe un favor debitoris assolutamente ingiustificato,
con conseguente disparità di trattamento tra soggetti
passivi di rapporti obbligatori, nei cui confronti si sia
formato un valido titolo esecutivo.
In relazione all'art. 24 Cost., in quanto il sacrificio del
diritto di agire in executivis in danno di Curatela fallimentare
apparirebbe assolutamente ingiustificato, anche se correlato
al principio della par condicio creditorum, stante l'esclusione
dei creditori verso la massa assistiti da valido titolo esecutivo
dal novero dei creditori assoggettati alle regole del concorso
formale e sostanziale.
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