Paola
Mazza, Breve nota su liquidazione del compenso dell'amministratore
e reato di bancarotta, Cass. 17616/2008.
L'amministratore
che liquida il suo compenso, appropriandosi di somme di una
società in pericolo di decozione compie reato di bancarotta
per distrazione.
E' la conclusione cui perviene la Cassazione con la sentenza
n. 17616 del 27 marzo 2008. La Suprema Corte ritiene, infatti,
configurabile il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione
nei confronti degli amministratori che nel periodo a ridosso
del fallimento della società da loro amministrata,
si siano appropriati di somme di denaro per compensare i crediti
da loro vantati nei confronti della società medesima.
A nulla è valsa la tesi difensiva secondo la quale
gli amministratori con il loro comportamento avrebbero compiuto
il delitto di bancarotta preferenziale. Nel caso in commento,
la Corte ha ritenuto che la posizione di amministratore non
possa essere scissa da quella di terzo creditore (delle somme
vantate a titolo di retribuzione) ed ha seguito l'orientamento
giurisprudenziale secondo cui "l'amministratore che sia
anche creditore nei confronti della società, ove si
appropri di somme per crediti vantati nei confronti della
stessa fallita commette il reato di bancarotta fraudolenta
per distrazione e non il preferenziale. La ragione di tale
affermazione risiede nel fatto che non è possibile
distinguere nella stessa persona tra creditore e amministratore
vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà
e da quello di tutela degli interessi sociali anche nei confronti
dei terzi."
La sentenza in esame è estremamente rilevante in quanto
le due forme di illecito in discussione ricevono dalla legge
fallimentare (R.D. n. 267/42) un diverso trattamento sanzionatorio.
Nel dettaglio, la bancarotta per distrazione (art. 216 co.
1 e 223), ritenuta configurabile nella fattispecie, comporta
per gli amministratori una pena ben più elevata rispetto
all'illecito per bancarotta preferenziale (art. 216 co. 3).
In particolare, il reato di bancarotta fraudolenta cd. per
distrazione o appropriazione è disciplinato dall'art.
216 co. 1 della legge fallimentare, in forza del quale è
punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è
dichiarato fallito, l'imprenditore che ha distratto o dissipato
in tutto o in parte i suoi beni. Mentre è punito con
la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima
o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire,
a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o
simula titoli di prelazione (art. 216 co. 3, cd. bancarotta
preferenziale).
Inoltre, il diverso limite massimo edittale (10 anni nel primo
caso, 5 anni nel secondo) comporta periodi di prescrizione
radicalmente diversi (cfr. art. 157 c.p.)
Emerge quindi l'importanza dell'imputazione di un reato rispetto
all'altro. Il caso deciso dalla sentenza in esame ripropone,
nella sua semplicità, una questione che non ha ancora
trovato una chiara soluzione condivisa. Esiste, di fatto,
un corposo indirizzo giurisprudenziale contrario secondo cui,
l'amministratore, liquidando il proprio compenso, se, da un
lato, si appropria di somme della società fallita,
dall'altro impiega il danaro pur sempre per soddisfare un
debito della società medesima nei suoi confronti. Seguendo
tale orientamento, risulta allora evidente che il fatto commesso
non possa essere qualificato come ipotesi di bancarotta fraudolenta
per distrazione in quanto le somme oggetto di appropriazione
sono utilizzate pur sempre per fini sociali, cioè estinguere
il credito vantato dall'amministratore per la sua prestazione
professionale in favore della società. Ciò è
quanto ha stabilito la Corte di Cassazione che con la sentenza
n. 38149 del 6 luglio 2006 ha qualificato una fattispecie
analoga a quella decisa con la predetta sentenza n. 17616
come una ipotesi di bancarotta preferenziale. Secondo l'Organo
Supremo, infatti, l'imputato che è al contempo creditore
e amministratore, in presenza di pericolo di deficit della
società deve insinuarsi al passivo; soddisfacendo direttamente
il suo credito (in quanto, come amministratore, ha accesso
alle liquidità della società) viola le norme
poste a tutela della par conditio creditorum commettendo,
in tal modo, il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale.
Paola
Mazza
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